L’occhio sinistro si apre di scatto.
Poi il destro.
Mi alzo.
Buio.
Di nuovo.
Il suono.
Niente.
Non c’è niente.
Anda (la portinaia) sta sistemando le lucine sull’albero di Natale.
GRANDE PUFFO: E noi odiamo il Natale.
SIGMUND FREUD: Però questo la signora
Anda non lo sa, anzi… è convinta che il diletto adori l’allegra festività.
KARL MARX: Elia è un buono, mai darebbe
un dispiacere ad una proletaria.
MICHAIL BAKUNIN: E’ una festa del cazzo.
Vedi Karl, è proprio questo il tuo errore. Troppo possibilista, mediatore. Il Natale
va abolito, te lo dico io, assieme al presepe e ai canti nelle scuole.
MATRO LINDO: Non cominciate. Ogni anno a
discutere, tutti gli anni, da quando ci conosciamo. Siete dei bacchettoni di
sinistra. Gustatevi l’atmosfera di festa, le strade addobbate e il sorriso dei
bambini!
FEDERICO MOCCIA: Il sorriso di un
bambino vale più di mille parole. Basta ascoltarlo per dipingere il cielo...
MATRO LINDO: Piuttosto, non vi sembra un
tantinello in disordine la Stanza dei Bottoni? Come possiamo manovrare l’adorato
con tutto questo caos? Al joypad chi ci sta?
LA VECCHIAIA: Ci sono io, tranquillo.
Con me Elia non corre rischi.
GRANDE BUFFO: Ah, signora bella, lei sì
che ha il polso della situazione…
Anda
mi guarda. «Che te ne pare?», chiede.
«Bellissimo», rispondo osservando le palline viola e la stella cometa
viola e gli addobbi viola. «Fantastico».
«Elia, dì un po’, ma ieri non hai sentito niente?»
«Hmmm, adesso che ci penso sì,
un suono strano… boh.»
«Saranno le tubature…»
Notte.
È il suono a svegliarmi.
CARL GUSTAV JUNG: Che poi è una bella
sfortuna amici, già Elia soffre d’insonnia...
UNA MOSCA: Si sveglia per ogni cosa. E
giuro, non sono io a ronzare.
GRANDE PUFFO: Oh, chi ha acceso la luce?
C’ho bisogno di riposare ecchecazzo!
CARL GUSTAV JUNG: Grande Puffo, non
senti?
GRANDE PUFFO: Superstellino, dove sei?
Prepara un caffè. E tu, Mosca, fai alzare l’amato, andiamo a controllare.
Mi alzo. Seguo il suono, sembra quasi un fruscio... no, non un fruscio…
come se… sì, qualcuno strisciasse.
«‘Giorno Simone», dico al coinquilino, «sentito niente stanotte?»
Simone mi guarda, gli occhi avvolti
dalle caccole, la macchia di sugo ammuffito sulla canottiera, la sigaretta in
bocca. Sbadiglia. «Pure il Signor Mario me l’ha chiesto, l’oscuro
amministratore che tutto vede… come se fossimo noi i colpevoli. Mi guardava
strano, ‘stammerda. Con sospetto ecco. Dice che tutte le notti facciamo un gran
baccano… che strisciamo a terra. C’era pure quella là, la vecchia del piano di
sopra, che si mette i tacchi ogni sera, ‘sta stronza. Annuiva eh… che poi io di
notte dormo, mica struscio. N’è che
sei te? Soffri d’insonnia, ogni tanto mi fai paura».
«Che fa?», mi domanda Ganesh, «Sospetta? Anni e anni di amicizia
distrutti così da un banale equivoco? Sai che significa questo? Domani potrebbe
denunciarti alla Gestapo, finiresti in cella, rinchiuso in gattabuia per
l’eternità, a marcire tra i topi e gli escrementi! Nessuno verrebbe a trovarti!
Moriresti solo, abbandonato da tutti! Dimenticato! Reagisci Elia, prima che sia
troppo tardi!»
Stringo gli occhi, guardo il coinquilino infame. «E se invece fossi tu?
Che lo sappiamo tutti cosa fai di notte. A lobotomizzarti con la Play fino alle
quattro del mattino, sempre lo stesso giochetto, The Sims, crei vite virtuali,
come se fossi un dio».
LA VOCE DI DIO: E lui non è Dio! Qui c’è
solo un dio buono, unico e pure bello! E quello sono io! Diglielo un po’ Gesù!
GESU’: Eh. Vabbè che vabbè. Però il
babbo qui c’ha ragione. Stiamo pure sotto Natale. Un po’ di rispetto per la
famiglia cazzo. Facciamogli intonare la canzone dai, riportiamolo sulla retta
via. Altrimenti chiamiamo la tipa là, quella con gli occhiali, com’è che si
chiama?
LA VOCE DI DIO: Mariastella Gelmini, è
pure intonata.
GRANDE PUFFO: No no no. La Gelmini no.
Facciamogli puffare ‘sta canzone va. Superstellino, passa il bourbon e pure un
sigaro già che ci sei, di quelli cubani.
