Nelle oscure viscere di Elia,
lungo i cunicoli più reconditi del cervello umano,
in un punto segreto della massa grigia,
si trova un luogo, uno spazio, un territorio.
È un posto segreto, un punto nero, che
in molti chiamano:
la
Stanza dei Bottoni.
Nella Stanza dei Bottoni un manipolo di arditi comanda le gesta del
Mangiaboschi. Ogni azione, qualunque pensiero, è scelto da loro. Sono i
migliori che puoi trovare, reduci e combattenti di qualsiasi era, pronti al
dovere e intelligenti come pochi.
Campioni,
potremmo definirli.
GRANDE PUFFO: Sì vabbè, mo ‘ndo sta però
l’amaro mio?
SIGMUND FREUD: E’ che la riunione,
colleghi, ci stanca.
IL CRICETO: Forse ci vorrebbe una pausa.
KARL MARX: Sono ben tre minuti e
ventiquattro secondi che siamo seduti qui, attorno al tavolo, e non abbiamo
cavato un ragno dal buco.
IL NEURONE: E lo credo! Morti i miei
fratelli il pensiero intero di Elia è andato perduto!
MICHAIL BAKUNIN: Compagni, la triste
verità è che non abbiamo idee, il Racconto del Martedì diventa cosa sempre più
difficile.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Non ce la
faremo mai! L’adorato non narrerà più le sue storielle! I lettori di tutto il
mondo lo dimenticheranno! Come lacrime nella pioggia!
GRANDE PUFFO: Zitto tu, che manco sei
andato al supermercato a comprare le due bocce di vino bianco che t’avevo
chiesto. Due. C’abbiamo il frigo vuoto qui dentro.
JOHN LOCKE (quello di Lost): Moriremo
tutti!
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Ridotti a
vivere sotto i ponti, senza più fantasia, persi in un mondo perduto, costretti
ad ascoltare le canzoni di Cristina D’Avena tutto il giorno!
Con un tuffo tu
starai
là nel mare blu
e gli Snorky
sentirai
canticchiar
laggiù
io so che qui
sott’acqua la città degli Snorky sta!
GRANDE PUFFO: ‘Sta canzone del cazzo!
Rimbomba ovunque. Cristo! Neurone che fai, balli?
OSHO RAJENEESH: La mente è uno splendido
meccanismo, usalo ma non farti usare. È al servizio dei sentimenti: se il
pensiero serve i sentimenti, tutto è in equilibrio; nel tuo essere sorgono
profonda quiete e gioia.
GRANDE PUFFO: Oh. Dio. Mio. Tutte ‘ste
cazzate new age proprio a noi ci dovevano capitare? Adesso ci spieghi che
volevi dire, tipo che ci fai le note a fronte! La parafrasi! L’analisi
grammaticale e anche quella logica! Che Elia poi a scuola mica le sapeva fa’
tutte ‘ste cose! Fatti aiutare dall’amico tuo va, Yogi Bhajan dico, che quando
serve non ci sta mai. E staccate un po’ ‘ste casse! Ma che è un toretta? Noi
stiamo tutti in ansia, non lo vedi? C’ho bisogno di qualcosa da bere cazzo!
SERGENTE HARTMAN (quello di Full Metal
Jecket): In piedi luridi cafoni senza speranze! Muovete il culo! Prendete il
proiettore! La storia ce l’abbiamo e manco c’avete fatto caso. Siete un branco
di palle di lardo! Superstellino, attacca la spina! Il Super 8 sì! Hop Hop
Hop!
CARL GUSTAV JUNG: Mica male come idea…
partiamo da lì, dall’analisi logica. Poi vediamo dove andiamo a parare. E bravo
il nostro Grande Puffo…
Tre
Due
Uno
Mi nascondo tra i libri.
Più basso.
Ancora.
Riccardo fa lo stesso.
È ‘na gara.
Il
dito della professoressa scorre sul registro. Un nome dietro l’altro, se arriva
alla M sono fottuto.
