martedì 31 marzo 2015

MISTER X



  Sembrava un gioco all’inizio, uno spiacevole gioco, troppo tardi ci rendemmo conto che non era così.
  Eravamo giovani allora, giovani e inesperti. Come potevamo sapere che il caos ci avrebbe inglobato a tal punto?
  Ora, Amici & Amiche, mettetevi comodi, afferrate una sedia e sedetevi. Ma restate vigili mi raccomando, la storia sta per cominciare.
  Andiamo con ordine:
Ci troviamo a Trigoria, allegro quartiere dell’estrema periferia di Roma. Negli ambienti più rinomati Trigoria è conosciuta soprattutto per gli allenamenti della Roma (che qui viene più semplicemente chiamata ‘a Magggica). A Trigoria, Fratelli & Sorelle, i laziali non possono mettere piede e i bar, tutti i bar, hanno almeno una foto di Totti. Oltre che per via della Roma Trigoria è famosa per il Campus Bio-Medico dove tutte le mattine volenterosi studenti si recano per seguire le lezioni e bighellonare un poco in giro. Alcuni palazzinari dall’aspetto inquietante hanno visto lungo e, in poco tempo, hanno messo su una serie di palazzi di cartapesta adatti alle esigenze dei ragazzi, delle famiglie novelle e di chi non può permettersi un affitto salato. In uno di questi palazzi (che in verità è un po’ più vecchio degli altri, avrà forse quindici anni) ci vivo io (il vostro affezionato Elia Mangiaboschi) e il mio coinquilino (Simone). Il mio è un palazzo come tanti, a più piani, pieno di gente e pieno di anziani (che non si sa perché debbano stare proprio nel palazzo mio). Credo infatti che tutti i vecchi del quartiere vivano qui, rinchiusi tra queste quattro mura. Le pareti delle case sono così sottili che, ahimè, si sente ogni cosa, anche il più piccolo rumore. Gli amorevoli nipotini della vecchia al piano di sopra sono ad esempio uno spiacevole incubo ricorrente.
  Ogni mese a riscuotere l’affitto arriva Il Vecchio, il nonno del proprietario del palazzo, un uomo di trentaquattro anni -quindi quasi coetaneo mio- (il nipote, non il nonno) che ha fatto fortuna nel mattone e che oggi, mentre gli altri trentenni muoiono di fame, può permettersi la Porsche giusto per fare il coatto con le ragazze di periferia. Il giorno in cui Il Vecchio viene a riscuotere l’affitto è per noi (come certo capirete) un incubo. L’incubo comincia alle dieci del mattino quando, ormai svegli, il coinquilino ed io racimoliamo gli ultimi spicci. Dopo aver distrutto l’ennesimo salvadanaio (un mese di risparmi da cinque centesimi ogni due giorni) cominciamo a fare avanti e indietro per la cucina. Quando finalmente il campanello suona il primo che apre trova puntuale Il Vecchio, leggermente gobbo, che ci guarda male. Ma non questo mese. Questo mese, per la gioia di noi tutti, ad affacciarsi al nostro misero appartamento è niente poco di meno che il nipote, il palazzinaro che tutto può. L’uomo, di cui per volere ignoro il nome, ha, lo ripeto, trentaquattro anni. È un bel ragazzo, con i capelli rasati sotto e lunghi sopra e con il ciuffo alla Little Tony (come vanno di moda adesso). Il viso leggermente a punta contrasta di poco con il fisico palestrato e ben scolpito e gli occhi, di un azzurro intenso, sembrano indagare ogni momento, come se potessero addirittura penetrare fin dentro l’anima del sottoposto. Ha la barba il palazzinaro, di quelle belle e molto curate, di un biondo acceso, fine, delicato quasi. Indossa una camicia scura, una cravatta stirata e dei pantaloni che, nonostante non si veda, sicuro sono di marca. Il ricco, Amici & Amiche, non ha bisogno di mostrare la scritta Dolce & Gabbana. Quando entra allunga il braccio, come fossimo amici, per una stretta vigorosa che ricambio, cercando di premere come meglio posso. Poi si guarda intorno, leggermente disgustato dall’arredamento e si siede in cucina, senza chiedere il permesso a nessuno.
  «Prego», dico non riuscendo a trattenermi.
Il ragazzo (come possiamo essere diversi noi ragazzi! Due mondi lontani e separati, uniti solo da un odio viscerale uno nei confronti dell’altro!) osserva bene la cucina e sentenzia, con voce sicura: «Va rifatta.»
  «Cosa?»
  «La cucina. È marcia».
