Ah! Lavoratori & Lavoratrici! Che cosa terribile il precariato! Non
ti fa dormire la notte, rimani sveglio ore ed ore ed ore ad osservare il vuoto,
domandandoti poverino cosa ti attende…
“Quale futuro?”, tuonano i giornali.
«Generazione perduta!», gridano i vecchi.
Lo sai, non è vero?
Quanti anni hai?
Venti, trenta, quaranta?
Sei perso, come tutti noi del resto, come il mio coinquilino, il povero
Simone.
Arrivo a casa (stanco) dal lavoro. Oggi
l’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante mi ha strillato e anche la figlia del
Principale mi ha strillato e addirittura un troll mi ha strillato. «Rispetto!»,
strillavano tutti. Avrei voluto alzarmi e alzare il dito medio. Non l’ho fatto
-ovviamente- e me ne sono tornato a casa, fiacco e demotivato.
Apro
la porta e trovo il mio amico Simone in posizione del loto, immobile, ad occhi
chiusi, le mani in gyan mudra, pollice e indice in contatto.
“Oh no”, penso.
Respira forte. «Aad gure nameh», dice.
Il mantra no.
«Simone».
«Jugaad gure namenh, sat gure nameh».
Non mi sente. È in trance cazzo.
«Anche io voglio fare yoga!», dice Ganesh. «Anche io anche io!»
«Simone».
«Siri guru dev e nameh»
«SIMONE!»
«Shhh, non lo vedi che sono depresso?»
«Scusa».
«Cristo Elia mi hai fatto deconcentrare».
«Profano!», dice Ganesh.
Simone si alza. «Sono stato licenziato»,
mi spiega. «Ricordi che lavoro faccio sì?»
Il mio cervello si mette subito alla ricerca della risposta adatta, ecco
Ganesh, il Criceto e mio fratello che iniziano a parlottare tra loro, la
conversazione è più o meno questa:
«Sappiamo che lavora».
«Il fattucchiere».
«Mozzichi».
«Presto presto! Ci scoprirà! Dobbiamo essere veloci!»
«Ehi, avete visto il mio filo interdentale?»
«L’astronauta».
«Non essere ridicolo, non sta via per così tanto tempo. Cioè, per
arrivare nello spazio ci vuole tempo, credo».
«Ohhh, lo spazio profondo».
«Dico veramente, il filo interdentale, c’ho una cosa tra i denti».
«Una partitina alla Play no eh?»
«Forse il pilota».
«Ma no, fa un lavoro pericoloso. Rischia
la vita.»
«È un eroe».
«Un combattente».
«Il filo interdentale, dove l’avete nascosto?»
«Certo che lo ricordo! Siamo amici da tanto tempo!», rispondo a Simone.
«E quindi…»
E quindi… e quindi…
«Lavori per una cooperativa. Una cosa da comunisti, da morti di fame, da
sfruttati. Sì sì. Me lo ricordo, eccome! Sei un poveraccio che per sette euro
l’ora si fa picchiare dai ragazzini pazzi!»
«Ecco…»
Sono felice. Ricordo tutto!
«Uno
sfigato! Non c’hai manco il sindacato perché le cooperative non hanno bisogno
del sindacato ché sono di sinistra!»
«Grazie».
«Come no! E il tuo contratto fa schifo! Ti licenziano a giugno e ti
riassumono a settembre, se tutto va bene. Insomma, dai il sangue! Ti va un
caffè?»
«Non mi hanno rinnovato il contratto».
«Ohhh».
«Ohhh», ripete Ganesh,
«Dicono che il Municipio ha tagliato i fondi, non ci sono i soldi per il
sociale. Zero euro, zero progetti. Finito.»
«Pensa a tutti i bambini in carrozzina che si ritroveranno senza
accompagnatore», piange Ganesh.
«Agli autistici senza nessuno da mordere!»
«Agli psichiatrici soli nei supermercati!»
«Alle case famiglia governate dagli squilibrati!»
«È la fine!»
«Moriremo tutti!»
«E adesso?», domando a Simone.
«Adesso inizia l’incubo del curriculum».
Ah! Giovani
precari senza speranze! L’Incubo del Curriculum lo conoscete tutti, non è vero?