«Tu sceeeendi dalle steeeelle»,
canto, improvvisamente ispirato.
Rimango sveglio, giro per casa.
Di nuovo, il suono.
Lo seguo, il cuore scoppia.
Avvolto nel buio .
In cucina. Ecco. Viene da qui. Uso tutti i miei poteri psichici. Il mastro
Yoda mi guarda. «Fare o non fare, non c’è provare», dice. Poso l’orecchio
sinistro sulla parete. Strano, il suono proviene dal muro. Da dentro.
Incontro Lola nell’androne del palazzo. «Non riesco più a dormire, ‘sto rumore
mi sta mandando ai pazzi, tu ne sai niente?», mi chiede.
GIUDA ISCARIOTA: Il sospetto si annida
tra gli abitanti del palazzo. Ognuno guarda l’altro in maniera diversa. Tempo
un paio di giorni e sarà la fine. Elia verrà crocifisso.
IL CRICETO: Dobbiamo fare qualcosa.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Facciamo
come quando eravamo bambini, vi va? Il diletto ha sempre adorato indagare.
GRANDE PUFFO: Mi puffa ammetterlo ma ‘sta
botta Supestellino c’ha ragione. Dobbiamo indagare.
Decido di scoprire il mistero del suono.
Il mistero del suono, detto anche il MISTERIOSO MISTERO DEL SUONO
MISTERIOSO ottenebra ogni mio pensiero. Anche al lavoro, io che sono così
diligente, non riesco a pensare ad altro. Tutto il mio essere è protesto là,
alla ricerca della soluzione dell’enigma. È che ce l’ho nel sangue, ‘sta cosa
delle indagini. Pure quando ero piccolo,
sempre stato in fissa. Ci facevo i gruppi con gli amici, intere bande, c’avevamo
pure il cartellino, che era ‘na cosa tipo distintivo e a ripensarci oggi che
volevo fare la guardia…
«No», mi fa Ganesh, «non la guardia. Volevi essere un indagatore
privato. Proprio come Dylan Dog. Mica ‘no sbirro. A te la polizia t’ha sempre
fatto paura. Pure i militari. Visto sì quando prendi la metro che entri in
paranoia con tutte ‘ste divise che girano? C’hai pure scritto ‘na cosa, tutto
serio serio che non ti crede nessuno quando ti dai un tono, da uomo maturo.»
«C’hai ragione testa d’elefante. L’investigatore privato. Devo
prepararmi, stasera affronterò il MISTERIOSO MISTERO DEL SUONO MISTERIOSO».
Rimango sveglio, avvolto nel lungo impermeabile grigio. Simone mi saluta
alzando gli occhi, visibilmente preoccupato. Cos’è che ti turba amico mio? Il
mio abbigliamento da prode tutore dell’ordine? Il cappellaccio di pile nero
Quechua? O forse il terrore di essere scoperto? Perché sì, sospetto anche di
te. Ma dovresti ringraziarmi, risolverò una volta per tutte l’oscuro enigma che
minaccia il sonno degli abitanti del palazzo.
Fumo una sigaretta.
Mezzanotte.
Un’altra.
L’una.
Bevo quattro birre.
GRANDE PUFFO: Evvai! Comincia la festa!
Le due.
Accendo la Play (abbassando il volume).
Il vero investigatore non si fa
scoraggiare dalle avversità. Può aspettare ore, giorni, mesi, appostato, in
attesa di un segno, mangiando ciambelle e bevendo caffè.
Le tre.
Un suono.
SERGENTE HARTMAN: In piedi palle di
lardo! Non avete sentito niente?!? Forza! Hop
hop hop!
Mi volto di scatto. Mi alzo piano, senza far rumore. Accendo la torcia,
stringo il mestolo (arma maestra di un qualunque investigatore casalingo).
Seguo il suono.
Trattengo il respiro.
«Sono armato», sussurro per non svegliare Simone.
In cucina.
Vuota.
Ma il rumore è qui.
Proviene dal muro.
Striscia.
Fsssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssh
Alzo lo sguardo.
Dal soffitto.
Decine di vermi mi scrutano minacciosi.
Poi cadono.
E mi avvolgono.
Quando riprendo i sensi è mattina. Sono sdraiato a terra. Mi alzo di
corsa, il coinquilino non deve sapere.
Al lavoro rimango in silenzio, compilando scartoffie e timbrando
ricevute. Dalla manica spunta un piccolo verme solitario.
«Ciao», sussurro.
«È Lei Elia Mangiaboschi, Signore & Padrone del cielo, della terra e
del frigorifero?»
«Shhh, non è prudente parlare
qui, potrebbero scoprirci. Vedi là su? Quella si chiama ‘telecamera’, è
l’occhio del Principale. Andiamo in bagno, lì staremo al sicuro…»
Corro in bagno.
«È Lei Elia Mangiaboschi, Signore & Padrone del cielo, della terra e
del frigorifero?»
«Sì, sono io», rispondo gonfiando il petto.
«Lei sa chi sono io?»