  «Non è vero, è solo un po’ di polvere.»
  «Guardi là, le pare polvere?»
Sono culture differenti, luoghi differenti, esperienze differenti. Due universi che non possono unirsi, incompatibili ecco. Lo sappiamo tutti e tre: Simone, io e il proprietario dell’appartamento. Lui è solo, non gioca in casa, ma ha il potere, il coltello dalla parte del manico. Può permettersi, non senza un certo gusto sadico, di decidere cosa fare della nostra casa e noi, povero me, dobbiamo ringraziare.
  «C’è giusto un po’ di muffa. Vede?», dice il coinquilino allungandosi verso la maniglia che, una settimana fa, avevamo incollato con la colla (la maniglia che ora va via, strattonata da Simone).
  «Ops».
  «Ecco. Dobbiamo rifare la cucina. La maniglia ovviamente sarà a carico vostro».
La verità è che saremo sempre e comunque ospiti, non ci apparterrà mai niente. Non che io creda nella proprietà privata eh, ma non credo neanche in quella degli altri. E invece ci sono persone che hanno tutto e che posseggono pure le cose degli altri e persone che, in fin dei conti, in mano hanno solo un po’ di buffi e qualche illusione. È così che il proprietario del palazzo può decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato; può scegliere l’arredamento stesso della nostra casa. È con lui che la mia generazione dovrebbe prendersela, con lui e con i suoi simili: una razza bastarda di teste di cazzo. Questa razza, Compagni & Compagne, non ha età, c’è sempre stata e da sempre sceglie le cose sulle nostre teste, giocando a bowling con i sentimenti. Il problema è che molti di noi (che siamo la maggior parte) invece che ribellarsi se la prendono con chi sta peggio, eseguendo effettivamente il volere del padrone, sia esso politico, palazzinaro o datore di lavoro. È così, funziona sempre così, da sempre.
  In quattro e quattr’otto il giovane, stringendo bene il nodo della cravatta, sceglie e decide che, da qui ad un paio di settimane, vivremo in mezzo ai calcinacci. «Non lo faccio per voi», sorride uscendo (e dopo aver riscosso l’affitto), «ma per chi verrà dopo di voi». Annuiamo a testa bassa, consapevoli della sconfitta. Abbiamo belle parole Simone ed io, siamo bravi affabulatori ma poi la verità è che, come tutti, siamo dei perdenti. Perché non andarcene, non mandarlo a quel paese e non toglierci finalmente più di un sassolino dalla scarpa? Semplicemente: non possiamo. Qui l’affitto è basso e la vita costa meno, non possiamo permetterci altro. La verità è che non c’abbiamo un euro. Fanno ridere a me i tizi in televisione che parlano ancora di generazione mille euro. Oggi la generazione mille euro sta messa bene, è tipo media borghesia, noi stiamo sotto (e di molto). E visto che stiamo sotto accettiamo ogni cosa. Così poi, quando senti la vecchietta in metropolitana che parla dei giovani che non hanno voglia di far niente devi stare zitto, rimanere muto perché manco più la forza di mandarla ‘affanculo c’hai.

  Per risparmiare il nostro affitta-casa ha scelto di comprare robe Ikea, ma a pezzi, non tutto insieme, ché a pezzi costa ancora meno. Nella scelta, ovviamente, non ci ha consultato e così, nell’arco di mezza giornata, ci troviamo casa piena zeppa di operai che decidono al posto nostro. Simone ogni tanto prova ad intervenire, io no. Io rimango fermo, immobile, a guardare. Io, che adoro acchittare sistemare arredare mi trovo così, espropriato da casa mia, mentre il giovane palazzinaro indica i muri e le pareti. Semplicemente, non sono interpellato. Guarda il mio coinquilino, tra poco si stuferà; lo ammiro quasi nella sua caparbietà, come cerca di mettersi in mostra, di scegliere. È inutile, a breve ti stancherai e verrai a sederti accanto a me.
  Mi accendo una sigaretta.
  «Scusi», mi dice il ragazzo (che chiameremo Mister X d’ora in poi per maggior praticità), «il fumo uccide. Può spengerla?»
  Ed io, Cugini & Cugine, la spengo.
Gli operai nel frattempo tagliano piastrelle, incassano mobili, preparano forni.
  La nube di polvere mi assale.
  Rimango seduto e non mi muovo.
Dentro, nel profondo, sale la rabbia.
È forte ed è indirizzata tutta su Mister X. Cosa vuole a casa mia?
Simone nel frattempo cerca di solidarizzare con i lavoratori.
  “Dovremmo prenderlo a picconate”, mi viene da pensare.