Assale i più volenterosi, i laureati in scienze politiche, in filosofia, in
letteratura antica! File di registi hanno girato film sull’Incubo del
Curriculum, centinaia di scrittori ne hanno scritto! Oggi, Amici & Amiche,
in questo momento di euforica depressione (che il coinquilino mi ha
irrimediabilmente attaccato), vi parlerò de:
L’INCUBO
DEL CURRICULUM
Personaggi
e interpreti:
Simone
(il precario);
Il
computer (l’aiuto del precario);
L’addetta
al personale (l’aiuto del Padrone).
Benvenuti Signori & Signore, benvenuti!
Entrate prego nella nostra umile dimora,
fiera di serpenti e formiche! Sedetevi lì, accanto al povero Simone. Non può vedervi
no, è troppo concentrato…
Guardatelo su, anche voi, aristofreak con la puzza sotto il naso. Pure
voi sì, intellettuali di sinistra. Non sentitevi in colpa, smettete un attimino
di analizzare i mali del mondo dal vostro cellulare da ottocento euro,
soffermatevi a studiare questo nuovo prototipo di povero: ha studiato, è bello,
è laureato, è giovane e ha i tatuaggi. Lo vedete vero? Osservatelo bene, non
abbassate gli occhi, no no. Potrebbe essere un vostro amico, sì. Forse avete
bevuto una birra con lui al pub, casomai avete riso insieme o parlato della
guerra. Avete le stesse idee. Certo, voi le esponete con una maggiore
padronanza di linguaggio, usate più paroloni. Lui è più terra terra, ma ragiona
e spesso vi frega pure, sui ragionamenti. Voi siete di sinistra, estrema sinistra,
fate l’orto sinergico, cucinate bio, bevete solo acqua pura (non Evian che fa
troppo aristocratico), ma vivete nelle case in centro, avete i pantaloni di
marca e un bel lavoro che il vostro paparino vi ha lasciato in eredità. Fate
bei discorsi. Bravi. E lui è un vostro amico. Il mio coinquilino Simone. Anche
lui viene da una bella famiglia però ha scelto di lavorare. Gli piace il suo
lavoro, lo adora. Pensate, si occupa di disabili. È un operatore (è vero ha
studiato cinema ma i pazzi gli sono sempre piaciuti) e sta (anzi stava) in un
cooperativa. Non guadagna molto, sette euro l’ora, però i suoi capi sono tutti
di sinistra. I suoi capi ti danno del tu, si vestono giovani e hanno il sorriso
stampato sul viso; un po’ radical chic certo, ma pur sempre compagni. Ti
ascoltano, in queste grandi riunioni di équipe e poi ti analizzano. Oh sì, sono psicologi e hanno capito
tutto. Ti parlano di gruppo, di fare
gruppo, del gruppo come forza, di risorse. Ti dicono, «Ho capito chi sei», ed
effettivamente ne sono convinti, hanno compreso tutto, ogni cosa. Così ne
parlano la sera, nei loro bei letti riscaldati, ne parlano con il compagno (che
è il presidente della cooperativa) e la sera si addormentano pensando a mondi
diversi, possibili, dove tutti si tengono per mano, la cena macrobiotica ben
digerita. Simone lavora per voi. Sette ore al giorno, tutti i giorni compreso
il sabato. Accompagna i ragazzi in giro, li segue a casa, li aiuta, gli pulisce
il culo. Una volta, pensate, non aveva i guanti in lattice. Ma non si lamenta
Simone, no no. Adora il suo lavoro. Ci sono persone fatte così, persone a cui
piace stare con gli emarginati. Che cosa ridicola, non è vero? Oh, i vecchi certo sorridono a quelli
come Simone. «Che bravo ragazzo!», sbavano felici quando lo vedono passare per
strada con il ciccione affetto da disturbo bipolare. È un bravo ragazzo, come
dargli torto. Come lui ne esistono tanti, tantissimi. Fanno un lavoro
silenzioso e spesso la sera a casa tornano con i lividi. Perché i pazzi menano.
Gli autistici mordono. Gli schizzati tirano calci. E picchiano anche l’anima.
Simone mi racconta delle famiglie di questi soggetti, degli utenti. Sono famiglie forti ma
distrutte. Oppure sono famiglie di tossici o famiglie violente. Ecco, lo
sapete, non è vero? Simone in fondo è un vostro dipendente.
Mi sono perso, scusate.
