lunedì 27 ottobre 2014

LA FILA



  Prima o poi ti tocca.
  È una ruota, un cerchio, l’emblema stesso della convivenza.
Devi accettarlo.
  Tra l’altro il mio povero coinquilino sta male, il buon Simone, licenziato senza motivo dalla cooperativa per cui lavorava.
  Prima o poi ti tocca.
Quando il frigorifero rimane vuoto (una deprimente scatoletta di pesche sciroppate, un cartone di latte scaduto e due verdure ammuffite), sul pavimento si formano strane macchie e nuvole di moscerini conquistano i tuoi spazi, devi far qualcosa.
  Prima o poi ti tocca.
  «Perché fare adesso quel che potresti rimandare a domani?», mi domanda Ganesh, il mio sapiente confidente testa d’elefante.
  «Eh, è la legge della natura, amico fidato, non si può più rimandare…»
  Un’ultima occhiata a Simone, figura ormai mitica del panorama nazionalprecario. Guardatelo, incatramato sul divano, otto posaceneri stracolmi di cicche e morti di sigarette, circondato da bottiglie mezze vuote di succhi di frutta alla pera, in canotta e mutande, lo sguardo perso, il joypad della Play in mano, due libri buttati a terra, un mucchietto di curriculum bruciati in una notte di follia, un piede scalzo (e l’altro col calzino), la barba sfatta di una settimana. Devo salvarlo!
  «Questa casa è un cesso!», dice il Criceto.
  «Pensaci tu Elia! Eroe incompreso! Amico degli ultimi!», urla Ganesh.
Ah! Mio dolce coinquilino, compagno di mille avventure, come ti hanno ridotto?
  «Se vengono a fare un controllo…»
  «La sanità…»
  «Ci chiuderanno in quarantena!»
  «Come nei film!»
  «Ne rimarrà soltanto uno!»
  «Moriremo tutti!»
Okay. Forza. Bisognerà prima o poi affrontare -in solitaria- il terribile, terrificante, quantomeno splatter…
AVVILENTE POMERIGGIO AL SUPERMERCATO
Ta-dan!
  «E questo che c’entra?»
  «Era per dare enfasi al titoletto a centro pagina, la musichetta no? Tipo, ta-dan…»
  «Eh, ma mica lo sentono il suono, gli altri dico… i lettori insomma».
  «Beh cazzo, ma lo capiranno».
  «Secondo me non lo capisce nessuno…»
  «Vabbè, ‘sti cazzi. A me piace. Quindi…»
Ta-dannn!
  «Al centro e pure con tre ‘n’… alla faccia tua… divinità puzzolente».