Ho sedici anni. Faccio il liceo
artistico. È martedì. Seconda ora. Italiano.
«Cazzo», mi sussurra Federico, «siamo entrati in seconda per non farci
interrogare…»
«Paracula dimmerda», gli fa eco Riccardo, «c’ha aspettato a noi, te lo
dico io.»
«È tutto il sistema scolastico ad essere corrotto», annuisco.
Più giù.
Frugo nella cartella Invicta, cercando una cosa qualunque, per non farmi
scoprire. Come fossi invisibile.
E sì che quelle che io chiamo Poderose
Barriere Psicologiche le abbiamo messe tutte, tipo:
Sedersi all’ultimo banco;
Creare blocchi psicofisici come: tavoli
incastrati, cartacce per terra, cartelle piramidali;
Costringere quello che in classe ogni
studente chiama Punteruolo (a causa della sua testa) a mettersi davanti a
tutti, usato come vittima sacrificale per l’orrendo mostro (qui rappresentato
dalla professoressa di italiano).
Silenzio.
«Usa La Scusa! Usa La Scusa!», mi fa il Criceto, il mio
animale guida nonché amico immaginario della mia adolescenza, ben prima
dell’arrivo del prode Ganesh.
La
Scusa, Amici & Amiche, è il grande segreto tramandato da generazioni e
generazioni di studenti. Gli iniziati che apprendono La Scusa possono
tutto, ogni cosa, compresi i sabba con le streghe e le famose orge tra marinai.
Io conosco il segreto.
Mi alzo di scatto, il viso paonazzo, gli
occhi fuori dalle orbite. Mi piego in due, contraendomi come fossi un serpente.
Poi, e solo poi, dopo l’audace balletto concentrico, mi drizzo sulle punte dei
piedi, come se una forza oscura mi stesse tirando dall’alto, trascinandomi dai
capelli. Con voce spezzata balbetto, «Professoressa… io… credo… è l’allergia…
sono allergico…»
Ora, io veramente sono allergico, tipo
alle graminacee e alla parietaria ma, sicuro, non al gesso.
Starnutisco con forza inondando la classe di muco.
Qualcuno si sposta disgustato, qualcun
altro sorride, conoscendo La Scusa.
Gli occhi lacrimano. «Devo andare al bagno», gemo. «Il gesso mi sta
distruggendo!»
«Elia, amico mio», mi fa Riccardo, «non posso vederti così!
Professoressa la prego, temo per la sua incolumità, abbandonarlo al suo destino
sarebbe cosa terribile. Vivrei con i sensi di colpa per tutta la vita… e anche
lei! Devo accompagnarlo!»
«Mai senza di me!», urla Federico, «E se anche Riccardo si sentisse
male? Come potremmo perdonarcelo, lei ed io. Amica professoressa, amabile
signora che tutto può…»
«Maledetti», dice il Criceto, «così ci faranno scoprire…»
In situazioni di disagio, dove si
rischia la vita, l’interrogazione e il tre non si può guardare in faccia
nessuno, neanche quelli che, a torto o a ragione, consideri i tuoi migliori
amici.
«Sì Criceto, tu hai ragione. Ma sono pur sempre miei compagni. Ed io
sono figlio di comunisti, mica li posso lasciare così da soli. Che poi ‘nsomma,
influisce sulla pagella il tre che sicuro si beccano. Oh, l’analisi logica è
‘na pippa. Mica tutti la sanno fare…»
«Giusto Elia, giusto. Ma ricordi quella volta che Riccardo ha rischiato
di mandare a fuoco la scuola buttando la sigaretta mezza accesa nel secchio del
bagno? Chi si è preso la colpa? O quell’altra in cui il professor Milani vi ha
scoperto in tre chiusi nel cesso? Ne vogliamo parlare?»
QUELLA
VOLTA CHE IL PROFESSOR MILANI CI HA SCOPERTO IN TRE CHIUSI NEL CESSO
DICK TRACY: Ci racconti nel dettaglio
cosa successe il due ottobre, alle 12 e 10 del mattino.