Eccoci qui.
  Operai, elettricisti, idraulici, impiegati e disoccupati. Tutti quanti, tutti insieme, lavoriamo per lui. Lui dirige i lavori, pulitissimo nonostante lo strato di polvere non indifferente. Si posa ovunque la polvere, sulle posate, sulle mensole, sui piatti e sulle scodelle. Ci circonda. Ma lui, il nostro Mister X, non ne viene colpito. Qui dentro è tutto suo, ogni cosa. Non ci interpella, nonostante i vani tentativi di Simone, non ci considera. Ce l’ha fatta, è uno di quelli che ci è riuscito, perfettamente inglobato in questo sistema eppure così felice. Ammirate la sua pelle, liscia e profumata, osservategli le sopracciglia tagliate al punto giusto e poi sorridete, contemplando il torace che si intravede dalla camicia attillata. Mister X ce l’ha a morte con gli zingari, con gli immigrati, con i poveracci e con quelli come noi, che mandano in  malora l’Italia. Mister X è uno di quelli che puoi vedere seduto ai banchi del Parlamento, uno che dice che i giovani sono un branco di sfigati mammoni e che anche lui è giovane (e ama la mamma) ma che, facendosi un mazzo così, c’è riuscito. Lo puoi osservare al volante della sua auto sportiva, quando in un giorno di pioggia inzuppa la vecchietta con le buste della spesa in mano; lo puoi vedere seduto nei ristoranti da ottanta euro al piatto (una cagatina francese che manco ti sfama) mentre parla con gente come lui, o meglio con gente sotto di lui. Perché diciamocelo, chi non vorrebbe essere come Mister X, con un fisico da star del porno e i soldi che gli escono dal culo? È proprio questo il problema, l’ammirazione. Noi, la fascia povera della società, aspiriamo a diventare come Mister X, non cerchiamo la rivolta, l’uguaglianza, il sacrificio. Noi bramiamo la ricchezza. Ci piacciono le auto di lusso e  i cibi costosi, vogliamo mille donne e tanto denaro. Siamo tutti aspiranti Mister X. Per questo ce la prendiamo con chi sta peggio, come potremmo fare altrimenti? Abbiamo avuto per anni un Presidente del Consiglio miliardario, adesso ne abbiamo uno schiavo delle banche, servo dei poteri forti, che sta ulteriormente precarizzando le nostre vite, eppure ci piace. Eccome se ci piace. Mister X e il Presidente del Consiglio andrebbero molto d’accordo.
  Guardatelo adesso, il giovane che ci è riuscito:
lui comanda.
E noi osserviamo.
  Anche Simone si è stufato e si siede accanto a me.
Siamo coperti di polvere entrambi, bianchi da far schifo e con le mani che sembrano di farina. Starnutiamo un attimo, un secondo soltanto e poi ci guardiamo.
  Noi siamo sporchi. Lui è pulito.
È questa la differenza.
Però è fuori, è la pelle, l’esterno, il corpo. Dentro non è così. Dentro c’abbiamo diamanti al posto del cuore, siamo puliti da far schifo ed è il rispetto, sempre e comunque, a muoverci. Dentro siamo oro, luccichiamo. Diffidiamo da chi ha la giacca e la cravatta. Ci fanno paura quelli così, la gente in giacca e cravatta fa le cose peggiori, commette i crimini più orrendi, ruba al livello internazionale. Quindi in fondo a guardarci bene siamo bellissimi. Veniamo dalle borgate e abbiamo tantissimi amici, conosciamo tutto il mondo, ogni singolo centimetro, c’abbiamo la metropoli come patria. I nostri amici sono filippini bengalesi rumeni rom sinti indiani peruviani marocchini brasiliani. Camminiamo sicuri per strade che tu non calpesterai mai. Ci facciamo dare il prezzemolo dalla vecchia della frutteria e ci scambiamo otto parole, con la vecchia, sempre con il sorriso sulle labbra. Frequentiamo spazi luoghi posti che tu, Mister X, non vedrai in tutta la vita. In pratica la tua percezione sarà limitata per sempre, perché non conoscerai il mondo, non ne annuserai l’odore, il sudore; non farai le quattro del mattino in un centro sociale assieme alla ragazza che ami, dopo aver passato la sera nei posti più attivi della città, quelli che brulicano di vita. Non camminerai mai nei casermoni di periferia ad assaporare le storie di chi non c’ha niente. Non condividerai il sacco a pelo dentro una tenda sgualcita, coperto solo da un manto di stelle. Non leggerai un libro sdraiato sull’amaca, il sole in faccia e il vento tra i capelli. Non girerai in bicicletta, sgattaiolando tra le automobili come la tua, godendo nel semplice atto della pedalata. Non seguirai il fiume umano di un grande corteo che si ingrossa come un’onda che tutto può; non sentirai la vicinanza di quelli come te, una vicinanza vera e senza doppi fini, solo il gusto di stare insieme e di avere un ideale comune. Non sarai felice con poco, con niente, vorrai sempre tutto tutto tutto e alla fine morirai così, senza aver capito che non serve molto, che basta un nulla per farsi una risata.