«Tu sei un piccolo verme.»
«Io sono il figlio della Collettività.»
«Di chi?»
«Propropropropropro nipote dei leggendari Jacob, Jake, Jalen, James,
Jared, Jarod, Jason, Jasper, Jay, Jaylen, Jeb, Jed, Jeff, Jeffery, Jem, Jemmy,
Jep, Jericho, Jerold, Jerrod, Jesse, Jim, Jimi, Joby, Joe, Joel, John, Johnie,
Joseph, Josh, Joshua, Judah, Jude, Julian, Julius, Junior, Justin, Jert e
Batuffolo. Si ricorda di loro?»
«Come potrei dimenticarli?»
«Bene, ho un messaggio per Lei».
Aspetto che Simone si addormenti, narcotizzandolo con dodici birre e
trentaquattro spini di fumo buono. Poi scatto in cucina. Loro sono tutti lì e
mi guardano, centinaia di occhi puntati su di me. Qualcuno struscia a terra,
qualcun altro si fa largo tra il cibo avariato, altri ancora sgattaiolano via
dal secchio dell’immondizia.
C’è puzza.
«Buonasera», saluto.
«Salve Elia Mangiaboschi, Signore & Padrone del cielo, della terra e
del frigorifero», rispondono in coro, come se fossero un unico essere.
KARL MARX: Vero comunismo questo, dovevo
provarci con loro a fare l’Internazionale, mica no.
«So perché siete qui», dico provando a darmi un tono, da divinità insomma.
I vermi mi osservano con reverenza. «Alcuni
di noi», dicono, «non erano nati, altri sono rimasti ibernati a lungo nel Suo
vecchio frigorifero giallo, liberi grazie all’ultimo disgelo. Abbiamo vissuto a
lungo in clandestinità, nella grande foresta di Trigoria, ma ora siamo tornati.
Le leggende narrano di un tempo felice in cui i nostri avi vivevano qui,
assieme a voi umani, nell’immenso frigorifero giallo, nostra prima dimora. Un
tempo in cui uomo e verme convivevano in pace e serenità. Avevamo una casa, il
magnifico eden, il peperone marcio, e Lei, nostro Signore, ci procurava il
cibo. Fino a che l’idillio non venne interrotto dal diavolo, l’orrendo mostro
di carne!»
I vermi più piccoli sibilano un «Ohhh»
impaurito, nascondendosi dietro i corpi viscidi delle mamme.
«Fu lui a sterminarci e a distruggere l’eden! Il malefico Simone, quello
che Lei chiama semplicemente coinquilino, la Sua controparte malvagia, sedotto
dal lato oscuro della Forza. In tanti morirono. Ma con onore! Battuti da un
essere deforme molto più grande di noi! E chi fu a salvare i nostri avi?»
«Elia Mangiaboschi Elia Mangiaboschi Elia Mangiaboschi Elia Mangiaboschi
Elia Mangiaboschi».
«Lei ci strappò al pericolo, portandoci nella verde campagna di Trigoria
e li prosperammo e crescemmo, mischiandoci agli indigeni e colonizzando
l’intera terra. Fu un tempo di pace dove i figli di Elia germogliarono come
fiori a primavera. Intere quartieri vennero eretti in Suo onore e una piccola
città fu costruita. Ma altri, i più sfortunati, rimasero qui, congelati nel
reparto freezer del Suo vecchio frigorifero giallo. Poi, un giorno, l’era del
disgelo giunse e i nostri fratelli si svegliarono.»
«Vendetta! Vendetta!»
«Sì, bramavano vendetta. La conquista dell’intero palazzo degli umani
era il loro unico sogno, un desiderio oscuro, squamoso. Ma ancora di più...
sopra ogni cosa… la voglia di mangiare il corpo di Simone, il diavolo. Poi però
successe una cosa. A bloccare la loro sete fu una pubblicità trasmessa dalla
scatola, quell’ordigno misterioso che voi chiamate televisione.»
«Che pubblicità?»
«Si vede un uomo solo che deve raggiungere la famiglia. Lungo il
tragitto ha una serie di allucinazioni potenti e suggestive. Il treno, simbolo
del Sacro Verme, sfreccia veloce e nelle sue viscere l’umano si muove, tenendo
la Scatola Rosa, fonte di ogni delizia. L’uomo si affaccia al finestrino e un
serie di alberi colorati si susseguono senza un apparente ordine. È la Natura
Elia Mangiaboschi, la Natura di Trigoria, dove noi, i suoi figli, siamo cresciuti….»
«Madre Natura! Madre Natura!», urlano i più piccoli.
«L’essere umano è adesso fuori dal treno, in mano tiene ancora la
Scatola Rosa (fonte di ogni delizia), vaga perso nella strada, alla ricerca di
un… com’è che lo chiamate? Taxi. Eppure non c’è nessuna macchina ad attenderlo,
ma solo renne… renne sottomesse al volere dell’uomo, pronte però a ribellarsi!
Ma l’essere umano è furbo, non si fida. Così cammina lungo le strade innevate.