ELIA MANGIABOSCHI: Lo giuro, niente!
DICK TRACY: Non ho fretta ragazzo, ho
ripulito tutta la città dalla feccia anarchica. Siamo soli. Lei ed io. Ho tutto
il tempo che voglio.
ELIA MANGIABOSCHI: Erano… erano le 12 e
8, era da poco suonata la campanella.
DICK TRACY: Chi c’era?
ELIA MANGIABOSCHI: Nessuno!
DICK TRACY (alzandosi minacciosamente,
avvolto dal magnifico impermeabile giallo, sogno di una vita): Le farò sputare
la verità a forza di botte.
ELIA MANGIABOSCHI: Eravamo io, Federico
e Riccardo. Contento?
DICK TRACY: Vada avanti, la sua
confessione si rivelerà utile per le indagini.
ELIA MANGIABOSCHI: Dicevo, era da poco
suonata la campanella. Eravamo chiusi in bagno, nonostante sapessimo che la
lezione del professor Milani, integerrimo insegnante antidroga, stesse per
cominciare. Ma vede, mancava così poco!
DICK TRACY: A cosa?
ELIA MANGIABOSCHI: Alla fine della
canna!
DICK TRACY: Ragazzo, la droga fa male,
uccide, fa diventare sordi e provoca malattie cardiovascolari. Giovani d’oggi
senza rispetto, siete la marmaglia della società! Grazie al vostro sporco
acquisto la mafia intera si arricchisce…
ELIA MANGIABOSCHI: No signor Dick Tracy!
Noi non c’abbiamo niente a che fare con la mafia! C’è un amico nostro che ha
tutta una serra a casa sua! Solo roba autoprodotta! Non facciamo male a
nessuno! La prego, sono malato! Ho l’allergia!
DICK TRACY: Continui.
ELIA MANGIABOSCHI: Fumiamo tutti e tre…
al tempo, da giovani, ogni cosa ha un nome: baffo, elle, bi-filtro. Ecco, noi
stiamo facendo una turca. Un tiro a
testa, per sbrigarci. Poi, d’improvviso, sentiamo un calcio alla porta, un
altro. Presi dal terrore buttiamo lo spino a terra. La porta si spalanca. È il
professor Milani che prima guarda la canna sul pavimento e dopo noi. Mi prende
per l’orecchio sinistro! E a tutti e tre ci porta in classe, da quel giorno
abbiamo due minuti per andare in bagno. Li cronometra. Poi viene a prenderci.
DICK TRACY: Anarchici e hippie. Morirete
tutti.
«Sì professoressa, ho bisogno di un aiuto», dico.
A questo sono serviti gli insegnamenti
dei miei genitori, si chiama solidarietà, ‘na roba di classe. Sono comunista
io, un anarchico sabotatore con un futuro radioso. Guiderò la rivolta degli
ultimi. Ce l’ho nel sangue la rivoluzione e anche disegnata sul diario. Oh. Il diario mio è tipo il piccolo
quaderno del buon rivoluzionario, il nuovo Libretto Rosso, meglio di quello di
Mao. Al suo interno ci sono le poesie dei poeti, i testi delle migliori canzoni
e una valanga di illustrazioni su come sabotare la scuola.
Il sabotaggio.
«Il sabotaggio», mi spiega Errico Malatesta, «non può esistere senza
solidarietà».
«Ne sono convinto anche io, mio buon amico, per questo non lascerò mai
soli i miei compagni, a costo di rischiare l’ingiusta e funesta
interrogazione».
Lacrimo.
«Ma certo Elia, vai al bagno assieme ai tuoi amici. Non vorrei mai
vederti morire qui in classe, davanti a tutti».
Sorrido, guardando di nascosto Alessia, lei ricambia, mezza scocciata
ché non è un maschio e al cesso mica mi ci può accompagnare.
Ci fiondiamo fuori, lungo i corridoi coperti di scritte e disegni e tag.