  In fondo chi sei? Dove vai? La tua è una vita di paranoia, tutto qui. Hai il garage pieno zeppo di antifurti, la tua automobile ha una telecamera nascosta e un rilevatore satellitare, la villa dove abiti è isolata, lontano da tutti. Ti piace l’arredamento minimalista, minimalista cazzo. Non hai amici, ma solo leccaculo. Anche tu sei un leccaculo. Passi le giornate ad ammaliare chi è più forte di te, chi ha più di te. E per cosa? Per denaro, sempre e comunque per denaro. C’hai il pensiero fisso tu. Vivi per quello, per nient’altro. Manco sorridi. Ti vedo io. C’hai un sorriso finto da iena, da paraculo navigato. Però da ridere non ti viene mai. ‘Na bella risata forte, fragorosa, senza mano davanti alla bocca, da quant’è che non te la fai? A forza di bere vino buono in buone bottiglie hai scordato la bellezza della bettola di periferia, del pub di quartiere, dei beveraggi con gli amici fino a notte fonda. Ti droghi forse, un paio di botte di cocaina per stare su. Ma manco quella ti fa. Tu non sai cosa significa sporcarti le mani, lavorare come operaio e conoscere i tuoi compagni che non vogliono sopraffarti, che non stanno in competizione no, che sono solo compagni tuoi, tutto qui. Sei circondato da bestie feroci. Io lo so che il tuo pianeta è così. Vivi in un’eterna competizione. Quindi lo sai che ti dico? In fondo sì, mica ti invidio. Tra i due il fortunato sono io. Anzi. Rifammi pure la cucina che in fondo la muffa ce l’aveva, divertiti a poter scegliere e a sentirti un borioso-testa-di-cazzo. A me ‘sta storia qua non interessa. Io c’ho la vita mia che è incasinata e caotica ma è piena. Oh, io non dico che i soldi non servano eh. Dico che servono il giusto, quel che basta. Il troppo strozza. E ti fa diventare come Mister X, uno che poteva fare l’attore porno ma che è finito a sistemare cucine per gli altri. Quindi sì, Amici & Amiche, ché alla fine dei giochi, quando ogni cosa finirà, sono sicuro che potremo voltarci indietro e fare un bel sorriso, perché il cuore a noi ci ha sempre battuto.
  Tu tum
  Tu tum.

lunedì 23 marzo 2015

I DIECI CORPI



  Occhi spalancati.
  Bocca serrata.
In apnea. Senza rendermene conto.
  Cristo non riesco a dormire.
  «Perché non ci conti a noi!», dice la pecorella.
  «Ma sì che vi conto, solo che a me contare fa uno strano effetto. Cioè, l’ultima volta con voialtre sono arrivato a 21503 bestie. E poi ci si sono messi pure i cani. E le pecore nere. E il contadino. E la moglie del contadino».
  «Contare», mi fa la pecora nera, «è sempre stato un problema per te».
  «C’ha ragione Elia. Tu conti troppo», annuisce Ganesh. «Sei paranoico, te lo diciamo per il tuo bene».
  «E per il nostro», gli fa eco Grande Puffo.
  «Su su, lasciate intervenire me che ho studiato e ho la laurea», dice Leon Festinger.
  «Ma guarda chi c’è! Salve signor Festinger», saluta Sigmund Freud, «ho dato un’occhiata alla sua teoria del Confronto sociale e beh, me lo lasci dire, non credo di essere molto d’accordo con lei».
