lunedì 30 maggio 2016

FILO SPINATO



  C’è un cimitero immenso. È bello, grande e accogliente. Ti abbraccia con le sue mani blu e ti culla dolcemente.
  Su giù
  Su giù
Avvolge parte dell’Europa, brama corpi, carne e sangue.
  È un bellissimo cimitero.
Qualcuno sicuramente c’avrà nuotato scambiandolo per un mare, qualcun altro si sarà divertito, portando la famiglia in giro, adesso che cominciano queste belle giornate di caldo.
Il caldo lo adoro, dico davvero.
  A chiamarlo cimitero certo fa un po’ impressione e i detrattori dell’ordine, quelli che urlano sempre, vi tacceranno subito di buonismo. Io però lo continuo a chiamare così. C’è. E’ lì. Pure se uno fa finta di niente, se lo usa per le immersioni, lui sta sempre là.
  Ci sono giorni in cui vengono gettati i fiori e in quelle mattine soleggiate molti piangono, altri ridono e altri ancora, i politici soprattutto, si fanno i selfie.
  Certi giorni al cimitero ci vanno le autorità religiose.
  Anche loro piangono e anche loro gettano i fiori.
Io lo so che uno del cimitero dovrebbe aver rispetto, però a me fa una certa rabbia.
  È un cimitero immenso ed è tutto blu.
È il nostro grande camposanto.
  Mi piace ‘sta parola: camposanto.
Certo, sarebbe meglio fosse un mare.
  Maresanto.
 Nel cimitero nostro non ci sono lapidi, bare o tombe. Solo scogli, rocce e pesci che mangiano carne -«La pesca va meglio!», urlano i pescatori.
  Se guardi bene, laggiù al camposanto, capace che vedi due occhi sbarrati che spuntano dall’acqua -anche se onestamente è difficile, dal momento che gli occhi, da quel che ne so (ma prendete con le pinze le mie parole! Mica sono un marinaio!), sono la prima cosa che si mangiano i pesci. Però è una bella sequenza, cinematografica quasi, quindi ve la lascio immaginare: voi che state per tuffarvi, il costumino rosso aderente sul fisico scolpito, l’aria che vi taglia il viso, lo sguardo rivolto alle onde e, d’improvviso, due occhi vitrei che vi fissano da sotto il mare.
  Qualcuno dirà di certo che io sono un buonista, che voglio accoglierli tutti. «Portali a casa tua!», urleranno già in preda all’isteria, come hanno fatto col buon Gianni Morandi. «A scrivere ‘ste quattro stronzate!», «Radical chic di sinistra!», e giù ancora valanghe di insulti. Vorrei quindi, una volta per tutte, dirvi che, Signori miei, io non sono buonista. A me, per dirla alla romana, me rode tanto er culo. Io vorrei, eccome se vorrei, che a voi succedesse tutto il male del mondo, che scoppiasse una guerra a casa vostra, nel palazzo vostro, che ne so, tra quelli dei piani alti e quelli dei piani bassi, aristocrazia VS proletariato, e che la vasca si riempisse d’acqua e che poi occupassero il vostro appartamentino e gli abitanti di un’altra palazzina venissero proprio a casa vostra a fregarvi il sale, tutto il sale ché hanno fatto un patto con quelli dei piani alti e voi, perdenti, foste costretti a scappare in ascensore e dopo, solo dopo aver subito le peggio torture dal macchinista, foste costretti a vivere chiusi in un campo per richiedenti asilo allestito proprio nel giardino condominiale, in una tenda fornita da un’organizzazione umanitaria, un pasto al giorno se vi dice culo, solo merendine del discount; mi piacerebbe che iniziasse a piovere così forte da distruggervi la tenda, che già era scrausa ma adesso fa proprio schifo, e che arrivasse pure la sbirraglia a manganellarvi un po’, giusto perché abitavate nella parte sfigata del palazzo. Ma, visto che i miei sono solo sogni (sogni di guerra perché no, non sono manco pacifista a tutti i costi), preferisco snocciolare un po’ di dati, per far capire ai più sprovveduti il periodo storico in cui ci viviamo.