Io l’adoro ‘sta scuola, è tutta la vita
mia, m’ha fatto rinascere. Conosco ogni scarabocchio sul muro, tutte le stanze,
qualunque anfratto, compresa la Classe Abbandonata, dove i più grandi vanno a
pomiciare.
«In ufficio, presto!», ordina Federico.
Corriamo al cesso, non prima di aver salutato
il bidello complice, l’amico nostro che ci avverte quando arrivano i
professori, quello del secondo piano, non come la stronza del terzo che ci
caccia tutti in classe. Però il bagno del terzo è meglio, è là che ci riuniamo
con gli altri studenti, quelli delle altre classi. Qui al secondo è più una
roba intima, l’ufficio nostro appunto, e ogni tanto a ricreazione lo dividiamo
pure con le ragazze, che vengono a bersi un cicchetto da noi al volo, ‘na cosa
tra compari, per farci due ghignate.
Sono tre anni che sto in questa scuola e, esattamente da tre anni, tutto
il mio mondo gira seguendo la regola sacra della Beat Generation.
«In due parole», mi fa Jack Kerouac, «lo sballo».
È tipo un loop culturale. Leggo tutto
quel che riguarda le droghe, mi piacciono solo gli artisti rimastini, ricerco
una filosofia in ogni singolo tiro. Voglio sperimentare tutto, ma mica come
quelli che passano il sabato sera a fare due salti in discoteca strafatti di
MDMA, macché, io c’ho proprio la fissa dello psiconauta. O almeno credo, il
futuro mi darà torto. Per ora però ho sedici anni e ogni cosa, ogni cosa, ruota intorno alla scoperta.
«Come quella volta», sorride il Criceto, «che ti sei fumato i filetti di
banana».
«Sperimento».
«O quell’altra che hai provato a mangiare venti grammi di noce moscata,
o quell’altra ancora che ti sei sniffato l’incenso.»
Ah. L’ufficio. L’ufficio nostro è ben
decorato, pieno zeppo di disegni e di graffiti, ce ne sono anche un paio nostri
molto carini, soprattutto le cose di Riccardo, tutte dark e parecchio
ingarbugliate. Riccardo disegna proprio, io preferisco usare il legno,
incisioni o cose così. E ovviamente scrivo. Scrivo sempre, soprattutto in
classe. Coperto dalla cartella, mentre la professoressa di matematica spiega,
me ne parto per i miei mondi immaginari, cullato dal dolce brusio. Adoro
scrivere.
A leggere le cose mie sono:
- Papà;
- Mamma;
- Riccardo;
- Federico;
- Alessia.
Stop.
Però a me sta bene così, come pubblico dico. Ché mi fanno tutti
complimenti e dicono che sono lo scrittore migliore del mondo. I fumetti ho
smesso di farli, quando il liceo artistico mi ha fatto capire che a disegnare
non sono mica tanto bravo. Cioè, spiego, qui vedi i migliori artisti in
circolazione, gente che fa delle robe allucinanti, quindi se c’hai testa lo
capisci che non sei tanto portato con la matita, pure se a tredici anni lo
pensavi. Sai scrivere è vero, però i disegnini è meglio se li lasci a qualcun
altro. Il professor Milani in compenso mi ha fatto scoprire il legno, la
bellezza dell’incisione. Così, durante le sue ore, sto tutto il tempo a
lavorare su bastoni, lastre e modellini. Ho progettato un intero pub in legno,
basato su Pinocchio, o meglio, sul Paese dei balocchi .
Grazie
al professor Milani ho capito cosa farò da grande: lavorerò il legno e ci
costruirò le case. Peccato che in architettura vada malissimo. Fosse per me i
palazzi crollerebbero tutti. Le tavole me le faccio quindi passare da Sandro,
il capitalista bastardo che disegna progettini a pagamento per noialtri. Io
però non lo pago mai, ché siamo amici e ci scambiamo i favori. Gli scrivo i
temi in genere. È uno smercio, un baratto. Adoro il baratto.
«Chi la fa?», chiede Riccardo.