  «Aspetti, mio buon amico», interviene Carl Gustav Jung, «solo perché cazzo fica culo non ricorrono continuamente non vuol dire che…»
  «Il povero drugo attende…»
  «E infatti lasciatemi parlare. Il nostro Elia è da sempre affetto da una sottile forma di paranoia che si manifesta con i numeri. Elia conta in continuazione: conta per tre volte che le manopole del gas siano ben girate, che la luce sia spenta, che il frigorifero sia chiuso, che le persiane siano abbassate, che le prese siano scollegate e che i rubinetti rimangano a dir poco sigillati. Lo fa, gentili ospiti, perché non può farne a meno. Semplicemente, entra in paranoia. Ultimamente poi applica la teoria del tre (perché è il tre l’elemento dominante nei suoi conteggi) anche all’esterno. Ma cosa ben più grave è che, proprio in queste ultime settimane, ha cominciato a contare i propri passi e a guardarsi sempre le spalle, come fosse seguito. Se per un caso qualunque smette deve tornare indietro e ripercorrere la strada che ha già percorso. Se doveste vedere un ragazzo a testa bassa che guarda a terra (i suoi piedi nello specifico) bene, quello è il nostro Elia. Il suo conteggio è causa di ritardi (al lavoro, con gli amici) e di non poche arrabbiature. Capirete bene quindi che, per una persona come lui, dormire risulta quantomeno difficile».
  «Eh… ma come aiutarlo?»
  «Sediamoci ad un tavolo amici».
  «Alla Batcaverna!», urla Batman.
  «No, nel cervello di Elia».
IL CERVELLO DI ELIA
  Molti pensano che il cervello umano sia un ammasso di neuroni, sangue e strane cose viscide. La scienza…
  «Ed io!», urla Piero Angela indispettito.
…e Piero Angela, ce l’hanno sempre spiegato così e noi profani ci abbiamo sempre creduto. Tutte le robe dell’anima e le cose soprannaturali appaiono, oggi più che mai, superflue o quanto meno fuori moda.
  «Che tristezza», sospira La Voce di Dio.
Bene, non è così. Cioè, non c’abbiamo capito un cazzo. Il cervello di Elia (il mio) è un grande stanzone vuoto con un tavolo tondo al centro (pure lo stanzone è tondo). Ci sono tutte finestre grandi, molto grandi, e dalle finestre si vede quel che vedono gli occhi di Elia (i miei). C’è pure un immenso joypad mezzo scarico che troneggia beato su un comodino di cartapesta. Nello stanzone ci vivono una serie di personaggi poco raccomandabili che credo rappresentino il mio Io (cioè quello di Elia). Pure ora mentre vi scrivo, vedete? Sono affetto da tipo uno sdoppiamento della personalità. Questi personaggi poco raccomandabili vivono dentro di me e mi consigliano cosa fare, compreso: quando mettersi le dita nel naso, se andare o no a mangiare la pizza, quando bere l’acqua del rubinetto nonostante i calcoli renali, come comportarsi in caso di conoscenza di una ragazza. Ogni volta che devo fare qualcosa dentro la capoccia di Elia (la mia) si svolge una vera e propria assemblea (a questo serve il grande tavolo tondo). Alle volte, durante la riunione, si aggiungono così tante entità da farmi scoppiare il cranio.
  «In poche parole», dice Ganesh, «noi comandiamo ed Elia esegue. Fine dei giochi.»
Credo vivano tutti da me, però le casette loro mica le ho mai viste.
  «Perché sei un pulciaro, e giusto ‘na stanza ci hai ricavato».
Ma torniamo a noi.
  «E andiamo a vedere oggi quali piacevoli sorprese ci riserverà l’assemblea…», sorride Piero Angela.
  L’aria è satura di fumo, il tavolo è pieno di cartacce, appunti e bocce di birra vuote. Attorno al tavolo, per oggi, sono seduti: Ganesh, il Criceto, Leon Festinger, Grande Puffo, Carl Gustav Jung, Sigmund Freud e Batman.
BATMAN: La situazione è grave.
LEON FESTINGER: Il ragazzo non dorme più.
CARL GUSTAV JUNG: Se muore…
SIGMUND FREUD: …Siamo tutti spacciati.
IL CRICETO (rotolando): ǝuoıznןos ɐun ǝɹɐʌoɹʇ oɯɐıqqop.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Scusate il ritardo, tre ore per trovare un supermercato aperto.
GRANDE PUFFO: Macchecazzo. T’avevo detto prendi il vino buono, non quello scrauso da un euro!
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Ti ignoro Grande Puffo, ti ignoro. E poi chi l’ha detto che toccava a me andare a comprare i beveraggi?
GRANDE PUFFO: Tocca sempre a te. Sei lo sfigato della comitiva.
SIGMUND FREUD: Ordine ordine. Torniamo a noi…
MASTRO LINDO: Salve! Vi ho sentito parlare! Che ne dite di una bella pulitina?
BATMAN: Dici che è zozzo?
GRANDE PUFFO: Evabbè, passa ‘sta boccia.
BATMAN: Io non lo sopporto lo sporco!