  Ecco quindi, Amici & Amiche, la breve lista di alcuni paesi in guerra, vicini quel tanto che basta alle nostre amate e fortificate case:
  In primis, ovviamente, c’è la Siria; con i suoi 22 milioni di abitanti, a seguito dei bombardamenti da parte degli americani e dei russi, s’è trovata a dover affrontare una bella crisi umanitaria con ben 4,8 milioni di uomini, donne e bambini che se la sono data a gambe.
  Poi c’è l’Iraq. L’Isis qui c’è andato giù pesante, facendo scappare 3,5 milioni di persone.
  In Afghanistan non è andata molto meglio: tra talebani, persecuzioni, americani ed estremismo religioso sono fuggite 2,6 milioni di persone.
  C’è pure il Pakistan certo con i suoi 262.000 rifugiati.
Da cosa scappa ‘sta gente? Dalle guerre, dalla fame, da quello che gli abbiamo messo in casa.
Come vivono? ‘Na merda.
  Cosa sono per noi? Poco più che numeri. Ché a contare si perde il senso delle cose, uno più uno meno. Un trafiletto sul giornale, la notizia poco prima del servizio della cioccolata senza olio di palma. Basta che non siano dei nostri, se sono dei nostri è la fine.
  Oh, tra l’altro e per inciso, io penso che qualunque confine sia inutile e dannoso, non credo nelle nazioni, non credo nella patria e manco nelle frontiere. Quindi, per fugare ogni dubbio, una persona che scappa dal Bangladesh perché non c’ha un soldo e muore di fame ha gli stessi diritti di uno che fugge dalle guerre. Che poi la fame, mi chiedo io, non è pure quella una guerra?
  Ma noi, Compagni & Compagne, siamo buonisti. Fortuna che il mondo si regge sugli altri, i sani difensori della nazione. I guerrafondai per gioco, ché col metodo loro oggi sì che viviamo in un mondo migliore, sicuro, tutto cuori e fiori. Quelli che ad esempio stanno a distrugge’ Schengen (riflettendo una delle poche cose buone che ha fatto l’Europa). Come potranno adesso i ragazzi Erasmus partire per andare a studiare in Austria? In Germania? In Francia? Sarà forse la volta buona che i giovani d’Europa si ribelleranno all’oppressore?
  Ma scusate, divago, oggi sto in vena di numeri, mi piace snocciolare. Perché sapete? Ogni tanto, lo dicevo pure nel raccontino scorso, mi domando perché non scrivo fantascienza. Eh. In fondo io mi nutro di fantascienza, mi piace proprio, l’adoro. Soprattutto quella che parla di futuri ipotetici, dove regnano regimi securitari che controllano la popolazione. O quella che parla di recinti e filo spinato. L’adoro cazzo. Mi piace proprio. Pure da piccoletto, quando usciva un film così sicuro correvo al cinema. «Papà!», urlavo, «Eddai andiamo al cinema!». Mio padre mi ci portava, ché anche a lui la fantascienza piace tantissimo. Io ci sono cresciuto con le robe cyberpunk. Poi c’era tutto Philip Dick, James Ballard, George Orwell. Cristo se ci sto in fissa. Sono tipo autistico io, leggo solo ‘ste cose. Ma allora, mi domando ogni tanto, nelle notti di luna piena, perché non scrivi fantascienza? Perché perdi tempo a raccontare quel che ti avviene attorno? Poi la risposta me la dà l’Europa, la fortezza mia, il mio piccolo fantastico angolo di paradiso di ferro. Mi protegge, mi ama, mi culla, mi coccola, mi incute timore, mi terrorizza.
  Pur di non far passare nessuno si macchia di sangue, è tipo un serial killer, e di quelli spietati.
