martedì 30 dicembre 2014

LA PAUSA



  Amici & Amiche, Fratelli & Sorelle, mi prendo una pausa. Una pausa scolastica eh, di quelle carine, lunghe ma non troppo, ché casomai ti fai un viaggetto, esci con gli amici, ti bevi una birra, vai al pub o ad una festa (una di quelle lunghe), passi le ore incrostato sulla tazza del cesso o al letto, la copertina ben sopra le spalle. Tipo una pausa di riflessione, una cosa benefica, zen quasi. Non me ne vogliate, c’ho il contatore che sotto Natale quasi si azzera. E ho freddo anche, un freddo boia congeladita, con il riscaldamento mezzo rotto e la casa ghiacciata, tipo che viviamo in un frigorifero gigante. Oh, pure le piante grasse si sono congelate… Ganesh dice che va in letargo, il Criceto si rifiuta di parlarmi, Simone (il mio coinquilino) ha ricominciato a inviare curriculum; io gli ho detto «Guarda che sotto le feste non ti si fila nessuno», ma lui niente, intransigente; mi ha guardato con occhi sapienti, di chi la sa lunga e ha fatto no no con la testa.
  Quindi insomma, leggetevi un libro, andate a ballare, abbuffatevi di robe cancerogene, fate la spesa al discount, bevete il vino rosso, quello scadente o girate in bicicletta, il freddo che vi punge le guance. Poi a gennaio ritorno, martedì 13 per l’esattezza.
  Non mi resta che augurarvi un buon anno, ché nel 2014 ci siamo conosciuti e il 2015 sarà ancora meglio. Buon anno a voi quindi da tutta la capoccia di Elia Mangiaboschi. Grazie, grazie di cuore (e se c’avevo la possibilità di cantarvi una canzoncina lo facevo pure, eh).