«Ma che sei matto? La professoressa poi ci sgama, mica è stupida»,
risponde Federico.
Hmmm. Dilemma.
«Da una parte», mi dice il Criceto, «fare adesso uno spinello
influirebbe positivamente sul tuo stato d’ansia. I pori si allargano, la mente
si rilassa…»
«Dall’altra però», gli faccio, «il rischio è l’eccessivo rintontimento
dato dalla sostanza. Forse sarebbe meglio rimandare».
«Tu!», urla Aldous Huxley, «Traditore! Hai sempre creduto nella
sperimentazione!»
«Se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe
all’uomo com’è, infinito», gli fa eco William Blake.
«Hanno ragione, guarda me che fine ho fatto», annuisce Jim Morrison.
«E me», dice Kurt Cobain.
È vero. Se tutti ‘sti illustri pensatori
mi incitano a prendere la retta via ‘fanculo.
«A morte il Grillo Parlante, uccidiamolo!»
«Ma sì dai, ‘na cannetta e via, veloci come il fulmine».
Riccardo rolla veloce la miccia, stando
ben attento a non sbagliare una mossa ché a sedici anni c’è tutta la storia
della competizione su chi gira gli spini più belli. Per ora al primo posto,
ahimè, c’è Federico, ma conto di superarlo al più presto.
Spalanchiamo
la finestra, poi fumiamo veloci, un tiro a testa come si fa tra fratelli.
Usciamo dal bagno ridendo e rientriamo
in classe.
Alessia mi guarda tutta scocciata.
«Aho», sussurro, «chi ha interrogato?»
Mi accorgo improvvisamente del silenzio.
È un silenzio ancestrale quasi, che si taglia col coltello, come fosse burro.
L’aria è pesante, tersa.
Guardo alla finestra, una nuvola taglia
il cielo a metà. Grigia, nera, portatrice di sventura.
Il corvo vola piano. D’improvviso scende in picchiata. Mi perdo ad ammirare
il battito delle ali.
Osservo il quaderno, le righe si incrociano per un attimo. Raccolgo
veloce la penna e scarabocchio un disegno, un elefante con una lunga
proboscide, simile al dio là, a Ganesh.
Sorrido.
Qui gira tutto. Riccardo, come al
solito, ha esagerato.
Di nuovo, questo silenzio che non si sopporta.
Non oso alzare gli occhi, lo so -lo
sento!- che l’insegnante mi sta guardando.
E se mi scopre?
Se capisce che sto fatto?
No
No
No.
Niente paranoia.
«Elia», mi rassicura il Criceto, «concentrati sulla testa d’elefante,
disegna e non pensare. Fai finta di niente, come se fossi molto attento a quel
che dice la professoressa».
Il problema è che non parla. Rimane in silenzio, a fissarci tutti.
Alessia mi dà uno strattone veloce. «Ti
ha chiamato».
«Eh?»
«Ti ha chiamato.»
«Che dici. Stavo in bagno, siamo rimasti appositamente fuori, per dieci
minuti.»
«Vi ha aspettato. A tutti e tre».
«Mangiaboschi, sei pronto?», tuona l’insegnante. «Passata l’allergia?»
«…»
«Riccardo, Federico. Anche voi. Alla lavagna».
Rimango fermo, paralizzato dal terrore.
Poi vedo i miei amici alzarsi, come fossero condannati a morte.
L’orologio ticchetta il suo canto di sventura.
Tick
Tack
Tick
Tack
I muscoli si intorpidiscono.
Il cuore martella.
Il corvo risale veloce, nel becco il
povero verme.
«Professoressa,
ricorda?», provo a giustificarmi, «Sono allergico al gesso».
«Non preoccuparti Elia, tu spieghi, Riccardo e Federico ti correggono.»
Mi alzo. Punteruolo ghigna malvagio. Trascino i piedi. Peggio di quella
volta che sono stato interrogato sul Re Sole. Molto peggio cazzo.
Poi sono alla lavagna.
Disgustato.
Spaventato.
Sballato.
Analisi logica. Cristo che odio.