  Lungo le frontiere del vecchio continente sono morte, dal 1988 a febbraio del 2016 almeno 27. 382 persone, di cui 4. 273 solo nel 2015 e 3.507 nel 2014. Poca roba per un continente che in altri secoli è riuscito a sterminare interi popoli. Numeri e numeri e numeri. Per sentirci più sicuri, più protetti, padroni a casa nostra. D’altra parte, per citare i manifesti elettorali del candidato alla carica di sindaco di Roma, tale Iorio, dobbiamo “Fermare l’invasione aliena”. Più science fiction di così.
  Quindi sì, viviamo in Europa, ‘sta bellissima donna con il coltello in mano e le labbra macchiate di sangue. Una vecchia signora un po’ triste, paurosa, obesa e vigliacca.
  Io non c’ho bisogno della fantascienza, all’Europa gli Hunger Games glie fanno ‘na pippa. Noi abbiamo interi paesi fortificati, avvolti da filo spinato e telecamere, confini presidiati da carro armati e militari con la bava alla bocca. Noi abbiamo i campi strapieni di disgraziati, tipo quel bellissimo film, com’è che si chiama?
  «I figli degli uomini», mi fa Ganesh, il mio amico immaginario.
  «Ecco grazie, I figli degli uomini».
Da noi c’è l’ordine, la disciplina, l’amore per la patria. Noi c’abbiamo la guerra in casa e costruiamo muri, come un serpente, uno dietro l’altro.
  Ricordate la canzoncina che cantavamo sempre da piccoli?
Questa è la coda del serpente
che vien giù dal monte
per ritrovare la sua coda
che ha perduto un dì
Paro paro.
Barriere.
  La prima è stata la Bulgaria, con ben 100 chilometri di muro.
  Poi l’Ungheria con un bel muro al confine con la Serbia, alto 4 metri e lungo 175 chilometri.
  A questo punto l’Austria innalza il suo sbarramento di filo spinato con la Slovenia.
  Allora la Slovenia che fa? Costruisce pure lei un muro, ‘sta botta contro la Croazia  (165 chilometri di filo spinato).
  Ma torniamo a noi, nella nostra Italia, ché gli austriaci vogliono fare quest’altra barriera, là sui monti con Annette, sul Brennero. E a nulla servono le (poche) prese di posizione del nostro governo o le manifestazioni di protesta di chi il filo spinato non lo vuole; loro, gli austriaci, non vanno per il sottile. Voglio dire, poco ci mancava che mandavano a capo del paese uno strano omino, Norbert Hofer. Un nazista. Ma va bene così. Cavalcano le paure questi qui, l’ignoranza. Ignoranza sì. Una massa di ignoranti si aggira per l’Europa. Gente stupida, razzista, cattiva, bigotta, becera; sottoproletariato, l’avrebbe definita Marx. Persone che votano Salvini Meloni Le Pen Hofer. Persone che hanno paura perfino della propria ombra, uomini e donne nati diffidenti e sospettosi. Quelli che guardano male il tizio dalla pelle nera che entra nel portone del palazzo per mettere due volantini, le vecchie che impiegano tre ore per prendere un barattolo di pomodori e si schifano dello zingaro accanto, i signori che ingurgitano televisione dalla mattina alla sera, i ragazzini che vanno a fare il saluto fascista al corteo di CasaPound, gli adulti che dicono che gli immigrati rubano il lavoro. La maggioranza sì, quelli coccolati dai politici di tutto il mondo. Il vicino di casa che non è razzista però gli indiani puzzano, quell’altro che invoca le ruspe, il tizio che sgomma contro il lavavetri. Fate schifo ar cazzo.
  Però oh, c’avete un bel successo eh.
  A voi vi seguono tutti.
  Siete l’Europa.
  Siete l’occidente.
Prendiamo gli Stati Uniti d’America, terra di promessa e libertà, dove un uomo con il viso rosso come un peperone rischia di diventare il nuovo presidente. Dice, il peperone: «I rifugiati che arrivano hanno telefonini con sopra la bandiera dell’Isis, e chi paga loro l’abbonamento?», «Vieterò l’ingresso ai musulmani!» o anche, sui messicani, «Sono tutti criminali e stupratori… bisogna costruire un muro al confine con il Messico!»