  Almeno una volta nella vita ne sono sicuro, a meno che non siate ricchi figli della borghesia imperialista, siete andati a fare la spesa di sabato pomeriggio.
Il sabato pomeriggio, Amici & Amiche, al supermercato si riuniscono tutti, ma proprio tutti; il sabato pomeriggio a fare la spesa c’è:
  - Il gruppo di vecchi in pensione 
  - Le famiglie
  - I bambini
  - I rincoglioniti
  - I ladri
  - Le casalinghe
  - I casalinghi
  - Gli stressati
- I topi da biblioteca
  Io lo odio il supermercato. Vicino casa mia c’è il Todis, che è il discount che piace a tutti, la moderna multinazionale riservata al proletariato. Io ho i buoni pasto, quindi alle volte vado da Super Elite “il mercato dove la freschezza è di casa”, ma costa una fracca di soldi, e con il mio buono pasto massimo riesco a comprare un pacco di biscotti transgenici e una bibita gassata. Quindi il Todis ‘nsomma, fa più per me.
  Eccolo.
  Giallo & verde.
La porta si apre come per magia.
  «Prendi il carrello!», sbraita Ganesh.
Devo correre, più veloce della luce.
  Scavalco file di divorziati con a carico bambini che sputano, schiere di vecchi in carrozzina, un pazzo che si nasconde tra i cibi in scatola e due ladri facili da sgamare.
  Più veloce ancora…
Il carrello usato come skate.
  Lunghi corridoi di paste scadenti mi accolgono impetuosi.
La pastasciutta, pensa solo a quella.
  Eccola, senza farti vedere.
  «Giovanotto…»
No! La vecchia no!
  «Giovanotto mi scusi…»
  «Non darle confidenza!», dice Ganesh. «Sarà la fine! Rimarremo tutto il giorno chiusi in questo inferno! Fa finta di niente Elia! Ti prego!»
  «Ehi, dico a lei… la supplico…»
Cosa fare?
Come comportarmi?
Criceto! Aiutami tu!
  «Ricorda Elia, ricorda. L’egoismo del tuo amico Ganesh è quanto meno inappropriato. Cosa ti hanno insegnato i tuoi genitori? Dov’è finita la solidarietà che tanto sbandieri a destra e a manca? E i gruppi su Facebook? Vogliamo parlare dei gruppi su Facebook? Pensa alle foto dei bambini che muoiono di fame! Ai post sulle vecchiette lasciate sole a marcire dentro ad un ospizio! Cosa farebbe Che Guevara?»
Mi volto.
  «No! Sarà la nostra fine! Moriremo qui dentro! I ragni ci uccideranno!», piange Ganesh.
  «Mi dica signora…»
  «Hai segnato la tua condanna a morte, stolto umano!»
La vecchia mi sorride mostrando una dentiera nera e senza denti. «Ah! Giovanotto! Credevo fosse sordo… anche io ho avuto problemi d’udito sa? Nel lontano ’89 ho smesso di sentire, di colpo… ero a casa sola soletta, mio marito poverino è morto parecchi anni prima, il tifo se l’è portato via… mi ha lasciato con i debiti del gioco, amava la roulette, dalla guerra… faceva la roulette russa lui, un vero uomo. Anche a letto sì, non si scandalizzerà mica se le dico questa cosa, vero? Voi ragazzi siete così… come dire, liberi ecco. Lei conosce la roulette russa? Piace molto… ho visto un servizio al tg regionale, quello che mandano su Rai Tre, ha presente? Il tg voglio dire, non la roulette russa. Io lo vedo sempre dopo pranzo, prima della siesta pomeridiana, ho il televisore davanti al letto. La mia badante, pensi un po’, mi ha lasciata sola! Ora devo fare tutto io. Non sono razzista eh… mi creda. Io ne conosco tanti di immigrati. Ma la mia badante… però non era africana, per fortuna. L’ebola, ne parlano tutti. Per fortuna il nostro Presidente del Consiglio, un giovanotto come lei, largo ai giovani! Il nostro Presidente del Consiglio ha detto che non ci sono pericoli per ora… altrimenti ci sono sempre gli ottanta euro. È così bravo, dà ottanta euro per ogni cosa. Però a me non me li ha mica dati. Se arrivasse l’ebola da noi, con tutti questi che vengono con i barconi, ai malati arriverebbero ottanta euro in più in busta paga. Non lo trova un amore?»
  «È la fine Elia! Parlerà per sempre! Trova una scusa e scappa! Scappa finché sei in tempo! Salvati almeno tu!»
  «Signora… le serve una mano?»
  «Oh sì, che sbadata. Pensavo al Presidente, così simile al mio povero marito… vede? Non ci arrivo. Lì su».
Alzo lo sguardo. «Lì?», chiedo.
  «Sì, quel pacco di pasta».
  «È una sfida Elia! Non puoi sottrarti alle sfide! Che figura faresti se chiamasse un altro al tuo posto! Devi riuscire dove in mille hanno fallito! Puoi farcela! Io. Credo. In. Te.», mi incoraggia Ganesh.
In cima allo scaffale il pacco di rondelle mi aspetta maligno.
  Opzione A: arrampicarsi sulle scatole di pasta.
  Opzione B: cercare una scala.
  Opzione C: darsi alla fuga.
Mi arrampico e salgo, piano piano, ricordando le nozioni fondamentali di arrampicata.