Ogni cosa ha cambiato aspetto, persino i semafori. Passa quel che sembra un
tram, o forse un autobus. Ed ecco la Rivelazione. Al posto degli esseri umani
decine di animali sono adagiati sui sedili. Capisce Elia Mangiaboschi? È il
futuro! La conquista del mondo! L’uomo finalmente sterminato, controllato da
pupazzi di neve biomeccanici. Spiato a vista, rinchiuso per sempre nella
casa/prigione!»
«Ma è la pubblicità…»
«Sì Elia Mangiaboschi. Quella che Lei definisce pubblicità altro non è
che un messaggio subliminale rivolto agli animali. Un messaggio per la
conquista del mondo. Sappiamo di una base segreta, ai confini della città, dove
bestie molto più grandi di noi manovrano gli esseri umani, i pubblicitari
soprattutto e alcuni politici che stanno in fissa con i cani. Lo spot della
Scatola Rosa è roba nostra. Al suo interno è contenuto il Dono fatto da Madre
Natura (Sua moglie naturale, se possiamo permetterci). Con il Dono noi vedremo
cose che voi umani non potreste immaginare. L’Illuminazione ci porterà alla
conquista del pianeta. I nostri sciamani sono già pronti ad ingerire il Dono.
La Visione ci guiderà verso la libertà!»
«Libertà! Libertà!»
«È un pandoro», dico.
«Non un semplice pandoro. È il
pandoro. E Lei deve trovarlo, altrimenti saremo costretti a colonizzare
l’intero palazzo, riducendo tutti gli abitanti in schiavitù e mangiando il Suo
malefico amico, Simone.»
È Natale e a
Natale si può fare di più,
È Natale e a
Natale si può amare di più,
È Natale e a
Natale si può fare di più,
per noi.
A Natale puoi.
Okay. Devo trovare il pandoro, ne va della vita di Simone. Quindi, di
prima mattina, telefono al lavoro.
IL CRICETO: Si dà malato.
KARL MARX: Compagni, deve salvare il
mondo intero!
MICHAIL BAKUNIN: Quanta responsabilità…
che eroe. Riuscirà il nostro adorato nell’impresa? Le sue spalle reggeranno una
simile sfida? O soccomberà, come molti prima di lui?
GRANDE PUFFO: Intanto facciamo finta di
essere malati. La salvezza del pianeta dipende da noi. È più importante che
andare al lavoro, o no? A far tutte ‘ste stronzate davanti al computer, come un
impiegato qualunque. Quando qua c’abbiamo ben altre cose da risolvere. Molto
più urgenti… come quella volta che c’aveva le vesciche. O quell’altra, quando
s’era otturato il cesso… o quell’altra ancora, ricordate? Erano finite tutte le
merendine, l’adorato senza far colazione mica riesce a muoversi. Comunque.
Bisogna essere maturi per affrontare un simile compito. Superstellino, togliti
subito dal joypad con cui manovriamo Elia! Non-sei-in-grado! Ché ti piace
giocare con le cose nostre e fai tutte ‘ste schifezze che manco un poppante… le
bolle col mocciolo cazzo! No no, qui serve una personcina matura, a modo, senza
particolari squilibri psichici. Un investigatore vero, ma con senso di
responsabilità. Batman, ci pensi tu?
Avvolto dall’impermeabile mia aggiro lungo i cunicoli oscuri della
metropoli. Accendo la cicca con fare scaltro, vissuto. Lunghe boccate nella
città del peccato. La cravatta rossa, mossa dal vento, si allunga nell’aria. Le
cartacce volano ovunque, un topo struscia via, cosparso di sangue e merda. Stringo
gli occhi, lo sguardo sospettoso di chi la sa lunga. Chiedo informazioni in
giro, nei pub malfamati, nei peggiori bar di Trigoria e nel losco locale di
karaoke. Il nano mi osserva, proprio davanti al bancone. Ordino un whisky
doppio all’omaccione tatuato che serve alcolici. Abbasso la voce, studio i
commensali, mi stringo nel trench. Questo posto puzza più di un bordello
olandese. Allungo una banconota al mio informatore, un lavoratore della
fabbrica di dolci. L’uomo ha una cicatrice che gli squarcia il viso a metà,
come le rotaie di un treno in una montagna. Gli chiedo del pandoro, il tizio si
gira un attimo, poi sussurra che non sa niente, che non ha visto niente. Il
barista mi serve il whisky, lo ingurgito in un solo sorso, poi ordino una fetta
di panettone.
Hmmm.
Abbasso gli occhi, due vermi mi
osservano nascosti.
Torno a casa stanco. Non ho cavato un ragno dal buco. Forse non ho
cercato nei posti giusti. Mi sfilo il giaccone e mi allungo sul divano accanto
a Simone.
KARL MARX: Che buon amico che fu! Già lo
vedo morto, ucciso dai vermi…
MASTRO LINDO: In televisione diranno:
«Era così giovane, un così bel ragazzo»…
IL CRICETO: E noi lo rimpiangeremo…
«Che fai ancora sveglio?», gli chiedo.