  ‘Sta cosa dei muri torna sempre.
Il muro ha tutto un suo fascino, è sinonimo di protezione e sicurezza. I castelli avevano i muri e c’è anche la muraglia cinese, riflettendo. Pure il muro in Germania c’era. Il muro divide e protegge. Il muro controlla chi è dentro e chi fuori.
  Trump, per la cronaca, ha promesso a più riprese che se verrà eletto reintrodurrà il metodo di tortura per annegamento simulato. Così, tanto per. Finalmente un vero americano, tutto ordine, donne e distintivo.
  Ma mica dobbiamo spostarci dall’altra parte del mondo per sentire certe cose. C’è casa nostra, noi abbiamo la Lega Nord. Se il peperone promette la tortura Matteo Salvini dice, cito testualmente: «Proporrei (…) quattro mesi di servizio civile o militare per insegnare ai ragazzi e alle ragazze a saper usare le armi». Perché giustamente le ronde come le fai sennò?. Oppure, sempre Salvini: «Ho scritto al presidente di Atm perché valuti la possibilità di riservare le prime due vetture di ogni convoglio alle donne che non possono sentirsi sicure per l’invadenza e la maleducazione di molti extracomunitari. E andando avanti così le cose saremo davvero costretti a chiedere dei posti da assegnare ai milanesi».
  Non è l’unico però, nel partito suo a sparare cazzate sono in tanti: Fedriga: «Quando andremo al governo per prima cosa aboliremo per gli stranieri la legge sulla privacy. Devono essere controllabili e monitorabili in ogni loro attività». Borghezio: «Agli immigrati bisognerebbe prendere le impronte dei piedi per risalire ai tracciati particolari delle tribù».
  La Lega in Italia non è sola. Il candidato a sindaco di Roma di CasaPound dice: «Noi dobbiamo venire prima degli altri», «Noi vogliamo che i cittadini abbiano la possibilità di organizzarsi in gruppi di volontari che presidiano il territorio», «Noi vogliamo chiudere tutti i centri di accoglienza».
  Ecco qua. Il nostro bel paese, dove persone del genere hanno la possibilità di parlare in nome di una presunta democrazia.
  Vi odio sì.
Vorrei concludere questo piacevole Racconto del Martedì (detto anche Sfogo del Martedì), con una piccola riflessione su quel che avviene in Grecia, a Idomeni, dove è cominciato lo sgombero del campo e degli altri spazi allestiti per i rifugiati.
  Le situazione nei centri, dai racconti di alcuni soci che ci sono andati, è disastrosa. Le persone vivono nel fango, in mezzo alla sporcizia. Quindi provano a scappare, forse verso la Macedonia, e allora vengono picchiati dalla polizia, morsi dai cani, derubati e portati in prigione. Oppure si ribellano e organizzano le rivolte, piccoli focolai che si espandono a macchia d’olio. Partono le cariche delle guardie e il lancio di lacrimogeni. Mi hanno detto che i bimbi piangono quando arrivano i lacrimogeni, cioè, sono proprio traumatizzati, come se li avesse colpiti un proiettile. Perché? Perché la guerra l’hanno vissuta e le bombe se le ricordano, il lacrimogeno lo scambiano per un esplosivo. Eppure queste persone non si arrendono. Non le ferma nessuno. Hanno visto il proprio paese distrutto dai conflitti, sono fuggiti attraversando il deserto, bloccati nelle carceri, violentati e torturati, hanno viaggiato in mare su un barcone troppo stretto, le onde alte e i compagni morti, sono caduti e si sono rialzati, il miraggio dell’Europa negli occhi. Sono arrivati qui e sono stati imprigionati nei campi e ora attendono. Secondo me sono degli eroi. E non lo dico con retorica. Eroi veri, gente che ha affrontato di tutto. Cose che noi vediamo solo nei film.