  [Dodici mesi fa, con il mio amico Alessandro U in cima alla montagna artificiale, per una lezione (la prima e l’ultima) di arrampicata.
  IO: «Ci sono ci sono!»
  ALESSANDRO U: «Bravo Elia! Sali! Metti il piede là!»
  IO: «Ecco!»
  ALESSANDRO U: «Senza paura! La paura è per i codardi! La mano, posala!»
  IO: «Ecco! ‘nattimo cazzo!»
  ALESSANDRO U: «Dai, saranno dieci metri! Non possiamo aspettare tutti te!»
  IO: «Oh! Un secondino! Ora metto il piede! Ci sono! Sono il re del mondo!»
  ALESSANDRO U: «Elia, non ti sei mosso da terra! Noi ti lasciamo qui…!»]

  E adesso mi ritrovo nelle stesse condizioni. Le vertigini mi assalgono. Poso il piede sinistro sopra il pacco di pasta scotta in cinque minuti, poi il destro. Un ultimo sforzo, non guardare in basso.
  «Forza! Ce la puoi fare!», mi urla la vecchia da giù.
Bastarda.
  «Non mollare Elia!», dice Ganesh.
Sempre più in alto. Una scatola casca a terra, aprendosi in mille pezzi.
  Il fischio mi assorda.
  E su, finalmente, guardo il mondo con occhi diversi. Un’aquila di plastica vola nel cielo. Insetti ovunque.
  «Ce l’ho fatta!», urlo trionfante.
Poi scendo, le rondelle in mano. La vecchia mi guarda perplessa. «Veramente ragazzo avevo chiesto quelle trafilate in bronzo. Ah! I giovani d’oggi, non hanno più rispetto! Ai tempi miei…»
  Mi allontano sconfitto.
  «Hai la lista?», mi chiede il Criceto.

LA LISTA:
Mezze maniche rigate
Spaghetti
Zucchero
Sale
      Caffè
Biscotti
Gnocchetti pomodori e mozzarella (quelli surgelati)
Succo di frutta alla pera
Zafferano
Gelato (tipo stracciatella, ma se non c’è prendi la versione scrausa della Viennetta)
Burro
Vino
Birra
Amaro
Ricotta salata
Merendine al cioccolato (quelle economiche)
Farina
Cioccolato
Detersivo per i piatti
Detersivo per i pavimenti
Sgrassatore universale
Carta igienica
Quadrotti al sesamo
Patate
Peperoni
Zucchine