lunedì 22 dicembre 2014

PULIZIE



  Ah!
Santo Natal!
  Oggi, Amici & Amiche, quando mancano pochi giorni al Lieto Avvenimento, in questo felice clima di festa natalizia, dopo aver finalmente concluso il giro, lungo ve lo assicuro, dei regali, mi sveglio.
  Sono felice, è vero.
Il sorriso stampato sul viso, gli occhi da Mio Mini pony
Vola Mio Mini Pony
Vola Mio Mini Pony
  «Basta».
  «Scusa, mi sono lasciato prendere dal fomento».
La bocca (la mia) che si apre in un fiore, le gambe che saltellano, il Criceto sulla spalla e Ganesh sull’altra...
  «Il Natale fa questo effetto», mi dice Charles Manson appagato.
  «Oh no, amico Manson, io sono felice perché i regali li ho fatti tutti, e pure ‘st’anno l’ho scampata… ora sono tranquillo, tranquillo e…»
  «Cos’è!?!»
Mi volto di scatto.
Il mio coinquilino Simone, in ciabatte e mutande, guarda il piccolo salotto dove sto ballando.
  «Lo so, non sono tanto bravo con le danze, ma se mi applico…»
  «Dovevi fare quel corso che ti avevano consigliato i tuoi, quando eri piccolo insomma», mi rimprovera John Travolta.
  «Cos’è!?!», ripete Simone (o quel che ne rimane).
  Mi guardo intorno, poi guardo lui.
GANESH: Giovane Elia Mangiaboschi, piccolo mortale, cerchiamo di capire il problema che affligge il tuo compagno. Su, guardati intorno: il divano c’è, è bucato, è vero, e anche macchiato, deve essere stato il succo di frutta alla pera dell’altra sera, ricordi? La PlayStation c’è, i giochi pure, il puff eccolo là, un po’ sgualcito certo; i poster ci sono, la bici sta lì, la polvere anche e i tuoi nuovi amici, la famiglia di scarafaggi da poco trasferitasi dov’è? Oh, eccola là…
IL CRICETO: Che sia la rabbia che prova per questo sistema repressivo? Che la disoccupazione l’abbia fatto definitivamente impazzire? Su, osserviamolo. Accontentiamoci di una descrizione, quantomeno dettagliata, del tuo coinquilino.
LA DESCRIZIONE QUANTOMENO DETTAGLIATA DEL MIO COINQUILINO
(intervento del noto studioso Carl Gustav Jung)
  «Ordunque, analizziamo adesso il Paziente Numero 5, Simone S. nato a Roma il 05/08/1981. L’utente, dopo una breve convalescenza forzata, ha riscontrato diversi segnali che possono essere individuati senza dubbio alcuno nel sintomo depressivo. Ridotta capacità di trarre piacere dalle attività che in passato procuravano gioia e soddisfazione (ad eccezione di un uso eccessivo di sostanze stupefacenti); senso di fatica; mancanza di speranza; pianto; pensieri negativi; irritabilità; difficoltà a prestare attenzione, a concentrarsi e a prendere decisioni; inappetenza; agitazione motoria. Il paziente, nonostante i ripetuti tentativi di convincimento da parte dei familiari e degli amici, ha smesso di uscire di casa, riducendosi ad uno stadio ben al di sotto di quello del normale essere umano. Ecco quindi il prodotto, o meglio il risultato, della società moderna: un uomo-larva, mezzo nudo, zozzo e con la pancia gonfia di bibite gassate.»
  «Grazie signor Jung», faccio.
  «E di che giovanotto, è il mio lavoro…»
  «’Nsomma Simone, che è successo?»
  «Ma come?!? Non vedi? È il caos Elia! Ed è Natale!»
Astro del Ciel
  «Cosa devo vedere?»
  «C’è polvere! Polvere ovunque!»
  «Moriremo tutti!», urla il Criceto.
Guardo il salotto.
Beh sì giusto un po’ di caciara. Cioè, tranne la polvere che vola nell’aria così bella da sembrare neve o la muffa sul lavandino e la chiazza di vomito di un paio di mesi fa ben nascosta sotto il tappeto non mi sembra mica tanto sporca. La casa dico.
  «Che poi la polvere fa pure un po’ Natale, non trovi?», domando a Simone.
  «E quelli? Cosa sono quelli?», geme indicando la famiglia di scarafaggi.
  «Oh, loro sono Kubrick, Kalì e Frodo», sorrido.
  «Kalì è così carina», annuisce Ganesh.
  «Cazzo sono scarafaggi Cristo, non possiamo mica adottare tutte le forme di vita della terra qui dentro!», urla il coinquilino.
  «Io l’ho fatto!», dice Noè, «E hai visto che risultati sì!»
  «Ecco, ma io sono tipo Noè… se c’è la fine del mondo li salviamo tutti…»
  «Elia, c’abbiamo avuto i pappagalli senza le zampe, i vermi del peperone marcio, le formiche, due canarini, un gatto con gli stivali e pure la tartaruga marina!»
  «Abbiamo anche salvato una famiglia di serpenti, non dimenticarlo… arriverà il giorno in cui tutto questo bene ci verrà restituito e allora mi ringrazierai… eccome se lo farai».
  «Dobbiamo pulire».
  «No! Giammai!»
  «Opponiti Elia! In frigo stiamo creando nuovi microorganismi!», mi sprona Ganesh.
  «È vero!», dice il Criceto, «poi ci fa buttare pure il Brodo Primordiale!»
IL BRODO PRIMORDIALE
[Un ampolla venne riempita d’acqua e la ruggine fece il resto, per anni il mondo di Elia Mangiaboschi attese l’Evento, il Risultato: un mondo acquatico sottopressione, senza ossigeno eppure vivo. Oggi, a vent’anni di distanza, i risultati si scorgono onnipotenti e le prime forme di vita nuotano nel fluido chiamato dai più: BRODO PRIMORDIALE].
  «Io sono Dio e tu non riuscirai MAI ad distruggere quel che ho fatto!», urlo a Simone.
  «Sono mesi che non puliamo, bisognerà pur far qualcosa…»
  «Paghiamo qualcuno, anche se siamo comunisti possiamo farlo! Pagheremo anche la tredicesima, lo giuro!»
  «Sai che sono contrario a far pulire la mia merda ad altra gente».
  «Un robottino allora! Prendiamo uno di quei fregnetti intelligenti e facciamo fare tutto a lui!»
  «No».
  «Bruciamo ogni cosa! Io la scopa non-la-prendo!»
Simone mi guarda, il secchio in una mano, il sapone nell’altra.
  «Cos’è quello?», mi chiede Ganesh allarmato.
  «Sapone per i pavimenti».
  «E a cosa serve?»
  «Lo ignoro amico testa d’elefante».
Simone inforca gli occhiali da sole e comincia a spolverare ogni cosa.
  «È pazzo», sussurro.
  «Metti un po’ di musica su», urla sculettando.
Peggio di Mary Poppins.
  Sconfitto mi avvicino allo stereo.
Simone, letteralmente, balla.
  «Elaborazione del lutto», mi dice Jung. «Sta provando a ricominciare.»
  «Se sei un amico», gli fa eco Noè, «dovresti aiutarlo…»
Potrei fuggire, dire che mi hanno chiamato al lavoro…
  «Oppure potresti umiliarlo e prenderlo in giro», mi suggerisce Ganesh.
  La polvere si alza ovunque. Starnutisco. Simone zampetta a destra e a sinistra, salendo sopra le sedie, sugli armadi e nella libreria.
  «Quelli no!», urlo fiondandomi sui libri che sta irrimediabilmente mettendo in disordine.
 «Generalmente, il caos è il disordine esistente tra l’ultimo ordine di cui si è a conoscenza e l’ordine futuro ancora da realizzarsi», dice Sun Tzu mentre volo sui romanzi.
  Ma ormai il danno è fatto.
Simone danza letteralmente in una nuvola di polvere uccidendo senza pietà tutti i simpatici parassiti che, con tanto amore, ho allevato in questi mesi. Spolvera mensole e sposta statuine, ride guardando il televisore incatramato e con la pezzetta strofina via anche lo sporco più ostinato.  Mastro Lindo nel frattempo scruta ogni cosa mentre gli adepti del fai-da-te lo venerano in ginocchio. «Uno di noi!», urlano a squarciagola, «Uno di noi!»
Io rimango immobile, pietrificato, bloccato dalla furia omicida del mio coinquilino; lo guardo agitarsi tra sedie alzate e tavoli lucidi, tirare fuori dal cilindro attrezzi di cui ignoravo l’esistenza e saponi al gusto di menta. È un tripudio di profumi e scintillii e sapori mai odorati. Ma nel frattempo, mentre il mio amico spazza via i suoi incubi, un olocausto si svolge sotto ai nostri piedi. Osservo disperato i ragni morire nelle loro stesse ragnatele, gli scarafaggi scappare terrorizzati, le larve di zanzare annaspare alla ricerca della madre.
  «Presto», grida Mastro Lindo, «il mondo sarà mio e voi tutti sarete miei schiavi!»
Poi bussano alla porta.
  «Vado io», piango.
  «Salve!», mi dice un uomo in giacca e cravatta.
No.
  «Lei è il signor…?»
  «Mangiaboschi».
  «Ah! Perfetto! Salve signor Mangiaboschi… ma possiamo darci del tu non è vero? Quanti anni ha?»
  «Vado per i trenta, più o meno».