  Fino al 2015 sono arrivati 1014836 migranti in Europa; solo in Italia, nei primi cinque mesi del 2016, sono sbarcate oltre 40 mila persone. Si vengono a prendere ciò che gli spetta di diritto. Per quanto proviate a bloccarli loro sono qui. Potete imprigionarli, torturarli, piegarli. Non si fermeranno, ne arriveranno altri. Siete perdenti. Lo sputo della storia. Fatevene una ragione. 
  Perché non scrivo di fantascienza?
Io ce l’ho qui la fantascienza, è a casa mia, nel continente mio. Ha un lungo filo spinato che l’avvolge e telecamere ovunque. È fatta di terrore, controllo, paura e morte. Narra di guerre e di lotte interne. Ha come protagonisti popolazioni cattive e popolazioni povere. Disegna una società governata da dittatori democratici con la bava alla bocca e la faccia da bravi ragazzi. Si perde a narrare le gesta dei vecchi al bar, degli occhi elettronici, dei campi profughi, dei cortei contro i campi rom; si commuove per la sorte di due marò e dimentica i pescatori uccisi. Si dilunga sulle armi e sulle impronte digitali. Ma soprattutto enfatizza gli schieramenti e mi chiede, ogni giorno, da che parte sto.

Fonti: Fortress Europe, Route to Europe, UNHCR, La Repubblica.

  Non si fermano le tragedie in mare, di conseguenza “Filo spinato”, scritto la settimana scorsa, è già datato e non conta le vittime degli ultimi giorni.

lunedì 16 maggio 2016

ROSPI



  Allora, c’è questo bel bosco tutto pieno di alberi e foglie e animali. Ci sono i grilli, le farfalle e, se aguzzi bene la vista, pure un paio di cervi.
  Poi ci siamo noi: Anita ed io. Anita come al solito è bellissima, attraente, semplice e sensuale al tempo stesso. Insomma, tutte le smancerie mielose a cui vi ho abituato in questi ultimi mesi (che poi riflettendo ormai sarà un anno che vado appresso a ‘sta tipa).
  «Già già, una bella giornata», mi fa Ganesh.
Dimenticavo, come al solito nei momenti romantici c’è sempre di mezzo lui, il mio simpatico amico immaginario.
  «Sì, ottima direi… ‘fatti potresti pure andare a farti una passeggiata da solo, in solitaria… ad annusare le margherite e a cercare i topi».
  «Ma no, lascialo stare con noi, è così simpatico.»
Beh, certo, simpatico è simpatico, visto che è roba mia, però a me l’intimità la toglie lo stesso. Sono anni che mi toglie intimità. Come quella volta, in camera della ragazza da poco conosciuta, ad un simpatico party universitario, ubriaco al punto giusto, con i pantaloni mezzi slacciati; che mi compare lui no? Con la sua capoccia d’elefante, a darmi consigli su come indossare il preservativo. Ecco, ogni tanto sarebbe meglio rimanesse fuori dal giro mio, giusto ogni tanto. Solo…
  Un momento…
  non è possibile.
  «Beh, mo chi ti credi di essere? Non è che sei tu ad aver scelto me eh… sono io che ti ho selezionato tra tanti. Potevo essere l’amico di Kudjoe Affutu, noto artista ghanese, o di Sif Aradòttir, bellissima modella islandese, o di Matt Baker, l’attore americano, o di Mark Daigneault, l’allenatore di pallacanestro statunitense, o di Giorgia Farina, la sceneggiatrice dico, o di Oscar Gatto, ciclista come te ma un tantinello più conosciuto, o di Alfred Aboya, o anche di Damien Bodie, Peter Gadiot, Marcus Sahlman, Mohamed Zemmamouche, Mateuz Bartel, Lenora Crichlow, Dan Cage, Zoran Erceg, Magda Culotta, Aura Dione, Sergej Grankin. Tutti più famosi di te, li menziona pure Wikipedia tra quelli nati nello stesso anno tuo. E invece ho scelto te. Che poi lo sai bene, se non stai su Wikipedia non sei nessuno.»
  «Ora non esagerare», sorride Anita, «Elia è simpatico. E fa ridere.»