Corro quindi, traghettando il carrello, tra uno scaffale e l’altro, sempre più veloce, alla ricerca del prodotto perfetto, quello più economico, sgattaiolando tra clienti falliti e uomini in bermuda.
  Un bambino si para davanti a me.
  «Il mostro!», dice indicandomi.
  «IL MOSTRO IL MOSTRO!»
Panciuto lecca un lecca-lecca. E ride.
  «Devo passare», gli dico.
  «Mai!»
  «Bel bimbo, lasciami andare…»
  «Tu sei il mostro!»
  «Ti ha riconosciuto Elia. Non ricordi?», mi domanda il Criceto.
Sì, adesso ricordo. Ero un peluche gigante all’epoca. Winnie the Pooh se non sbaglio. Spaventavo i bambini per cinque euro l’ora alle feste di compleanno. Sono stato Topolino, Shrek, Minnie, una Winx, Tigrotto, un pinguino de La marcia dei pinguini, il Gladiatore, Paperino, Paperoga, il Gatto con gli stivali, Batman, Babbo Natale.
  Il coccodrillo come fa… parapapapà… non c’è nessuno che lo sa… si arrabbia ma non strilla, sorseggia camomilla…
  «Il mostro!», continua a urlare il bambino.
Provo a scansarlo.
  «Lasci stare mio figlio!», dice la madre comparsa dallo scompartimento Cose per Case.
  «Signora la prego… sto facendo tardi, suo figlio non mi fa andare…»
  «Io alla tua età adoravo i bimbi!»
Ed è di nuovo corsa, sempre più veloce, il ticchettio dell’orologio interno a farmi compagnia.
  Poi cado.
  Ogni cosa finisce a terra.
  «Ecchecazzo!»
Tutti si voltano a guardarmi.
  «Ohhh».
  «Davanti ai bambini!»
Raccolgo i prodotti osservato da mille occhi rimproveranti.
  Ce l’ho quasi fatta.
  Un ultimo sforzo.
  «Hai scordato le merendine!»
Merda.
Ancora.
  Prezzi al ribasso!
  Paghi tre prendi due!
  Offerta conveniente!
  Contro lo sporco più ostinato!
Eccole, le merendine. Simone ne va pazzo. Lo guarirò con il cioccolato!
  Il suo pacco preferito è lì. Ce n’è soltanto uno. Mi avvicino ma un uomo mi placca.
  «È mio!», ringhio.
L’uomo corre.
Faccio lo stesso.
Il cuore sembra esplodere.
  Musica da festa.
La milza scoppia. La mano si allunga. Il pacco agognato ad un centimetro da me, posso sentirne la consistenza. Ma l’uomo mi lancia uno sgambetto, capitombolo a terra, poi afferra le merendine e mi guarda. «Sono per mio figlio», dice. «E sono mie.»
  Mi alzo.
  Cammino tra il reparto frutta e le carni del Sud America. Supero un ananas asiatico, una ciambella gigante e i croccantini per i gatti.
  Ci sono.
  La Fila.
  È una fila lunga, interminabile, immensa. È la Fila del Sabato Pomeriggio. Si estende per chilometri e chilometri, tra semafori e prodotti liofilizzati; s’interseca lungo i cunicoli oscuri del discount, non si ferma. È un serpente. È l’inferno.
  Oscure leggende si narrano nei supermercati di tutto il mondo. Uomini morti nell’attesa, giovani uccisi da un infarto, pestilenze nucleari, zombie resuscitati, attacchi armati di terroristi della spesa.
  Mi fermo.
Potrei sempre optare per l’atto rivoluzionario, la spesa proletaria. Perché pagare cose che servono alla mia sussistenza? Io! Elia Mangiaboschi! Distruggerò il sistema boicottando il Todis! Ma uno sguardo alla guardia privata mi fa subito cambiare idea.

Nella fila ci sono, sempre e comunque:
La vecchia che non sa usare il bancomat
- Il vecchio che conta gli spicci per tre ore
- La famiglia lenta che ha scordato una cosa («Ci metto cinque secondi lo giuro!»)
Gli urlatori
Le teste calde
- La comitiva di adolescenti alle prime armi con gli alcolici
- Il bambino che piange.

Conversazione tra due signori e una signora di mezza età:
  «Aho, tanto so’ tutti uguali».
  «Piove, governo ladro».
  «‘Ste merde. Anvedi ‘ste merde».
  «Le buche delle strade di Roma».
  «No, so’ voragini, mica buche. ‘Na rivoluzione ce vorebbe».

La conversazione tra due novantenni:
  «Vengono in Italia a rubare il lavoro».
  «Tutti zingari, pure quelli italiani, tutti zingari».
  «Macché italiani, rumeni.»
  «Prima c’erano gli albanesi, adesso i rumeni. Aho, sempre quella parte del mondo è. Che poi chissà dove si trovano l’Albania e la Romania…»
  «Povera Italia, dove andremo a finire?»
  «E scusa? Gli africani? Hai visto quanto sono neri? Conosci Gina, l’inquilina del terzo piano? Hai presente no? Ne ha visto uno».
  «Di chi?»
  «Di africano. Una paura!».
  «Nero?»
  «Nero nero! Nero come la pece. Oh, senti a me. Non è cattiveria.… però vengono qui a rubare, non tutti certo. Ma quasi…»
  «Poveri giovani italiani, non trovano lavoro loro…»
  «E gli danno pure le case popolari».
  «A chi? Agli italiani?»
  «Ma no! A ‘sti stranieri! Ai clandestini!»
  «Che poi portano le malattie».
  «Tipo l’ebola».
  «Eh, l’ebola. Come la febbre gialla».
  «A proposito, stasera faccio un bel risotto alla milanese.»
  «Hai preso il sugo?»
  «Sì, quello più conveniente».
  «Tirare la cinghia. Fortuna che ci sono gli ottanta euro!»