  «Siamo quasi coetanei allora! Io vivo lontano da qui, poco fuori Roma, ho scelto la comodità della villetta a schiera, assieme a mia moglie e ai nostri tre gatti, due cani, quattro maialini e un bambino. Vuoi vedere le foto?»
  «Io… ma lei chi è?»
  «Oh oh oh».
Babbo Natale cazzo.
  «Non mi sono ancora presentato, che sbadato. Io sono il signor Rossi, Marco Rossi. Ma tu puoi chiamarmi Marco. O Mark se preferisci…»
  «Okay… Marco. Cosa, cioè…»
  «Posso entrare?», dice già dentro.
Lo osservo. È grande e grosso, robusto però, non grasso. Fa esercizi tutte le mattine, si vede: sollevamento pesi, flessioni, cose così. Ha pochi capelli e due occhi vispi, da piccolo imprenditore pazzo. Crede in se stesso, si vede. So riconoscere i nodi della cravatta, il suo denota sicurezza. È uno che vuole sfondare, come no. Ammicca e sorride, manco fosse il mio migliore amico. È pronto a vendermi l’anima della madre per far carriera.
  «Ma che bella casa Mangiaboschi, complimenti…»
Poi vede Simone.
  «Oh, vi disturbo per caso…?»
  «Ecco noi…»
  «I gusti son gusti, a ognuno il suo!», ride.
  «Ma veramente…»
  «Salve!»
  «Salve!», risponde il mio coinquilino.
  «Sta pulendo? Non si preoccupi, parlerò con il suo… amico…»
  «Okay, Elia pensa tu al signore, io sto spolverando il lampadario».
  «Elia, ma che bel nome… anche il mio maialino si chiama così… ho qui con me una foto, le posto su Facebook, adoro gli animali. Ecco, vede? È così bello, ti assomiglia quasi».
Pacca sulla spalla.
  «Vedi ragazzo mio, io sono qui per proporti, come dire, il top ecco. Ne avrete bisogno in questa casa. Lo vedo… come il tuo amico si ammazza di lavoro per pulire tutto questo. Beh, grazie a me non ne avrete più bisogno… ma che bei libri che hai!»
  «Grazie».
  «E li leggi?»
  «Quando capita sì».
Ora lo uccido. Avrà fatto i corsi di psicologia spiccia ‘sto cretino qua davanti. A farsi i cazzi della vita mia per vendermi, vendermi… già, cosa deve vendermi?
  «Anche io leggevo. E molto. Soprattutto i fantasy, hai presente no? Elfi, troll. Adesso no, adesso vivo… per altro...»
Pausa ad effetto.
Me lo immagino, assieme ai colleghi, ad ascoltare il guru motivazionale, tutto il giorno a fare esercizi di sorriso davanti allo specchio, a blaterare cazzate di cui non gliene frega un accidente.
  «Uccidilo Elia! Il suo corpo verrà mangiato dai vermi!»
  «Ma cosa vorrà vendermi Ganesh?»
  «Veniamo a noi, vedo che ti stai distraendo. Posso sedermi, grazie…»
  «Vuole un caffè?», urla Simone.
  «Come no!»
L’uomo si accascia sul divano ed estrae una serie di fogli. «Ecco Elia, sono venuto per proporti la Salvezza.»
  «Ohhh», bela il Criceto.
  «Vedi, la nostra missione è semplice. Banale quasi. Noi risolviamo problemi che gli altri sembrano ignorare. Fino a dove ci spingiamo? Oltre l’infinito amico mio, oltre l’infinito».
  «Caffè».
  «Grazie».
  «Simone resta qua», dico, «il signore ci vuole offrire un viaggio nello spazio».
  «No Elia», mi riprende Marco, «non sto scherzando. Vedi, la nostra generazione ha vissuto nella perdizione. Siamo inutili, senza speranze, privi di senso. Le nostre vite scorrono uguali e monotone. Non siamo cattivi, semplicemente non ce la facciamo».
Simone si siede sul divano, visibilmente colpito.
  «Quando ho comprato casa con mia moglie ho preso una decisione. Mai più avrei fatto la fame. Così ho studiato e mi sono dato da fare. L’università è roba passata, ora ci sono i corsi aziendali. E sapete cosa ho capito?»
  «Cosa?», domanda il mio coinquilino.
  «Che la pulizia è importante. Bisogna essere puliti, sempre e comunque. Pulizia prima di tutto.»
Simone annuisce, poi mi scruta, poi annuisce ancora.
  «È stata la mia azienda ad aprirmi gli occhi. Ero nessuno e, come voi, vivevo nello sporco.»
Lo guardo male.
  «Elia, siamo amici ormai, lasciami parlare. Lo sto dicendo per te», mi fa puntandomi l’indice addosso.
  «Sì Elia lascia parlare il signore».
  «Mia moglie stava per lasciarmi, i nostri animali, ho qui le foto, erano deboli e nostro figlio… nostro figlio non aveva un amico. Poi è arrivato lui e ogni cosa è cambiata. Mi ha aperto gli occhi, mi ha aiutato. Sono uscito dal tunnel. Ho le foto, del tunnel dico».
  «Anche io voglio uscire dal tunnel», lo implora Simone.
  «Lo so, lo so. Sono qui anche per questo. Una voce mi ha guidato fino a casa vostra, non credo fosse semplicemente il navigatore… c’era come, qualcosa in più ecco. Sapevo di poter aiutare due miei coetanei… dovevo. Grazie a me la redenzione è vicina. Ecco, vengo a proporvi il futuro. Il mio è il Verbo. La Parola fatta macchina». L’uomo estrae un lunghissimo aspirapolvere colorato.
  «Un aspirapolvere?», dico.
  «Non un semplice aspirapolvere Elia. Se non ti conoscessi ti taccerei di blasfemia, ma per fortuna siamo amici. Uniti nelle differenze. Noi non abbiamo sacchetti o filtri; vedete, le altre aziende cosa fanno? Consumano, o meglio, fanno consumare i propri aspirapolvere e di conseguenza il cliente. Causa effetto. Noi no. Noi nella Dul non utilizziamo sacchetti per i nostri aspirapolvere. Pensate, sono dotati di filtri lavabili permanenti, quindi niente materiali di consumo e quindi…»
  «…E quindi?»
  «…Nessun costo aggiuntivo».
  «Cazzo Elia è un venditore porta a porta», mi dice Simone. «Caccialo».
Eh. Io non lo so cacciare. È un lavoratore in fondo, l’ultima ruota del carro, mica posso mandarlo via così.
  «Farò finta di non averla sentita.», dice Marco al mio amico, «Ma torniamo a noi. Policarbonato ABS! Sai cos’è Elia? Lo stesso materiale utilizzato per gli scudi anti-sommossa e i caschi di sicurezza! Re-sis-ten-te! Dotato di un microprocessore interno intelligente in grado di risolvere impossibili equazioni matematiche! Emette aria pulita! ARIA PULITA! Se credi nella natura devi assolutamente provarlo. Comprando questo apparecchio stupendo contribuirai a salvare la nostra amata Terra… potenza e aspirazione doppia rispetto a qualsiasi altro aspirapolvere senza uso di filo! Gli altri perdono aspirazione, la nostra scienza non lo farà mai… perché qui signori stiamo parlando di scienza, di progresso…»
Bussano alla porta. Corro ad aprire, Simone sgattaiola via a pulire il tavolo, Marco rimane solo a parlare, Ganesh mi segue abbattuto, il Criceto fa il criceto e la famiglia di scarafaggi ascolta Marco interessata.
È Anda la portinaia. «Cosa succede qui?»
Mi guardo intorno, Simone sta combinando un casino: i libri sono tutti a terra, le ragnatele avvolgono le pareti, i tappeti sono rigirati, il frigorifero è aperto.
  «Pulzie di Natale», dico per smorzare la tensione.
Anda guarda prima me, poi Simone che danza in costume, occhiali da sole e parannanza e infine Marco, il nostro nuovo amico.
  «E lui chi è?»
  «Marco, il nostro nuovo amico.»
La portinaia si sistema i capelli e si avventa sull’uomo.
  «Che fa, ci prova?», mi chiede Ganesh.
  «Così pare…»
La donna e il venditore porta a porta parlano fitto adesso, comodamente adagiati sul divano.
  Bussano alla porta.
È Lola. «Elia, fortuna che ci siete… ho assolutamente bisogno di un pacco di… ma che è ‘sto casino?»
  «Ti prego Lola, posso venire da te?»
  «Meglio di no, c’è uno…»
Dall’appartamento accanto la coppia novella comincia ad urlare.
  Bussano alla porta. È la vecchia del piano di sopra. «Comunque giovanotto ho ripensato a lungo alla storia dei tacchi. Lei non deve permettersi…»
Guardo Simone.
Guardo Lola.
  La porta è ancora aperta, uno sguardo veloce e sono fuori, ancora mezzo svestito, nella città dal sapore natalizio, tra le cartacce e le automobili, libero. Alzo lo sguardo, la stella cadente della mattina sfreccia nel cielo, le luci si accendono e si spengono. Corro più veloce della luce e mi fermo solo quando scorgo la natura.
  E lì, nella campagna romana, alzo gli occhi e li vedo, i vermi e i serpenti che sorridono sereni, zen quasi.
  «Elia Mangiaboschi», dicono beati, «Padrone & Signore del cielo, della terra e del frigorifero, unisciti a noi… abbandona tutto, ogni cosa e diventa il nostro nuovo Re.»
Per un attimo ci penso,  poi crollo a terra distrutto. Cazzo, io la odio la quotidianità.