«Non riesco a dormire. ‘Sto suono strano mi inquieta. E poi ho una
brutta sensazione, è buffo da dire ma mi sento spiato. Prima, tipo un paio di
ore fa, mi sono svegliato di colpo, come se qualcuno mi toccasse… no,
piuttosto… come se qualcuno, qualcosa,
si strusciasse su di me.»
«…»
«Cioè, io mica ci credo ai fantasmi eh. Ho smesso a diciotto anni, però
‘sta casa è strana. Elia…»
«Eh».
«…Ho la sensazione che… non so, come se… non fossimo soli…»
Alzo lo sguardo, dietro la spalla di
Simone tre vermi disegnano un coltello immaginario.
Dormo.
Sotto al letto.
Striscia.
Mi affaccio.
Un verme gigante si contorce viscido. Mi guarda con occhietti fini,
neri, oscuri.
Si muove veloce, una scia umida subito dopo il corpo flaccido.
Poi mi è addosso.
Spalanca la bocca.
Lunghe lame affilate.
E mi mangia.
Mi sveglio di colpo, sudato dalla testa ai piedi; mi vesto veloce. Credo
proprio di aver cercato nei posti sbagliati.
In cucina mi fermo di colpo. Simone è immobile al centro della stanza.
«‘Cazzo è successo qua dentro?»
«Giuro Elia, non lo so. Forse i ladri…»
Il frigorifero è aperto, spalancato. A terra
i resti di cibo sono squarciati in due, divorati da fauci tiranne. Sui muri
grosse macchie imbrattano la vernice. Il posacenere è gettato a terra, usato
come piatto personale.
«Un verme!», urla d’improvviso Simone indicando un vermicello obeso.
«Lo vedo…»
«Non è normale! È grasso da far schifo!». Il coinquilino si avventa
sull’esserino e lo schiaccia senza pensarci due volte.
«No!», grido.
Dal basso si leva un suono acuto e
rabbioso.
Nel palazzo tutti sono in fermento, le famiglie escono allo scoperto e i
bambini piangono disperati.
«Non possiamo più negarlo!», urla Il Vecchio (il bastardo che ogni mese
viene a riscuotere l’affitto) alzando il bastone del comando, «Qualcosa di
strano sta succedendo nelle nostre case!»
«Questa mattina», annuisce Asdrubale, «ho trovato la cucina sottosopra…»
«Anche noi!»
«Anche io!»
«Ma non sono stati i ladri, non hanno preso niente», dice la signora del
quarto piano.
«Uno spettro si aggira per il palazzo», sussurra Pasquale, «lo sento
ogni notte, viene dalle mura, dalle tubature, è ovunque! Non mi fa dormire,
ogni tanto lo avverto, vicino a me, mi sussurra parole all’orecchio, una strana
cantilena, ipnotica quasi. Ho guardato su internet, è successo altre volte,
specialmente negli Stati Uniti. Dobbiamo metterci in salvo! Le anime dei
defunti prenderanno i nostri corpi!»
Devo fare qualcosa, prima che la situazione sfugga di mano.
Passo l’intera giornata a cercare ‘sto pandoro del cazzo. Supermercati,
discount, alimentari. Niente, sono perduto.
«Cosa fate?», chiedo ai vermi. «Non potete agire così. La gente ha
paura».
«Elia Mangiaboschi, Signore & Padrone del cielo, della terra e del
frigorifero, l’ala sovversiva della Collettività ha preso il sopravvento. Stufi
delle angherie degli umani abbiamo deciso di reagire. Il proletariato unito
vincerà contro lo sporco oppressore! Dalla base segreta ai confini della città
le bestie hanno inviato il loro messaggio di guerra e noi, l’ardito popolo dei
vermi, abbiamo deciso di rispondere. Oggi il palazzo, domani il mondo!»
«Ma io… sono il vostro Dio».
LA VOCE DI DIO: Cristo, s’è montato la
testa ‘sto ragazzino!
«Elia Mangiaboschi, Lei è il nostro salvatore. Senza il Suo aiuto
l’intera comunità sarebbe morta. Ma coloro che rimasero congelati nel
frigorifero nutrono rancore nei confronti dell’uomo. Sono loro l’ala
rivoluzionaria che ha preso il sopravvento. L’unica speranza per Lei, per il Suo
malefico amico e per l’umanità intera è trovare il cibo del desiderio, la mela
proibita…»
«Il pandoro».
«Sì, Elia Mangiaboschi, il pandoro».
Disperato piango, sbattendo i pugni sul letto.
GRANDE PUFFO: Non posso vederlo così, mi
si puffa il cuore.
IL CRICETO: Che grande fardello...
SIGMUND FREUD: Da grandi poteri…
CARL GUSTAV JUNG: …Derivano grandi
responsabilità.
FEDERICO MOCCIA: ‘Na bella scopata no
eh? Ma con garbo, con amore…
SERGENTE HARTMAN: Mi scoccia ammetterlo,
luridi esseri senza spina dorsale, ma ci serve un aiuto.