Guardatelo, questo bel ragazzo, seduto
sul divano fellato, davanti al computer. Cosa fa? Manda mail sì. Ha un bel
curriculum, otto pagine di curriculum. Chi ha trent’anni lo saprà certo. Abbiamo
tutti curriculum lunghissimi, eterni quasi. I nostri curriculum sono pieni di
lavori. Siamo baristi, operatori, venditori porta a porta. Le abbiamo provate
tutte e ogni anno, tutti gli anni, un tassello fondamentale alla nostra ormai
smisurata esperienza lavorativa si aggiunge al curriculum. Abbiamo un libro, un
romanzo, la storia intera dell’uomo come curriculum. Simone non è da meno, il
suo curriculum è lungo; ripeto, otto pagine.
Eccolo.
È bello, non è vero? È europeo.
“Autorizzo il trattamento dei miei dati
personali ai sensi del Dlgs 196 del 30 giugno 2003”.
Ma cosa fa? Sbirciate prego, guardate lo schermo. Ha una lunga lista di
nomi, sono le cooperative di Roma. Tutte.
«Certo», gli dico, «potresti provare con un altro lavoro».
Lui mi guarda come se fossi pazzo. Lui
vuole far quel lavoro. Punto.
Manda una lettera di presentazione, sempre la stessa, allega il
curriculum e preme invio. Lo fa tutti i giorni, tutte le mattine. E intanto si
abbrutisce. Sta finendo i soldi, ha trecento euro alle Poste e non vuole
chiedere un prestito ai genitori.
Uh! Il problema della nostra
generazione. I genitori. Abbiamo genitori per tutto. I nostri genitori sono la
nostra ancora di salvezza. Non finiremo mai in una baracca, loro ci salveranno
sempre. Per questo non è ancora scoppiata una rivolta. Mamma e papà ce lo
impediscono. Se fossimo poveri, veramente
poveri, e vivessimo sotto ai ponti (noi laureati sotto laureati diplomati e
analfabeti, noi cresciuti con i programmi televisivi di Mediaset, noi in fissa
con I cavalieri dello zodiaco) ci rivolteremmo. Forse ci sarebbe la
rivoluzione. Forse distruggeremmo questo sistema ormai morto.
«Sono stufo», dice Simone, «stufo di mandare curriculum ogni anno, tutti
gli anni. Ho trentatré anni. Sono quindici anni che invio curriculum.»
Lo capite, non è vero? Forse anche voi avete fatto lo stesso. Forse non
tutti siete capi di banca, fascisti in doppiopetto, capitalisti della domenica,
venditori di marche, casalinghe frustrate, vecchi fedeli alla tv, seguaci del
centro commerciale. Forse siete stanchi di inviare curriculum, di spedire le
vostre cose, di sperare in un lavoro dimmerda. Forse vi basterebbe poco, non
siamo una generazione a cui serve tanto per essere soddisfatta. Non avete mai
creduto al detto “Il lavoro nobilita l’uomo”, ma credete nella felicità, o
forse neanche in quella, forse vi basterebbe la tranquillità. Siamo una generazione paranoica. Ci hanno insegnato a
vivere il presente, a disprezzare il posto fisso (così poco di moda), ad
ammirare la mobilità. Possono tutto. Ci fanno di tutto. Ci violentano, ci
mortificano, ci umiliano. Non abbiamo futuro, quindi non ci pensiamo, al
futuro.
«Se ci pensaste», dice Ganesh, «sarebbe la fine.»
Ma non lasciatevi demoralizzare amici,
piuttosto continuate a seguire il nostro affezionato. Eccolo, ci siete?
Guardatelo così vestito, con la camicia, lui che è abituato a girare in
maglietta (stupido, pensa ancora che una camicia cambi le cose); lo vedete? Ha
una cartellina trasparente e dentro la cartellina ci sono dieci curriculum
stampati. Mi ha chiesto degli spicci in prestito. «Per le fotocopie» mi ha
detto. Dove va? Ma certo, lo sappiamo tutti. Bene. Ora siamo sotto l’ufficio
della cooperativa, una qualunque, una senza nome. Poverino, ha l’ascella sudata
ed è emozionato. Stolto. Fate le scale con lui, okay, due scalini alla volta. Premete
il campanello al posto suo. Ora entrate, sedetevi, non possono vedervi, siete
eterei. Guardatela, questa addetta al personale. Ammirate il suo volto
scocciato, ha davanti l’ennesimo disoccupato.
«Buongiorno», dice.
«Buongiorno», ripete Simone.