Bisogna avere un caos dentro di sé, per generare una stella danzante”.
Friedrich Nietzsche

lunedì 15 dicembre 2014

ECOSISTEMI [la vita segreta del peperone marcio]



  Mi sveglio che la sensazione è strana.
  C’è qualcosa che non va.
È tipo un serpente che si aggroviglia attorno alla colonna vertebrale, che sale su e chiede solo di uscire, di essere libero. Non riesco a focalizzare subito la sensazione ma mi muovo, mi agito, come se dovessi scrollarmi di dosso un pensiero brutto.
Mi alzo piano, scrupoloso quasi.
  Tipo una percezione, differente dal solito ma non nuova.
L’ho già provata.
  Quando?
Fuori dal letto.
  Formicolio. Qualcosa di brutto.
Sì ma cosa?
  «Simone!», mi dice allarmato Ganesh. «Sarà morto sicuramente! L’avranno ucciso i capitalisti! Simbolo incompreso della disoccupazione (ex) giovanile!»
  Apro la porta della camera del mio coinquilino. Fosse veramente morto…
  «Potrebbe essersi ucciso! Lo troverai riverso in un lago di sangue nel suo letto e, cosa ancora più grave, dovrai lavare tutte le coperte!»
Stringo gli occhi, il buio è ovunque.
  «Simone…», sussurro.
Poi lo vedo, è sdraiato. E russa.
  Mi chiudo la porta alle spalle piano, senza far rumore.
C’è qualcosa di strano nell’aria, non riesco a capire ma puzza. La cosa dico.
  «Non è che hai lasciato quel peperone di due settimane fa in frigo?», mi chiede il Criceto teneramente posato sulla mia spalla.
  «Per una volta la bestiolina ha ragione Elia… e se nel frigorifero si fosse creata una terribile forma di vita mutante e non aspettasse altro di uscire per divorare l’intera razza umana? Pensaci, sarebbe tutta colpa tua», dice Ganesh.
  «Ha ragione! Armati, proteggici tutti!»
Inforco il casco di Simone, la bandana dei cortei, un giubbotto antiproiettile e ci sono.
  «L’arma l’arma!»,  mi ricorda il Criceto.
Prendo il mestolo, quello grande.
  Davanti al frigo.
  Mi fermo.
Respiro piano.
  Apro.
La luce mi acceca.
  «Moriremo tutti!»
Guardo. Non c’è niente, il frigorifero è completamente vuoto.
  «Non è vero, osserva attentamente: le merendine biscotto mou e cioccolato, il latte condensato, il gelato alla vaniglia sciolto, le pesche sciroppate, il succo alla pera scaduto, due bottiglie di aranciata, la boccia di vino del Todis e…ma quello cos’è?!?»
  Sgrano gli occhi. Cazzo il peperone.
BREVE CONVERSAZIONE TRA ME, IL VERME CAPOFAMIGLIA CHE HA OCCUPATO IL PEPERONE E GANESH:
ME: C’è un verme Cristo!
VERME CAPOFAMIGLIA: La prego Signor Elia Mangiaboschi Padrone & Signore del cielo, della terra e del frigorifero, non ci uccida! La mia famiglia è qui, guardi…
ME: Uno due tre quattro cinque sei, ma quanti siete?
VERME CAPOFAMIGLIA: Centoquindici Signore, per servirLa Signore…»
ME: Dovrei buttare il peperone, la muffa sta coprendo ogni cosa.
VERME CAPOFAMIGLIA: Non lo faccia! È la nostra casa! Guardi, vede i miei piccoli, guardi che bel musino che hanno… chiari chiari…
ME: Sono belli è vero, ma la mia incolumità…
GANESH: Umano senza cuore! Uccidere così un’intera famiglia! Che tu sia maledetto!
Chiudo il frigorifero, il peperone ancora dentro.
  «Aspetti!», sento urlare.
  «Verme, cosa vuoi ancora?»
  «Credo di sapere cosa La affligge».
  «Lo sporco?»
  «No».
  «La fine degli ideali?»
  «No».
  «La cena a base di surgelati di ieri sera?»
  «Cucinava Simone», dice il Criceto.
  «Eh».
  «No».
  «E cosa allora?!? Dimmelo, prima che ci ripensi e vi sfratti tutti quanti!»
  «Basta uscire di casa Signor Elia Mangiaboschi. Un passo fuori e capirà ogni cosa…»
  «Ha ragione Elia, più veloce della luce!»
Corro, faccio colazione con la merendina al cioccolato e il caffè e la sigaretta, caco senza che la mia cacca intasi niente, mi lavo e finalmente esco.
  E quando esco
  capisco. 
C’è Anda la portinaia.
C’è Anda la portinaia china a terra.
C’è Anda la portinaia china a terra, lo sguardo concentrato.
C’è Anda la portinaia china a terra, lo sguardo concentrato e le lucine ovunque.
  Oh no.
Il mio Io scava nella memoria, come una Ferrari rosso fiammante percorre le strade dei ricordi, salta semafori e si avventa sui pedoni. Poi si ferma davanti ad una porta rossa.
  «Metti l’allarme, non si sa mai con ‘sti neuroni», suggerisce il Criceto.
Sono davanti alla porta.
  «Non aprirla!», urla Ganesh.
Ma ormai è troppo tardi.
  Rimango pietrificato, un brivido freddo mi attraversa la schiena, stringo la sciarpa. Sono perduto.
Anda sorride. «Che ne dici?», mi chiede, il rossetto ben spalmato sulle labbra. «Lola lo trova fantastico!»
  «Non darle un dispiacere! Non essere cattivo!»
Io lo odio. Le fiamme dell’inferno mi avvolgono. Il diavolo sorride maligno. Marx accanto a lui mi guarda, aspettando la mia mossa.
  «Anda è una donna semplice Elia, non scoraggiarla! Guarda con che amore ha posizionato il tutto!», spiega Ganesh.
  «Il problema non è Anda, mio giovane rivoluzionario, ma quel che sta facendo», mi imbocca Marx. «Bisogna educare le masse».
  Sono combattuto.
Opzione A: Bardarmi dalla testa ai piedi e commettere atti di terrorismo. Black Bloc power.
Opzione B: Fuggire via e chiudermi in casa, fino a che tutta questa storia non sarà finita.
Opzione C: Affrontare la realtà e vivere da uomo.
  «Sii uomo!», mi incoraggia Gandalf comparso dalla Terra di Mezzo.
  «È bellissimo Anda, un vero capolavoro…», sorrido.
Anda si scioglie.
  Sono dentro. Devo giocare.
  «Chi siamo noi?»
  «Uomini!»
  «E cosa vogliamo?»
  «Decorare decorare decorare!»
L’albero di Natale è immenso, pieno di palline colorate, Gesù bambini prematuramente crocifissi, stelle cadenti, lucine e tocchi di neve artificiale.
  È Natale cazzo.
Mi reggo alle scale, gli addobbi sono ovunque.
  E ora, Signori & Signore, mentre tutto attorno a voi (e a me) acquista colore e il rosso macchia le strade, in questo felice momento di giubilo prefestivo, quando tutti, e dico tutti, si ammassano nelle strade comincia…
LO SPAVENTOSO INCUBO DEL NATALE
  Uhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
  «Che è?»
  «Il coso là, l’urlo del fantasma insomma, c’hai presente no?»
LO SPAVENOTOSO INCUBO DEL NATALE, detto anche LO SPAVENTOSISSIMO INCUBO SENZA FINE DEL NATALE colpisce i più intorno al quindici dicembre. D’improvviso le strade si riempiono di addobbi natalizi, Babbo Natale infesta ogni cosa e il traffico inghiotte la città.
  I più avventurosi si immergono lungo viale Marconi alla ricerca del regalo sgargiante.
  Le finestre dei palazzi colano mocciolo di stelline fosforescenti.
  Babbo Natale, novello ladro della società del controllo e della sicurezza, si arrampica lungo i balconi, lo sguardo di chi la sa lunga.
  Urla, disperazione e caos.
Io cerco di non pensarci, mi comporto come sempre, faccio finta di niente, rimuovo quasi l’allegra festività.
Ma poi
nel buio della notte
Gesù bambino viene a ricordarmi i miei doveri.
GESU’ BAMBINO: Figliolo, per anni hai creduto al buon Babbo Natale, senza sapere che il vecchio altri non era che la fortunata pubblicità di quella nota bibita che tanto disprezzi.
IO: La Coca-Cola?
GESU’ BAMBINO: Bravo ragazzo, sai quanto la odiamo, il tuo amico Bakunin ed io dico…
IO: Lo so Gesù bambino. Ma al tempo, ero un marmocchio insomma…
GESU’ BAMBINO: Non credevi in Dio già allora. Però a Babbo Natale eccome ci credevi.
IO: Era tutta convenienza, glielo giuro! Tutta ‘na roba di regali! Fregavo i miei no? Voi mica li portate i regali, ecchecazzo… ops, mi scusi Gesù, però pure tutta ‘sta storiaccia dell’Ici… eh…
GESU’ BAMBINO: Povero piccolo Elia, così attaccato a questa vita materiale. Sono qui per altro però. Sono qui per ricordarti la carità cristiana.
IO: Ma Gesù mi scusi, io non sono cristiano.
GESU’ BAMBINO: Ma il Natale è LA festa. A Natale siamo tutti più buoni.
IO: E quindi?
GESU’ BAMBINO: I tuoi genitori si aspettano qualcosa da te. Un dono. Un pensiero. Un omaggio floreale.
IO: Cederò così alle lusinghe del consumismo! Sarò costretto a vagare alla ricerca del regalo perfetto! Perché Dio!?! PERCHE’!