KARL MARX: Chiamiamo il Che! Chiamiamo
il Che!
YOGI BHAJAN: So io chi chiamare.
GRANDE PUFFO: Aho, dicevo io. Ancora non
ti si era visto. ‘Ndo stavi?
YOGI BHAJAN: Partitina a tresette con
Osho. L’ho stracciato ‘sta schiappa.
OSHO RAJNEESH: Metti a repentaglio tutto
ciò che hai. Diventa un giocatore d’azzardo! Rischia tutto, perché il momento
successivo non è mai certo, quindi perché preoccuparsi? Perché angustiarsi?
Vivi pericolosamente, vivi gioiosamente. Vivi senza paura, vivi privo di sensi
di colpa. Vivi senza temere l’inferno e senza bramare il paradiso. Vivi e
basta.
GRANDE PUFFO: Sì, sta a rosica’.
SERGENTE HARTMAN: Bando alle ciance,
inutili hippie figli dei fiori!
YOGI BHAJAN: Giusto. So io chi chiamare.
Solo lui può salvare Elia da questa situazione.
«Pace & Amore»
Alzo lo sguardo, lacrime spesse mi
tagliano il viso.
«Ciao. Io sono San Francesco… piacere».
«Salve signor San Francesco, Elia Mangiaboschi, piacere mio».
San Francesco mi guarda da dietro un
paio di occhiali da sole niente male, si pulisce la fronte con la tunica
marrone, logora. «Figliolo, asciuga la rugiada che ti macchia il volto, non è
tempo di piangere. Su con la vita. Prendi un trip, due gocce di LSD pura anche
meglio. Non vedi che bella giornata? Che sole tondo?»
«San Francesco, qui c’ho un problema. Ci sono ‘sti vermi che vogliono
conquistare il mondo e mangiare il mio coinquilino.»
«Dovremmo farli diventare vegetariani, o vegani ancora meglio».
«Inutile, sono tipi vendicativi. L’unica speranza è trovare il pandoro
allucinogeno, quello della pubblicità. Oh, sai che vai molto di moda
ultimamente?»
«Signore», dice alzando gli occhi al cielo, «fa di me uno strumento di
pace». Poi allunga l’indice verso il soffitto e una folata di vento si alza
improvvisa, la vestaglia trema un pochino, il dito si illumina. «Dio mi ha
parlato. So dove andare».
«Io là dentro non ci voglio andare!»
«Non fare il bambino Elia», mi rimprovera Ganesh.
«No no no!»
«Ascolta il tuo falso dio, il mutante con la testa d’elefante, piccolo
peccatore. Ricorda, la salvezza del tuo amico dipende solo da te».
«C’ha ragione San Francesco qui. Dai su, sbrigati.»
Il centro commerciale mi sommerge
improvviso, accogliendomi nella sua bocca di vetro e plastica. Dentro, nello
stomaco, i negozi si susseguono tutti uguali. Al centro di tutto l’immensa
cupola si scaglia oltre il cielo; gli uomini si inchinano a venerare il Dio del
Consumo e le donne piangono in estasi. Due uccelli dalle piume di cristallo
volteggiano in alto, seguiti da un piccolo drone che tutto riprende. Nel maxischermo
sono proiettate immagini dei consumatori felici, obesi, che sorridono ogni
volta che vengono inquadrati. Tra una scena e l’altra le pubblicità sgorgano
come la lava di un vulcano. Tra queste anche la réclame del pandoro. I bambini
intonano la canzoncina, lo sguardo perso e la bava alla bocca. Babbo Natale si
arrampica veloce sulle scale mobili e tredici renne giganti, tenute al
guinzaglio, si fanno accarezzare da mani paffute. Poco sotto la cupola una
piccola chiesa si erge modesta. Dentro, l’uomo della televisione urla il suo
programma in diretta ventiquattro ore su ventiquattro. Un grande Gesù di
plastica, vestito di lustrini azzurri, saluta le persone, allungando la mano
verso le offerte. A terra ogni cosa è lucida, pulita.
«Sbrighiamoci», dico guardando la guardia privata.
Le porte del supermercato si spalancano
al nostro passaggio. Mi volto indietro, San Francesco è stranamente silenzioso.
«Attento Elia», mi fa Ganesh, «il potere del consumismo miete vittime».
San Francesco ha una faccia ebete, la barba sporca sventola a sinistra e
a destra, il dito (luminoso) si spenge.
«Ehi».
«…»
«EHI!»
Non risponde. Ha solo questi grandi
occhi a cuoricino, si ferma sugli scaffali, sulle offerte, sui prodotti. Poi
finalmente geme, «Sorella pasta, fratello frullatore».
«San Francesco, dobbiamo trovare il pandoro!»
«Vai tu Elia, io rimarrò qui».
«Che?»
Ma San Francesco è fuori gioco, piroetta
sulle mensole e sui prodotti, si spoglia nudo. «Sono secoli che non c’ho un
cazzo!», urla, «Ho rinunciato a tutto io! Ai tempi miei mica c’avevamo i centri
commerciali! E tra poco cominciano pure i saldi!»