Ecco, è proprio questo che non capisco.
  «Cioè tu…?»
  «Io?»
  «Lo… lo senti?»
  «Chi?»
  «Ganesh…»
  «Aho, ah bello. A sentissela calla così poi t’ammazzi eh.»
  «Scusa testa d’elefante, non ce l’ho con te… solo che tu… voglio dire, cioè, stai nella testa mia… o no?»
  «Anita mi vede».
  «E lo sento pure».
  «Ma lui… tu… non è reale…»
  «Ogni tanto sai essere veramente crudele».
Oh oh. Qui sto andando fuori di testa. Veramente di brutto. Ganesh l’ho pensato io, è il mio confidente, l’amico immaginario. Rispetto ad altri manco ci sta da tanto tempo. Per dire, il Criceto in confronto è un veterano, ché lui mi segue da decenni ormai. Ganesh me lo sono portato dal Nepal, credo.
  Ohmmioddio. Cosa ho fatto?
Ora capisco tutto!
La furia divina si abbatterà su di me! Tutte le divinità indù mi verranno a cercare! La potente Kali mi ucciderà! Dovrò scappare per sempre, braccato, costretto ad una vita di segretezza! Sarò obbligato a cambiare nome e a chiamarmi Marco Rossi! Cristo! Ho rapito il potente Ganesh e manco me ne sono reso conto! E in Nepal mi so’ pure ammalato! Saranno state le sanguisughe. Eccome.
  «Ho invocato un dio Anita. È meglio che tu fugga. Scappa finché sei in tempo!»
  «Sempre al centro dell’universo eh? Sono io ad averti scelto. Mi mostro a chi voglio…»
  «Ganesh, non è che qualcuno ci ha seguito? Senza offesa, ma tu sei un po’ la divinità buffona…»
  «Bada a come parli misero uomo…»
  «Scusa.»
  «Ehi, guardate là». Anita indica un punto indefinito del bosco. Seguo il dito e lo vedo, un piccolo gruppo di uomini sta danzando attorno ad un fuoco.
  «Andiamo!»
  «No, aspetta…»
Cazzo stavo così bene, okay Ganesh che si fa vedere dalla ragazza ma addirittura il party della foresta no, altro che intimità.
  Già, che poi com’è che ci sono finito qui dentro?
Corro anche io, seguendo l’(ex) amico immaginario e Anita. Poi mi blocco di colpo e sbarro gli occhi. Per un secondo il cuore cessa di battere. Trattengo il respiro. La gente che balla fa impressione. Danzano attorno al fuoco solo uomini gobbi, vecchi e con i vestiti a brandelli. Ridono senza denti e allungano le dita ossute verso il cielo. La fiamma piroetta nell’aria creando strane forme innaturali.
  Ogni cosa muta.
Il buio cala improvviso, come fossimo in un cartone animato per bambini. Anita si blocca, Ganesh fa lo stesso. I vecchi non fanno caso a noi, continuano a urlare al cielo come pazzi. Qualcuno trema, qualcun altro cade a terra sfinito. Un vento sottile si leva nell’aria, creando uno strano suono, un ululato lugubre. Gli uomini alzano e abbassano le braccia, strappandosi di dosso i pochi stracci che ancora li coprono. Mostrano corpi scheletrici, tisici, scavati.
  Cazzo sicuro sono venuti a prendere Ganesh. «Fatti indietro testa d’elefante, ci penso io», dico già leggendario (più per far colpo su Anita che per vero coraggio). Lei mi osserva. Sicuro penserà di avere accanto un eroe dotato di molta immaginazione. Un buon padre per una futura prole, un brav’uomo.
  No, un brav’uomo no.
I vecchi però non ci degnano di uno sguardo, continuano solo la loro danza macabra, come se non esistessimo, come se fossimo invisibili.
  «Guarda i loro occhi», mi fa Anita.
Buchi. Fosse lugubri. Nere. Senza niente dentro, solo carne scavata.