MASTRO LINDO: Grazie a me lo sporco più ostinato sarà solo un ricordo!
GANESH: Ho trovato! Chiederemo a Simone… lui sa.
  Apro gli occhi e mi trascino in camera di Simone. Ronfa lo stronzo.
  «Aho», lo strattono, «sono le otto, devi alzarti. Devi andare a lavorare».
Il coinquilino spalanca gli occhi (per chi non lo sapesse: Simone è stato licenziato parecchi mesi fa e ormai vive di stenti, trascinandosi senza tregua alla ricerca di un lavoro). «Lavoro?», sussurra già in piedi.
  «Ci sei cascato coglione…»
  «Smettila immediatamente Elia! Il rischio è che il tuo amico non ti aiuti nell’ardua impresa! Vuoi per caso finire come quello del film? Magro da far schifo e con gli occhi a palla? Pieno di allucinazioni dalla mattina alla sera? Con i mostri che ti magnano il cervello? In preda alle psicosi più assurde? Vuoi essere rinchiuso in un manicomio criminale assieme agli stupratori, ai serial killer e ai venditori di sigarette elettroniche?», mi fa Ganesh.
  «Giammai. È che non riesco a confidarmi.»
  «È una cosa di voi maschi», mi spiega Xena, la principessa guerriera, «con gli amici non vi lasciate mai andare, tutto il giorno a parlare di calcio e motori, manco più di donne parlate».
  «Ma a me il calcio non piace e manco le macchine. Vado in bicicletta io».
  «Noi ragazze sappiamo confidarci, ascolta la tua parte femminile (da me magistralmente interpretata), lasciati andare… sfogati… sii te stesso, apri il tuo cuore…»
  «Senti Simone. Te lo dirò tutto d’un fiato perché non ce la faccio più:
 stomalecazzosonogiornichenondormoestodiventandoparanoicomanonpocoehc’hoproprioleparanoieassurde
 tipochecontotuttotrevolteemivoltosempreindietroaguardareilvuototumideviaiutarechéquasbrocco».
Simone, il mio Simone, si alza in piedi, alto come solo i salvatori possono essere, gonfia il petto e protrae il mento in avanti, in un’espressione di gloria gloriosa. È il mio migliore amico. E mi salverà.
  «Elia…»
  «Eh?», rispondo pendendo dalle sue labbra, gli occhi a cuoricino.
  «Non c’ho capito niente di quel che hai detto. Però mi sembra che stai bene ultimamente. Ti vedo attivo, a tremila. Sono contento per te. Cioè, hai una bella cera».
  «Togli la cera! Togli la cera!», urla il maestro Miyagi di Karate Kid.
  «Dai, ormai mi hai svegliato. Vado a far yoga ché oggi c’è pure la mia insegnante preferita».
Pensiero: yoga.
Formula: seguire Simone.
Azione: spalancare la bocca.
YOGI BHAJAN: Con lo yoga, con il mio yoga. Dormirà.
BATMAN: E tu chi sei?
GANESH: Come chi è? Ignorante! Prego maestro, si accomodi nella nostra umida, cioè, umile dimora. Si sieda, senza far complimenti. Vuole qualcosa? Un succo di frutta, un’aranciata senza zucchero, una carota biologica?
YOGI BHAJAN (nella posizione del loto): Disciplina.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Aho, ma come fa a mettere le gambe così?
GRANDE PUFFO: E’ la posizione del loto scemo, c’è pure scritto tra le parentesi tonde. È un maestro questo, mica cazzi.
YOGI BHAJAN: Al vostro amico quel che manca è la disciplina. Guardatelo, fa quasi impressione. Ne ho conosciuti tanti di ragazzi come lui, sono vissuto nei favolosi anni settanta io…
JIM MORRISON: Ci siamo pure conosciuti!
YOGI BHAJAN: Lo yoga può aiutarlo. Fui io a portare la Kundalini in occidente.
SIGMUND FREUD: Ohhh
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Che poi che è ‘sta Kundalini?
GANESH: Stolto! La Kundalini è una dea! Indica quell’aspetto del Śakti presente nel corpo umano, l’energia divina che risiede addormentata attorno alla colonna vertebrale! Il sacro serpente!
YOGI BHAJAN: Colei che non ha coscienza.
GRANDE PUFFO: E tu puoi svegliarla?
YOGI BHAJAN: Non io. Elia può farlo. Scuotendola.
  «Dì un po’ Simone. Non è che posso venire con te?»