   D’improvviso scoppia una rissa. Un uomo comincia ad urlare: «‘Sto stronzo m’ha superato!»
  «Ma no, c’ero io prima!», urla Lo Stronzo.
  «Ero io ero io!»
  «Ho lasciato mia moglie in fila!»
  «E io la mia!»
  «Moglie, dove sei?»
  «È stata uccisa!»
  «Lei non  sa chi sono io!»
Interviene la cassiera, la poveretta che tutti i giorni subisce La Fila e che a causa de La Fila sembra abbia cinquanta anni quando ne ha poco più di venti. «Signori vi prego, c’è La Fila».
  «FI-LA! FI-LA!», cantano tutti.
  «La Fila è la nostra ipnosi!»
  «La nostra divinità!», urlo anche io, ormai rapito dalle dinamiche della coda del serpente.
  «Correte correte!»
  «Fate scorrere!»
  «Una donna si è sentita male!»
  «È mia moglie!»
  «Chiamate l’ambulanza!».
Arriva l’energumeno con una lunga barba da talebano hipster. È l’Addetto alla Sicurezza che trascina via i due uomini come se fossimo in discoteca.
  La Fila scorre lenta ed io invecchio. Ogni cliente sono ventiquattro minuti d’attesa. Le ossa cedono, il latte supera le ginocchia e si intrufola nel cervello. Non vedo niente, tutti urlano ma io non sento.
  «Aspetti, ho i tre centesimi… un attimino me li faccia cercare, erano proprio qui. Giuro di averli messi nel portafoglio…»
  «No no, niente busta di plastica. Ho le mie! Sono ecologiche! Vede cosa c’è scritto? ‘Rispetta l’ambiente ama te stesso’. quanta verità in queste poche parole. La rivoluzione verde parte da qui! E sarà una rivoluzione a cinque stelle!»
  Finalmente è il mio turno. Poso le cose alla cassa. Lo sguardo perso, distrutto.
  «Sono ventidue euro e novantaquattro centesimi».
La cassa comune. Prendi quella. «Non ho i novantaquattro centesimi», quasi piango.
La cassiera mi guarda in cagnesco.
  «Mi scusi, la prego…»
Da dietro i mugugni di protesta si trasformano ben presto in urla rabbiose.
  «Barbone!», gridano i più. «Delinquente!»
  «Approfittatore!»
  «Drogato!»
  «Ecco ecco, te li do io i novantaquattro centesimi, basta che ti sbrighi. A fare l’elemosina, dove andremo a finire?», mi dice il pensionato zoppo.
  Pago.
L’Addetto alla Sicurezza, come tutte le volte, controlla quel che ho preso, per vedere se non ho rubato niente. Poi finalmente esco e il sole mi colpisce il viso. Mi volto un’ultima volta verso l’oscuro baratro del consumo ad osservare le persone che entrano ed escono, entrano ed escono. Poi mi avvio verso casa, le buste in mano. Cammino piano, godendomi l’aria fresca. Niente andrà più male. Il pericolo della settimana è stato affrontato e degnamente superato.
  Niente potrà più sconfiggermi…
  Nien…
  «Oh oh», dico.
Mi abbasso.
La busta bucata sembra sorridere.
  Il peperone rotola a terra, come un mostro rosso dispettoso.
E. Ogni cosa. Rallenta.