  Sorridono e ad ogni sorriso cadono denti. Solo ora noto che a terra una massa di denti marci fa da pavimento. Denti di tutte le forme e le dimensioni. Canini, incisivi, molari.
  Alzano le braccia, allungano le dita. Cosa tengono in mano?
Sono… rospi.
  Ogni vecchio stringe un rospo con forza, fin quasi a stritolarlo.
  «Forse sarebbe meglio andare…», dice Ganesh.
Ma è troppo tardi. All’unisono si voltano verso di noi. «Siete arrivati», gracchiano. «Mangiate». Ci porgono gli animali ancora vivi. «Mangiate, è per voi». Alle loro spalle scorgo adesso strane figure, manichini impiccati, pupazzi di legno e… gli abitanti della Stanza dei Bottoni: Grande Puffo, Karl Marx, Sigmund Freud, Superstellino, Yogi Bhajan, il Criceto, Mastro Lindo. Sono tutti lì, immobili, bloccati da una lunga ragnatela aggrovigliata. Bakunin allunga la mano verso di me. «Mangia», geme. Dall’albero più alto scende l’immenso ragno.
  La Stanza dei Bottoni non c’è più.
  Mi sento…
  perdere.
  Il vecchio mi porge il rospo.
  «Sono vegetariano…»
  «Saziati», sibila la Kundalini dal ramo scheletrico. «Succhia…»
Anita mi osserva.
  «È il frutto proibito», dice un tizio dai capelli bianchi cavalcando un delfino con zampe di cavallo. «Assaggialo».
Non posso, io la carne non la mangio.
  Una vecchia compare dal nulla, ha capelli grigi che le cadono lunghi sulle schiena toccando terra. È nuda e il seno le scende giù, fin quasi l’ombelico; è così magra che pare quasi di poter vedere le ossa. La pelle è scomparsa, sembra trasparente. Le unghie dei piedi raschiano a terra spezzate, sbattendo contro il pavimento di denti. Mi dà un coltello con una strana incisione sul manico. «Sbuccia».
  Lo afferro e spello il rospo, togliendo la pelle soffice come la buccia di una mala. La vecchia afferra quella che, in questo momento, mi sembra proprio una mala. «Ora succhia», dice spremendola.
  Avvicino le labbra al rospo.
  Avvicino le labbra alla mela.
  E succhio.
Il liquido nero cola dalla bocca e scende giù, lungo il torace.
  Mi volto. Anita e Ganesh sono scomparsi. I vecchi urlano a squarciagola mangiando gli animali e sbavando sangue nero.
  Chiudo gli occhi.
Sono sdraiato in un letto.
Non posso muovermi.
Non posso parlare.
Non posso respirare.
Le mani sono posate al centro del petto.
  Ho un vestito nero.
Cristo.
Cristo sono morto.
  Decine di persone indossano abiti lunghi e bianchi, le teste avvolte da spessi turbanti.
Né suoni.
Né odori.
  Anita mi guarda.
Sono vivo! Sono vivo!
  Ma non può sentirmi.
No.
Non lasciatemi.
Sono vivo!
  Ci sono i miei genitori, mia nonna, i colleghi, i compagni di sbronze, gli amici di sempre, i vicini di casa.
  Simone, il mio coinquilino, si avvicina e mi accarezza. «Non sei reale», mi sussurra all’orecchio. «Non sei reale».
  «Ora inspirate», dice Anita, «ed espirate…»
La Kundalini, il sacro serpente, esce dalle bocche degli invitati e mi mangia.
  Sono dentro, nel ventre.
Annaspo nel viscido.
Succhi gastrici.
  Cammino a quattro zampe, il vestito buono, quello del mio funerale, macchiato di strani liquidi verdi. In lontananza c’è una casa, è una piccola casetta in mezzo al bosco e del fumo esce dal camino. Attorno è tutto nero.
  Busso tre volte, poi due, poi tre.
Di nuovo.
  Screeek, cigola.
La casa è immensa, molto più grande di quel che pensassi. Una lunga scala a chiocciola sale all’infinito, piani e piani e piani.