  Non puoi sfuggire al Natale. Il Natale è ovunque. Per quanto tu possa odiarlo lui è lì con te, sempre. Il Natale è nelle pubblicità, nei film natalizi, in televisione e nelle serie televisive, al cinema con i cinepanettoni e i cartoni della Disney, in strada, nel cibo, al lavoro, a cena, ma soprattutto è nelle orecchie.
  Da quando ho scoperto che è Natale canticchio sempre la stessa canzone:
E’ Natale e a Natale si può fare di più,
è Natale e a Natale si può amare di più,
è Natale e a Natale si può fare di più
per noi:
a Natale puoi.
  Che insomma, è come dire che a Natale posso fare quello che cazzo mi pare, una cosa di un egoismo assurdo, cioè, onesto, onesto ma egoista. Bacchettone, sì lo so.
  Comunque, la canzoncina mi entra in testa come un mantra e la canto più di Jingle bells, non posso farne a meno e a ogni strofa divento più cattivo. È peggio che vivere insieme all’omino autistico della Conad, «Amore, c’è un problema».
  Pedalo sempre più frenetico, sgattaiolando tra le automobili piene di bambini urlanti.
  «Vai più piano Elia!», mi implora Ganesh.
Ma io non posso fermarmi; li vedo, dentro i cubicoli, ‘sti famiglioni tipicamente italiani con il sorriso da psicofarmaco stampato sul volto, già pieni di pacchetti e pacchettini, i figli a rimorchio sbattuti su passeggini di plastica e stoffa, urlanti al punto giusto, il ciuccio sgranocchiato sempre in bocca. Li vedo e penso, “‘Cazzo gli regalo ai miei”.