È umiliante, me lo ha detto. Umiliante.
Ascoltate la parola, ripetetela fino a che non perde di significato. Uuummmiiillliiiaaannnttteee.
«È umiliante, arrivati alla nostra età, pietire un lavoro».
Ha ragione Simone ma non può fare
altrimenti.
«Io… ecco, lavoro con i disabili da anni. Ho lavorato nelle scuole,
negli asili nido, ho accompagnato i ragazzi in giro, cioè, il pomeriggio dico…
ah, ecco. Ho fatto anche i laboratori ludico/espressivi.»
«Cioè?»
«Di… di cinema.»
«Vedo, lei è laureato al… DAMS?», alla tipa scappa quasi un sorrisino.
«Sì sa, errori di gioventù».
«Cosa voleva fare, il regista?»
«Già. Ecco, mi piaceva. Il cinema cioè. È bello il cinema.»
«Come mai ha rinunciato?»
«Bah, io…»
Come potrebbe parlare Simone del perché
ha smesso di cercare lavoro nel mondo del cinema? Come potrebbe raccontare dei
soprusi e delle ingiustizie che ha subito? Degli anni di stage non pagati? Dei
registi boriosi? Dei corsi di sceneggiatura? O di quella volta in cui ha
chiesto un rimborso benzina ed è stato cacciato a calci nel sedere?
«E
cosa l’ha spinta a venire fin qui?»
«Mi piace come lavorate».
Non è vero. Ma non ha importanza.
«Vede, i tagli che ci sono stati hanno ridotto il personale all’osso.
Sarò schietta con lei, non ci sono i soldi. Ma se dovesse liberarsi un posto le
faremo sapere».
Le faremo sapere, quante volte ve lo hanno ripetuto? Quante volte avete
sentito questa frase?
La verità, Amici & Amiche, è che siamo senza speranze. Illusi.
Persi. Perdenti.
Ammiratelo, questo giovane trentenne, mentre esce fiero dalla
cooperativa. Osservatelo mentre si ferma e si asciuga il naso. E adesso sì, non
perdetevi. Ha ancora nove curriculum da dare, nove cooperative che potrebbero
accettarlo. E male che vada domani farà altri giri, visiterà altri posti,
scoprirà nuovi luoghi. È la sua vita in fondo.
No, non pensateci come poverini. Pensateci piuttosto come incazzati. Di
persone come Simone in Italia ce ne sono tante. Siamo tanti. Ci puoi vedere alle casse dei supermercati, a pulire
le strade, dietro una cattedra rovinata o al bancone di un pub; ci puoi ammirare
in piazza, davanti al centro sociale, in fila all’agenzia delle entrate. Siamo
tanti, tantissimi e arriverà il giorno in cui diremo basta. E quel giorno, Direttori Sindacalisti Principali Presidenti
Politici Possessori di Ferrari, quel giorno saranno cazzi vostri. Quel giorno,
quando saremo abbastanza stufi e papà e mamma non potranno più mantenerci, quel
giorno vi sputeremo in faccia.
“È indispensabile che la gente sia
ispirata ad ideali universali, che essi abbiano una generale idea dei loro
diritti e una profonda, appassionata fede nella validità di questi diritti.
Quando quest’idea e questa fede popolare si uniscono alla miseria che porta
alla disperazione, allora la Rivoluzione Sociale è vicina ed inevitabile e
nessuna forza al mondo può fermarla”.
Michail Bakunin
Ho sentito un brivido corrermi lungo la stoffa del mio corpo chiamata pelle.
RispondiEliminaTrovarmi davanti a una realtà così buttata con tale verità su "carta", mi ha fatto ricordare in che mondo ormai siamo immersi.
In quale situazione grava l'italiano medio e soprattutto il neo-laureato, o l'ultra diplomato.
Abbiamo il coraggio di affacciarci sul mondo, ma non di entrarvi dentro poiché anche le strade ci vengono chiuse in faccia. Pazientiamo, e andiamo avanti.
Sono amica di molti ragazzi nella stessa situazione di Simone, e quando so che toccherà a me, spero di riuscire ad avere la forza di andare avanti, accettare le porte sbattute sul naso e asciugarmi le lacrime per costruirmi un futuro migliore.
Grazie Elia per aver scritto questo breve componimento, mi ha fatto riflettere e mi ha reso felice della mia riflessione.
Un bacio a presto e complimenti ancora.