  Salgo.
  «C’è nessuno?» urlo.
Sono solo.
  Una porta scricchiola.
Sbircio.
  C’è un uomo. È seduto davanti ad un computer, la schiena curva e il mento tirato in avanti. Batte i tasti, li pigia con forza. Ha una cravatta logora. Lavora incessantemente, da buon impiegato. Timbra scartoffie e compila ricevute. Sul tavolo una fila immensa di fogli da riempire si fa beffe di lui. Non si gira mai ma ad ogni foglio la sua schiena si piega un po’ di più. Piange. Si volta. Sono… sono io.
  Esco di corsa.
Ancora, un’altra porta.
  Alle medie. I bambini urlano e ridono, additando un bambino più piccolo, quello che fa i fumetti. Qualcuno mi sputa sopra.
  Ne apro un’altra.
C’è una macchina da scrivere immensa e un ragazzo che prova in tutti i modi ad usarla. Ma è troppo grande e lui non ce la fa. Non ci riesce, non può.
  «Lo sai», mi fa Ganesh, «che devi stare tranquillo sì?»
Le scale a chioccola non finiscono mai. Solo ora mi rendo conto che sui muri sono spillati con graffette arrugginite decine e decine di rospi.
  «Forse dovresti svegliarti, che ne pensi?»
  «Non… non ci riesco amico mio. Non posso. Ho bisogno di bere.»
Dalla bocca sgorga il liquido nero, denso.
  Ecco Anda la portinaia venirmi incontro. «Li senti Elia?»
Sì, i tacchi della vecchia del piano di sopra. Battono a qualunque ora del giorno e della notte.
  Ticchettano.
  «Anda, ho bisogno d’acqua», gemo.
  «Chiedi al Vecchio, colui che riscuote l’affitto.»
La porta oscura.
La apro.
  «Salve…»
  «Dovresti pagare», dice una voce nel buio.
  «Prometto che pagherò. Non ho soldi adesso, solo i buoni pasto.»
  «Mi ricordi Lui. Ma Lui non c’è più».
Note di pianoforte.
  «Acqua, la prego…»
  «C’è un tubo.»
Le pareti si allargano e si stringono. Mi comprimono.
Questa casa… è immensa.
  «Voi giovani. Senza futuro, senza speranze, buoni solo a succhiar rospi».
  Decine di serpenti nascono dalle pareti. Mi parlano. «Mangiabosssssssschi… Mangiabosssssssssssssssssssssssschi… Mangiabosssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssschi».
  «Io… vi ho salvato…»
  «Bevi», mi fa Il Vecchio.
Artemio, l’amico bastardo di Anita, mi passa il tubo verde, di plastica.
  Lo metto tra le labbra. Le mie mani si muovono da sole e continuano ad infilare il tubo. Artemio gira la manopola. Tracanno.
  Spalanco la bocca, il serpente schizza via. Sputo. Dalle labbra spuntano rospi e zampe di scarafaggi.
  «Svegliati… è troppo per te. Apri gli occhi», bisbiglia Anita all’orecchio.
  Spalanco gli occhi.
  Sono sveglio.
Mi guardo attorno. È tutto in ordine. Il letto, la stanza, la scrivania.
  Allungo la mano alla ricerca dell’acqua. Stringo lo sguardo osservando il braccio.
  Poi lo sento, il prurito.
  La schiena contratta.
  Mi tocco le zampe, il corpo viscido, squamoso.
Allungo gli arti e faccio un grande salto in avanti.
  I pensieri volano via.
Guardo in alto. Un giovane con la bocca viola mi osserva disgustato, ha in mano una forchetta e un coltello con una strana incisione.
Lo osservo meglio. I capelli scuri, il corpo magro… quello… sono io!
  «Sono vegetariano», balbetta.
  «Mangiaboschi», dice Il Vecchio al ragazzo, «mangia la rana».
Elia allunga la forchetta verso di me. 
E mi mangia.  

La prossima storiella esce  martedì 31 maggio...