  Al lavoro è ancora peggio. Tutti parlano di regali, l’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante medita di regalare un fiocco rosso alla stampante, Gina vuole assolutamente un nuovo smalto per le unghie «Per capodanno, sai quanto rimorchio?», Manolo un paio di scarpe da settecentonovantanove euro e novantacinque centesimi e il signor Marco un massaggio in uno di questi centri massaggi di dubbia fama. C’è pure l’omino della Conad, quello autistico, che c’ha tutte offerte da proporre ma nessuno se lo incula, da quando la moglie ha chiesto il divorzio.
  «Adotterò un bambino africano!», dice la figlia del Principale ticchettando le dita sulla scrivania lucida.
  «Ed io un cammello!», le fa eco un troll.
  «Io donerò un euro e sette centesimi per gli orfani del Darfur!»
  «Ohhh, come siete buoni!»
  «A Natale siamo tutti più buoni!»
  «Se non si è buoni a Natale…»
  «George Clooney ce l’ha insegnato…»
  «La sua campagna nel…»
  «Nel…»
  «Nel Darfur appunto! George mi ha aperto gli occhi!»
  «Dobbiamo aiutarli sì…»
  «Ma a casa loro…»
  «E tu Elia?»
  «Io?»
  «Ci sono così tanti bambini che muoiono di fame… donerai, non è vero?»
  Sì, un qualche movimento rivoluzionario che vi sterminerà tutti!
  Ah! Ah! Ah!
  «Uh, certo. Gattini. Come quelli che postano su Facebook. Gattini bianchi. E neri anche. Cioè, non li dono eh… la faccio, la donazione dico».
  «Che amore…»
A Natale puoi…

  Esco di corsa. Non troverò mai il regalo per i miei genitori. Afferro la bici ed ecco, ci sono anche io, inglobato nel Malefico Mondo Del Regalo Di Natale.
  A viale Marconi l’intera strada è in festa. Supero una Befana gigante, un uomo travestito da cellulare, un altro con un costume da renna arrugginita. Entro in libreria e il caldo mi assale.
  «Signore, ehi signore», un bambino mi afferra una gamba.
Lo scanso con un calcio. Odio i bambini, per anni ho fatto l’animatore, sono arrivato ad un punto in cui non li sopporto più. E poi a Natale IO odio tutti.
DIO: Elia, un tempo non era così, ricordi come aspettavi il Santo Natale ogni anno, tutti gli anni, assieme alla tua famiglia?
ELIA: Dov’è tuo figlio, parlo solo con lui io.
DIO: Al bagno, ci sta le ore. Ieri sera s’è un po’ abbuffato, sai com’è fatto.
ELIA: Dio scusa tanto eh, però cioè, lo vedi dai…
DIO: Cosa?
ELIA: Come stanno tutti no? Sembra si siano pippati dodici botte di anfetamina… maddai…
DIO: Chiedi scusa al bambino Elia.
ELIA: Ma no Dio, giammai.
DIO: Senti piccolo stronzetto, chiedi scusa al bambino o giuro che ti caccio all’inferno a calci in culo!
  Mi volto verso il marmocchio, «Scusa bel bimbo», sorrido.
  «Che vuole da mio figlio?»
  «Niente, solo scusarmi».
  «Cosa le ha fatto?»
  «Assolutamente nulla».
  «Voleva rapirmi papà», dice il bimbo con sguardo angelico. «E portarmi nel campo degli zingari».
  «Ma non è vero!»
  «Sporco comunista zingaro! Anche a Natale vi ci mettete! Andate a lavorare drogati!»
  Corro via. Non farò mai il regalo ai miei.
A Natale si può fare di più…

  A casa accendo il computer, casomai trovo qualcosa su internet.
La pagina di Google si riempie di colori.
  Apro Facebook:
ERNESTO SON LESTO:  Quest’anno mi voglio fare un albero di Natale di tipo speciale, ma bello veramente. Non lo farò in tinello, lo farò nella mente, con centomila rami e un miliardo di lampadine, e tutti i doni che non stanno nelle vetrine”.
MASSIMO DELLAPENA (noto avvocato per i diritti dei minori e delle specie in via d’estinzione): “Un Natale pieno d’amore, c’è chi soffre su questa terra, c’è poca pace, ma c’è guerra. Una preghiera mio piccino, lo dico a te Gesù bambino”.
GIOVANNA CARAMELLA: “Il mio piccolo cane nero festeggia il Natale con me. Non abbandonate gli animali, chi abbandona gli animali è un MOSTRO”.
E poi giù, valanghe di foto di gattini, topini, cricetini, leoncini e Befanine.
  Provo con Twitter, che si sa è più serio. Scrivo: “Vi prego, ho bisogno di un regalo per il padre e la madre!”.
In un attimo mi arrivano valanghe di risposte:
  Un libro, regalare un libro è sempre cosa originale!
  Un film, regalare un film è sempre cosa originale!
  Un fumetto, regalare un fumetto è sempre cosa originale!
Spengo il computer, apro il frigo ormai invaso dai vermi. Mi guardano, stanno diventando belli grandi. «Come crescono», dico a Verme Capofamiglia.
  «Sono il mio orgoglio! Jacob, Jake, Jalen, James, Jared, Jarod, Jason, Jasper, Jay, Jaylen, Jeb, Jed, Jeff, Jeffery, Jem, Jemmy, Jep, Jericho, Jerold, Jerrod, Jesse, Jim, Jimi, Joby, Joe, Joel, John, Johnie, Joseph, Josh, Joshua, Judah, Jude, Julian, Julius, Junior, Justin, Jert e Batuffolo, vi presento Elia Mangiaboschi, Padrone & Signore del cielo, della terra e del frigorifero».
  «Salve ragazzi».
  «Salve Elia Mangiaboschi».
  «Il mio coinquilino vi ha visto?»
  «Oh no, ci ucciderebbe senza pietà. Ci nascondiamo bene noi…», mi spiega Verme Capofamiglia.
Chiudo il frigo e vado da Simone. «Oh», dico.
  «Oh», risponde.
  «Beh…»
  «Eh».
  «Uh».
  «Ah»
  «Senti, non so che fare ai miei per Natale».
  «Cosa?»
  «Non so che fare…»
  «Quello l’ho capito… ma tu hai detto… NATALE?!?»
Ora, dovete sapere che il concetto spazio-tempo per Simone è irrimediabilmente mutato. Senza lavoro ha perso completamente la cognizione del tempo, non sa che giorno è o che ore siano, segue solo lo scorrere della notte e del giorno. È perso, tipo un animale in gabbia.
  «Natale?», ripete toccandosi la pancia sporca di sugo.
  «Già.»
  «Oh mio Dio! Come farò!?! Papà, mamma e fratello, tutti senza regalo! E due su tre sono nati a dicembre! Maledetta povertà! Maledetto sistema corrotto!»
  «Consolalo!», mi dice Ganesh.
  «Oh, dai. Vedrai… passerà. Ecco sì, passerà. Mi sembra buona come cosa no?», lo rassicuro facendogli pac pac sulla spalla.
  «Passerà!?! Sono un uomo finito cazzo!»
  «Maledizione! È entrato in piena depressione natalizia! Devi salvarlo Elia!»
  «Non so come fare amico Ganesh!»
  «Uccidilo».
  «Cosa?»
  «Uccidilo e nascondi il corpo!»
  «Simone, ehi… dai, faccio uno spino. Per i regali chiama tuo fratello no, ci pensa lui, poi i soldi glieli ridai.»
  «Dici?»
  «Certo…»
  «Cioè, la canna… la fai?»
  «Sì sì.»
  «Accendi pure la Play dai e cucina qualcosa. Qualcosa di buono, sono depresso, tipo che non c’è niente in frigo, giusto un peperone marcio, tocca fare un po’ di spesa. Se vuoi andiamo insieme al supermercato, anche se lo sai che sto male, il supermercato mi ucciderebbe, a te mica ti dispiace invece, ché vuoi comprare sempre tutte quelle schifezze vegetariane. Però fai un po’ te, cioè… sì, decidi tu ‘nsomma. Io ci vengo pure, tanto vado a fare yoga poi. Quaranta giorni gli stessi esercizi cazzo. Antidepressivi, dicono. Mah».