KARL MARX: Anche i migliori tradiscono.
Sono solo. Vago tra le lucine di Natale e le befane giganti. Niente, il
pandoro non è neanche qui.
Torno a casa che è sera. All’entrata del palazzo un gruppo di persone vestite
da palombari mi scrutano guardinghe.
«Simone, ‘cazzo fai così conciato?»
«Abbiamo capito Elia. Li abbiamo trovati.»
«Chi?»
«I vermi».
Un fulmine improvviso squarcia il cielo.
«È una guerra», gli fa eco Il Vecchio, «e noi la vinceremo».
«Guarda con chi ti sei messo», sussurro al coinquilino.
«Non capisci? O noi o loro! È ‘na scala Cristo! Darwin ce l’ha
insegnato!»
CHARLES DARWIN: Mo non guardate tutti
me. Non ho fatto niente io.
LA VOCE DI DIO: E la cazzata dell’uomo e
della scimmia? Ne vogliamo parlare?
UNA MOSCA: La legge del più forte?
PIERO ANGELA: Amici, cerchiamo di
concludere, sono undici pagine che va avanti ‘sta storia, ho bisogno di riposo…
GRANDE PUFFO: Per una volta non posso
che dar ragione a Piero qui.
SIGMUND FREUD: Allora su, andiamo
avanti. E togliete Superstellino dai comandi. Elia si sta grattando il culo
davanti a tutti.
«Cosa volete fare?»
«Domani. Abbiamo chiamato i Disinfestatori.»
Ta-dan
GRANDE PUFFO: Che è?
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Cosa?
GRANDE PUFFO: Ta-dan.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Fa suspense
no?
CHRISTOPHER VOGLER: Il problema vostro,
se posso, è che ci mettete un attimo ad andare fuori tema. Anche adesso, che
c’entra il mio intervento?
GRANDE PUFFO: Vabbè, tu sei
l’intellettuale, facciamo vedere che Elia ha studiato. Sei l’autore de Il
viaggio dell’eroe. Tipo ‘na Bibbia.
CHRISTOPHER VOGLER: Forse è meglio far
andare l’adorato a parlare con i vermi. Concludiamo la storia nel migliore dei
modi.
Nel buio della notte, terrorizzato dalla disinfestazione
[Disinfestazione: Operazione avente per scopo la distruzione di piccoli animali, quali
ratti, arvicole, ecc (derattizzazione),
di insetti (disinsettazione) o di
vegetali che risultino dannosi o infestanti (diserbatura); la d. integrale, mirante cioè alla simultanea distruzione dei piccoli animali e degli
insetti, può essere effettuata ricorrendo a sostanze fumiganti.]
PIERO ANGELA: Quindi, a voler essere
corretti, quella che gli abitanti del palazzo vogliono fare è una
disinsettazione, lo dice l’enciclopedia Treccani. Eh.
SIGMUND FREUD: Bah, non per darti torto,
però mi sa che sono anellidi. A essere precisi precisi.
CHRISTOPHER VOGLER: Visto che vi
perdete? Torniamo a noi.
…Nel
buio della notte, terrorizzato dalla disinsettazione,
cerco i vermi sovversivi.
«Sanno di voi», dico.
«E noi dei loro porci piani».
«Domani faranno la disinfesta… cioè, la cosa, la deratti… dai cazzo, la
disinsettazione ecco».
«Ma noi, Elia Mangiaboschi, Signore & Padrone, saremo più veloci.
All’alba il palazzo sarà nostro.»
«Se solo San Francesco fosse qui!»
«Le truppe d’assalto sono già pronte. Fieri soldati marceranno fino alla
libertà! Il palazzo intero sarà nostro. Mangeremo le carni e ci nutriremo dei
figli! I bambini saranno i primi a morire!»
«Amici vermi, ragionate vi prego… posso portarvi nei felici boschi di
Trigoria, lì dove sono nascoste le scorie nucleari, siate buoni! È Natale!»
«A noi il Natale ci rimbalza. Solo l’Oscuro Oggetto del Desiderio può
placare la nostra fame.»
Rimango in silenzio, vado in salotto. C’è Simone con la tuta nera da
palombaro.
«Oh, sei paro paro a Lord Fener».
«Domani sconfiggeremo la ribellione».
«Fermatevi.»
«È troppo tardi Elia. Il lato oscuro della Forza scorre in me. Lo sento,
è forte e bello».
«Più niente puoi fare Elia. Uscire tu devi. Bloccare lo scempio è
l’unica speranza», mi fa il maestro Yoda.
La pioggia mi bagna. Mi aggiro perso, completamente zuppo,
l’impermeabile grigio fradicio. Provo ad accendermi una sigaretta, niente.
«Maporcoiddi…»
LA VOCE DI DIO: Non bestemmiare
blasfemo! Piuttosto, ascolta la voce fuori campo…
Mi blocco. Sì, la sento. È una voce profonda e cavernosa. Prima un
sussurro, poi un boato.