  La stanza è grande e spaziosa. Le pareti sono dipinte di un verde tenue, sottile, rilassante; non ci sono quadri, giusto la foto di Yogi Bhajan e il disegno di un tizio con i chakra aperti. A terra dodici tappetini sono posati con cura. C’è silenzio, solo il suono della musica, un suono lento, profondo, ipnotico. Sui tappetini sono sedute delle persone, uomini e donne, di tutte le età. Quando arriviamo salutano Simone con calore, come fosse il miglior amico di tutti.
  «Oh oh», dico.
  «Che c’è?»
  «Non vedi Ganesh?»
  «Non mi far fare figuracce cazzo. È l’ambiente mio questo».
  «Sono tutti vestiti di bianco e c’hanno dei turbanti in testa».
  «Effettivamente».
  «Dici che il mio completo (felpa e pantaloni) decathlon nero a strisce viola e verdi acetato non si intona? Cioè, nel contesto…
  «Chiedi al tuo coinquilino perché non t’ha detto niente! Sbrigati!»
  «Ohi Simo, scusa un attimo. Ma perché so’ tutti vestiti di bianco?»
  «Effetto rilassante sul sistema nervoso, analfabeta».
  «Cazzo…»
  «Non dire parolacce».
  «Perché non me l’hai detto?»
  «L’ho dimenticato. D’altra parte tu mi hai buttato giù dal letto senza un apparente motivo. Ora siediti Elia, lasciati i pensieri alle spalle. Sta arrivando l’insegnante. Sat nam».
Mi siedo, cercando di incrociare le gambe. Cristo se sono bloccato. Ecco, prendi quella, c’avrà settant’anni e guarda come sta.
  «Non puoi essere da meno Elia! Sforzati!»
  «Hai ragione Ganesh! Ci riuscirò!»
Afferro il piede destro tra le mani e lo metto sul ginocchio sinistro.
  «Ci sta uccidendo!», urlano le ossa. «Resistete compagni! Fino alla morte!»
Premo forte cercando di assumere una posizione rilassata. Ma come fanno?
  Tutti hanno un’espressione estasiata in volto, qualcuno si rotola, qualcun altro si piega in due, in preghiera.
  Cerco di immedesimarmi.
Chiudo gli occhi, sentendo le gambe che partono via. Le rimetto in ordine.
  «Bravo Elia, non mollare», mi dice Ganesh.
  «Non mollo non mollo, tranquillo che non mollo. Oh, sono venuto qua per rilassarmi».
  Improvvisamente cala il silenzio. È un silenzio strano, sovraumano, tranquillizzante. E dal silenzio esce lei: una donna vestita totalmente di bianco, scalza e grassottella. Sembra danzare nell’aria, come se i piedi non toccassero terra. «Sat nam», mi saluta guardandomi. Annuisco. La donna si posiziona davanti a tutti e comincia a strofinare le mani chiudendo gli occhi.
  Rimango immobile.
Che fare?
  «L’hai appena detto! Stanno tutti ad occhi chiusi e si strofinano le mani, fallo pure tu no?!?», urla Ganesh.
Chiudo gli occhi, strofino le mani, poi unisco i palmi.
  «Concentratevi sul terzo occhio».
  «Testa d’elefante, dov’è ‘sto terzo occhio?»
  «Nella fronte! Ti prego Elia, ci osservano! Mi stai mettendo in imbarazzo».
  «Ong namo guru dev namo. Tratteniamo.»
Apro gli occhi. Sono una macchia nera in mezzo ad un mondo di bianchi. Capiranno subito che sono un sacrilego! Verrò tacciato di blasfemia e morirò sul rogo! Cerco di mantenere la posizione, le ossa scricchiolano.
  «Ooooooonnnnng namoooooooooooo guru deeeev namoooooooooooooo», cantano.
  «Provaci Elia! Concentrati! Diventa anche tu uno yogi!»
  «Lo farò testa d’elefante!»
Premo i palmi ancora più forte e vado, urlando: «OOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOONNNNNNNNNNNNNNGGGGGGGGGGGGGGGGGGG NNNNNNNNNAMOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO GURU DEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEV NAMOOOOOOOOOO».
Si voltano.
  «Ops. Scusate.»
  «Non importa», mi rassicura l’insegnate. «Annulla i pensieri e segui quel che dico. Qui nessuno ti giudica. Vedrai, ti piacerà. Ora cominciamo…»
  «Ecco, figura dimmerda», mi fa Ganesh.
  «Bene, oggi ripeteremo la tecnica che viene chiamata ‘Dei dieci corpi’…»
  «La so la so!», gioisce Grande Puffo.
  «E come fai?»