  Dormo sognando di arrampicarmi su immensi alberi di Natale innevati, le punte a conficcare la carne fresca, morbida. Mi sveglio urlando che è già mattina. Dai piani più in alto la vecchia sbatte i tacchi.
  Toc toc
  Toc toc
Canta anche, «Tu sceeeeendi dalle stelle o Re del cieeelo, e vieni in una grotttaaaa al freddo e al geeelo».
Non la sopporto. Raccolgo la scopa e comincio a battere sul soffitto. Niente. Continua.
  «O Bambino mio divino…»
Ora salgo.
  «Non farlo Elia, mantieni la calma, è anziana, ha sicuramente più potere di te… alla prossima riunione di condominio potresti essere cacciato».
  «Ganesh, magari mi cacciassero dalle riunioni…»
  «Stupido, dal condominio!»
  «Ah quanto ti costòòò l’avermi amaato».
E poi via, un paio di passi di Tip Tap.
Io l’ammazzo.
  Esco in pantaloncini e eskimo e corro su, due scale alla volta.
  «Signora!», busso. «Signora!»
Nessuno risponde.
  «Signora!»
  «Chi è?»
La stronza non apre.
  «Sono Mangiaboschi signora, quello del piano di sotto. La prego, è mattina, è presto. Cantare e ballare…»
  «Ballare?»
  «I tacchi signora…»
  «Ma io non ho i tacchi…»
  «E allora le zeppe, i cosi di legno, non lo so! Ma la prego, la smetta!»
La vecchia sussurra, sempre da dietro la porta: «Giovanotto, prima di accusare ascolti bene. Non sono io a far tanta caciara, è quello del piano di sopra. Le pareti qui sono sottili sottili, si sarà confuso…»
  «La voce era la sua».
  «Io non canto dal cinquantaquattro. Glielo ripeto, non sono io, vada al piano di sopra a lamentarsi. Non se ne può più. Veramente. E anche lei, un po’ di cuore. È Natale. Ora via, la porta intanto non la apro. E non voglio niente! Lo so come fate voialtri! Ho già dodici enciclopedie qui con me! E anche il piumone. Ha capito bene sì. Non si può star tranquilli un attimo al giorno d’oggi, altro che Natale. Vada via su, o chiamo l’amministratore!»
  Scendo, amareggiato e sconfitto.

  Non troverò mai niente.
Rimango immobile a guardare il frigo vuoto, pieno zeppo di vermi giganti.
  «Cosa La affligge Signore & Padrone del cielo, della terra e del frigorifero?», mi chiede Jake, o Junior, non ho capito bene.
  «Cosa ne vuoi sapere tu giovane verme solitario? Non so cosa regalare ai miei genitori per Natale».
  «Natale? E cos’è il Natale?»
  «Una festa orribile, te lo assicuro. Una cosa di stress, caos e consumismo, dove tutti sono obbligati a fare i regali».
  «E perché festeggiate lo stress?»
  «Una roba religiosa».
  «Come il peperone?»
  «Di più, almeno il peperone voi lo vedete».
  «Come Lei? Che è il nostro Signore & Padrone del cielo, della terra e del frigorifero?»
  «Una mezza specie forse.»
Mi sento quasi lusingato.
  «Però peggio, è tipo ‘na droga ‘sta storia del Natale; ti parte l’embolo. Tutti frenetici, canzoncine ovunque e addobbi che fanno cacare.»
  «E perché Lei festeggia?»
  «Obblighi».
  «Il mio obbligo è mangiare».
  «Il nostro invece è festeggiare il Natale. Ma vedi, mio piccolo amico, non so come fare. In fondo i miei ci tengono, anche se sono comunisti».
  «I comunisti non festeggiano il Natale?»
  «No. O almeno non dovrebbero… però stiamo in Italia, il Natale è importante. Mica si possono distruggere le tradizioni così, eh…»
  «Potresti regalargli i gamberetti».
  «Cosa?»
  «L’ecosistema progettato dalla NASA…»
  «E dove lo trovo?»
  «Ohhh, in molti negozi… ma dove ti consiglierò io è meglio, è speciale…»