GRANDE PUFFO: Rimbomba!
YOGI BHAJAN: La Stanza dei Bottoni
trema!
JOHN LOCKE (quello di Lost): Moriremo
tutti!
«ELIAAAAAAAAAAAA…
ELIAAAAAAAAA… ASCOLTA LA VOCE DEL CUORE…»
Para para a quella di Moccia.
Corro nel buio seguendo i comandi della voce. Scarto veloce a destra e a
sinistra, osservato da dodici ratti mutanti. Un gatto miagola in lontananza. La
pioggia ticchetta prepotente.
Nel
vicolo più scuro mi fermo.
Guardo a terra.
Un uomo vestito di stracci rossi mi
osserva coprendosi con due cartoni dalla pioggia. Beve un sorso di vino dal
cartone Tavernello. Si alza piano, maestoso. È alto e grande. Non riesco a
scorgere il suo viso, solo una lunga barba bianca ad abbracciare le guance
tonde e consumate Si toglie una caccola e mi osserva con occhi immensi e
azzurri toccandosi la pancia pronunciata. Prende un sacco e lo apre. Tira fuori
una scatola rosa.
«Il pandoro», mormoro commosso.
Il vecchio me lo porge. Lo prendo
tremando. «Tu sei…», dico, come tornato bambino.
L’uomo posa l’indice sulle labbra. «Shhh».
A casa i vermi mi aspettano impazienti.
Poso la scatola sul tavolo e la apro. La
luce che ne esce è grande e immensa e per un attimo avvolge tutta la stanza.
«Ohhhhhhhhh», fischiano i
vermi.
«Ohhhhhhhhh», ripeto
visibilmente colpito.
«Elia Mangiaboschi, Signore & Padrone del cielo, della terra e del
frigorifero, Lei ha portato il pandoro a noi. Le saremo per sempre grati.»
I vermi sciamani si avvicinano spalancando le mandibole.
Guardo meglio il dolce.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Oh oh.
GRANDE PUFFO: Oh oh che? Che c’è adesso?
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: È marcio. È
completamente marcio.
LA VOCE DI DIO: Cazzo.
Rimango in silenzio. Gli sciamani si fermano. «È marcio», dicono.
Merda. «No», sorrido, «è invecchiato. Ti
fa di più.»
«Lei dice?»
«Avoja. Abbestia.»
«Le crediamo allora, Signore & Padrone. E poi a noi le cose andate a
male piacciono ancora di più».
«Ora però dovete andare, prima che arrivi l’alba. Altrimenti morirete
tutti.»
«Ha ragione. Domani, quando i mostri malefici giungeranno nel palazzo
non troveranno nessuno di noi. La bonifica sarà inutile. Rimarranno… com’è che
dite voi umani? A bocca asciutta… perché noi rispetteremo il patto».
Dai rubinetti, dal frigorifero, dai
piatti sporchi, da sotto le porte, dalla libreria, dalle borse della
bicicletta, dal divano, da sotto il tappeto, dal vaso di fiori morti, dal
letto, dagli zaini, dal cesso, dalla doccia e dai termosifoni milioni di vermi
escono allo scoperto. Sono ovunque e fanno pure un po’ schifo.
«Vi… vi apro la finestra eh…»
«Le siamo grati Elia Mangiaboschi. Gli umani, grazie al Suo intervento,
sono salvi e il diavolo Simone può ancora sperare in una vita degna di questo
nome. Ma Si ricordi, noi siamo qui, vi circondiamo. Siamo ovunque e cresciamo
nei vostri corpi, nutrendoci della carne. Prima o poi sarete nostri, tutti,
nessuno escluso. Arriverà il giorno in cui i vermi conquisteranno il mondo e
quel giorno neanche Lei potrà fermarci. Con il pandoro vedremo la Luce e avremo
la Conoscenza che da tempo bramiamo. Arrivederci», così dicendo i vermi escono
dalla finestra, allontanandosi nel buio della notte, il pandoro ben ancorato
addosso.
Quando tutti sono fuori chiudo la finestra ermeticamente e, dopo
quattordici pagine di storiella, me ne vado in camera e mi addormento felice,
sognando vermi giganti e basi segrete governate da bestie feroci.
Piano, l’armadio scricchiola.
Un suono veloce.
Decine di occhi osservano il mondo.
La loro è una lingua strana,
sconosciuta.
Sanno cosa hanno fatto i vermi.
A cosa hanno rinunciato.
Ma loro sono diversi.
Loro sgranocchiano il legno.
E i vestiti.
Guardano il corpo addormentato dell’umano e sorridono maligni.
Un fischio veloce e le ali si spiegano.
I tarli e le tarme spalancano le bocche, pronti a conquistare il mondo.
Se vuoi scoprire la vera storia degli amici vermi clicca qui:
Se poi hai ancora voglia di leggere c'è anche il raccontino che parla del disgelo del frigorifero giallo:
Infine, per capire che ci fanno i tarli e le tarme nell'armadio mio:
Che altro, la prossima storiella esce martedì 29 dicembre...