  La strada è una di quelle strade oscure, dove i palazzi crescono alti, ammassati l’uno sull’altro e la luce del sole non filtra mai. Le serrande delle finestre sono tutte abbassate, i vicini possono vedere, da un edificio all’altro, la vita che scorre negli appartamenti, quindi calano tutto, condannando le case ad un buio totale. Un gatto miagola appollaiato sulla massa di rifiuti gettati a terra, mi guarda un attimo, la lingua penzoloni, così pieno di pulci da fare impressione. A terra sembra ci sia stata una guerra di cartacce e assorbenti e siringhe, come se una farmacia intera avesse messo all’asta tutti i suoi prodotti. I muri sono coperti di scritte e dichiarazioni d’amore cancellate, mutate, manomesse. C’è puzza di uovo marcio. Mi stringo nel cappotto. Al centro della via c’è un negozio con un’insegna malandata, tatuata con un pennello tremolante, un carattere vecchio, d’altri tempi. Busso. La porta si apre da sola. Entro piano, come fossi risucchiato da una forza antica, atavica quasi. Ad accogliermi mille statue di mummie, vampiri e licantropi. Sulle mensole, posate con finta noncuranza, tredici maschere di cartapesta, fungo e legno aspettano solo di essere indossate. A terra un grande tappeto bucato sembra nascondere botole segrete.
  «C’è nessuno?»
Odore di incenso.
  Al bancone le statuine di elfi e fate mi guardano, coperte da un sottile strato di muschio verde.
  C’è un’altra sala, un po’ più piccola, piena di antichi disegni dall’alfabeto sconosciuto stampati su un materiale che sembra pelle, forse cuoio. Un grande ouroboros sovrasta il tutto, poco sotto il lampadario di cristallo e sette pupazzi (di quelli per i ventriloqui) mi osservano come fossero vivi.
  «Buongiorno».
Mi volto di scatto.
  Un uomo alto e molto vecchio mi guarda. Ha una lunga barba bianca che gli termina sul torace e due occhietti fini contornati da spesse rughe sbiadite. Le mani sottili si allungano a mostrare unghie che non vengono tagliate da molto molto tempo. È elegante, molto elegante, come fosse appena uscito da una serata di gala.
  «Salve, io... mi ha consigliato il suo negozio…»
Un verme, ma questo non posso dirglielo.
  «Lei è qui per un regalo, non è vero?»
  «Come fa a saperlo?», mi chiede Ganesh.
  «È Natale testa d’elefante, ovvio che sono qui per un regalo».
Il vecchio mi studia. «Potrei leggerle la mano o i tarocchi… cosa vuole?»
  «Sto cercando qualcosa per i miei genitori… i… i gamberetti ecco».
  «Forse avrebbe dovuto provare in pescheria», ride l’uomo.
Rido anche io, per educazione. «Quelli della NASA», dico.
Il vecchio si fa serio. «I gamberetti dello spazio».
  «Già».
  «Dello spazio…», ripete Ganesh tutto fomentato.
  «Aspetti qui».
L’uomo si allontana, per tornare un attimo dopo con una sfera in mano. Nella sfera c’è un piccolo ecosistema e lo stemma NASA ben visibile.
  «Una cosa tipo Area 51», gioisce Ganesh.
  «Da qui», dice il vecchio alzando la sfera, «niente entra tranne che la luce del sole. Questo è un ecosistema in miniatura che racchiude le attività fondamentali della nostra Terra. All’interno sono presenti dei gamberetti rossi e alghe grandi e microscopiche che producono ossigeno e cibo per gli animali. È un ciclo, è la natura. Il futuro… alcuni di loro sono stati mandati nello spazio profondo, alla ricerca di nuove forme di vita, per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima».
  «Ohhh», faccio io ammirato.
Guardo la sfera, da dentro un gamberetto mi osserva, sembra sorridere.
  Sono fantastici. Li voglio. Papà e mamma saranno felicissimi. Pago senza pensarci due volte, nonostante il prezzo sia esorbitante, quasi da straordinario al lavoro. Ma non posso farne a meno, la biosfera è il simbolo del viaggio interstellare e Christopher Nolan, al gamberetto, gli fa ‘na pippa.

  Arrivo a casa felicissimo, voglio far vedere i gamberetti al mio coinquilino e ai vermi del frigo, ma quando entro ad accogliermi trovo un cimitero di larve. I vermi sono ovunque, sul soffitto, a terra, sui mobili della cucina. Molti sono spiaccicati, altri si muovono con difficoltà, divisi in due da una mano cattiva. Al centro di tutto Simone, con un grembiule da cucina imbrattato, che ansima disgustato.
  «Cosa hai fatto?», urlo.
  «Elia… erano ovunque… uscivano dal frigorifero… stavano colonizzando casa… io… è stata una guerra, ma credo di aver vinto…»
  «Nooo! Erano miei amici! Che tu sia maledetto! Dov’è il peperone?»
Simone indica il secchio dell’immondizia. «Volevo uscire a buttarlo, ma ero troppo stanco… fallo tu, ti prego. Ora vado in camera, ho bisogno di riposo».
  Mi fiondo a cercare l’ortaggio. Eccolo. Alcuni vermi escono disperati.
  «Elia Mangiaboschi è tornato!», geme Jacob.
  «Dov’è vostro padre?»
  «È morto combattendo… narreremo le sue gesta ai nostri figli…»
  «Ma cos’è successo?»
  «Avevamo colonizzato il frigorifero, eravamo troppi ormai. Nostro padre aveva scelto di uscire, per osservare il mondo esterno. Volevamo andare via, scoprire la natura, trovare nostri simili. In mille abbiamo spinto verso la libertà. Il frigo si è aperto, siamo usciti. Lo giuro Elia Mangiaboschi, Signore & Padrone, saremmo andati via, già avevamo adocchiato la finestra… ma proprio in quel momento il perfido diavolo è spuntato dal nulla. È stato un olocausto… i nostri fratelli…»
Rimango senza parole. «Ho preso la biosfera», dico tirandola fuori dallo zaino. I vermi la osservano, i gamberetti fanno lo stesso. C’è tipo un momento di connessione animale ed io, l’uomo, sono al centro di tutto, come fossi una divinità.
  «Adesso non ti montare la testa», mi rimprovera Ganesh.
  «Salvaci ti prego, non vogliamo morire spiaccicati dall’Ama, triturati dalle sue lame metalliche».
  «Mai». Raccolgo il peperone, i vermi si attorcigliano attorno alla mia mano. Esco di corsa senza farmi vedere da nessuno, la luce flebile del tramonto ad illuminare i miei passi. Poco tempo per raggiungere la campagna di Trigoria.
  «Ecco», sorrido ai vermi. «Qui, tempo fa, abbiamo salvato un gruppo di serpenti. Andate miei piccoli amici, siete liberi».
Poso il peperone ormai putrido a terra. I vermi si guardano attorno, poi guardano me. «Grazie», dicono tutti insieme. «Elia Mangiaboschi, Signore & Padrone del cielo, della terra e del frigorifero. Cercheremo nostri simili, scopriremo questo regno sconosciuto e ci moltiplicheremo all’infinito. E un domani, in un futuro lontano, verremo a trovarti. Perché noi, Elia Mangiaboschi, siamo già dentro di te. Siamo dentro tutti voi, che pensate di poterci uccidere. Noi nasciamo dal vostro marciume, quando il corpo cede, chiuso in una bara ormai decrepita. Ci nutriremo del tuo corpo, ma lo faremo con educazione, con garbo quasi, come l’ostia sacra donata nelle chiese di tutto il mondo. Buon Natale quindi».
  Cazzo non fa una piega.
Li guardo allontanarsi, questi vermi solitari, dal peperone, verso un futuro radioso. Poi torno sui miei passi, verso casa, curioso di ammirare le nuove forme di vita (i gamberetti) nella biosfera che tutto può.
  Oggi Trigoria, domani il mondo.

È Natale da fine ottobre. Le lucette si accendono sempre prima, mentre le persone sono sempre più intermittenti. Io vorrei un dicembre a luci spente e con le persone accese”.
Charles Bukowski