  «Oh, sono un mago io eh. Qualcosa ci capisco pure. Allora, i dieci corpi sono: l’anima, la mente negativa, la mente positiva, la mente neutra, il corpo fisico, la linea d’arco, l’aura, il corpo pranico, il corpo sottile e il corpo radiante. Non ve l’aspettavate eh? Elia, immagina i diversi corpi come degli strati di vestiti, tipo maglietta, camicia, felpa e giacca. Il corpo fisico è il cappotto che indossi sempre, tutta la vita insomma. Lo puoi vedere no? Sta lì. Lo tocchi e lo senti. Però amico mio, tu hai altri corpi che sono altrettanto reali, solo che è più difficile scoprirli. Ogni persona è composta da dieci corpi; il corpo fisico, tre corpi mentali e sei energetici. L’undicesima incarnazione, con tutti i dieci corpi sotto la tua guida, produce un puro stato di coscienza, quando si ha la capacità di vedere tutti gli eventi come il Gioco di Dio e si riconosce Dio in ogni cosa. Mica cazzi».
  «Se comprendi che tu sei dieci corpi e sei consapevole di quei dieci corpi e li tieni in equilibrio, l’universo intero sarà in equilibrio con te», mi spiega Yogi Bhajan.
  «E tu da dove spunti?»
  «Lascia stare Elia, lui è il Maestro, con la ‘M’ maiuscola», mi risponde Ganesh.
  «Ora stendetevi a terra».
Eseguo.
  «Annullate i pensieri».
Ma come faccio? Provo a concentrarmi sul terzo occhio. “Sat nam”, ripeto mentalmente. Annulla annulla annulla.
  «Scusi», dice Pensiero, «è permesso?»
È come se il cervello fosse un moto continuo di pensieri interconnessi. Il blocco totale è quantomeno difficile. Provateci da casa. Arrivano comunque. Per quanto uno si possa concentrare un pensierino bussa sempre alla porta. Se poi c’è il silenzio è ancora peggio. Viviamo in un mondo dove non ci fermiamo mai. Non ci prendiamo cinque minuti. Stare da soli, con noi stessi, ci fa paura. Ecco quindi, mentre faccio la mia prima lezione di yoga, che milioni di pensieri giungono spietati: la spesa, il lavoro, i croccantini per il gatto dei miei, la borraccia d’acqua mezza vuota, l’ascella che suda, il Racconto del Martedì che non ho scritto, il sonno, le ansie. Non so non pensare. È terribile.
  «Sollevate i piedi e la testa di quindici centimetri da terra. Mantenete la concentrazione sulla punta dei piedi e praticate il respiro di fuoco».
  «E che è il respiro di fuoco? Tipo ‘na cosa tra draghi?»
Dai Mondi Sommersi apparve il grande mostro infuocato, ogni suo respiro bruciava interi villaggi…
  «Il respiro di fuoco», mi spiega Ganesh, «è una tecnica pranayama in cui si respira velocemente, ritmicamente e continuamente attraverso le narici con uguale enfasi sull’inspirazione e sull’espirazione. Nel kundalini la respirazione è molto importante.
Okay. Vada per il respiro di fuoco. Alzo piedi e testa di qualche centimetro e comincio.
  Inspira espira inspira espira inspira espira cazzo che fatica inspira espira inspira espira i piedi pesano inspira espira inspira espira.
  Crollo. Spalanco gli occhi. ‘Sti settantenni che fanno ancora tutto mi mandano in bestia.
  «Ricordate, non c’è competizione», dice l’insegnante come se mi avesse letto nel pensiero. «Adesso avvicinate le ginocchia al petto e abbracciatele con forza. Anche qui praticate il respiro di fuoco».
  Comincia a girarmi la testa.
  «Certo, stai andando in iperventilazione», mi dice Sigmund Freud.
  «Macché iperventilazione! Questa è la Kundalini!»
Attorno al tavolo nel cervello qualcosa si muove.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Ehi, ma che è, tipo un terremoto?
GRANDE PUFFO: Affacciati un po’, vedi qualcosa? Cioè, da lì giù?
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: No no, tutto nero.
GRANDE PUFFO: Stiamo tranquilli?
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Tranquillissimi!
  «Ora sedete in posizione facile e sollevate le braccia a sessanta gradi con i pugni stretti portando la concentrazione al terzo occhio e di nuovo respiro di fuoco».
BATMAN: Gli fa. Indubbiamente gli fa.
ALDOUS HUXLEY: E’ tutta una storia di porte della percezione. Non dovete preoccuparvi…
  «Gambe divaricate. Bravi, bene. Inspirate e, espirando, afferrate con entrambe le mani l’alluce sinistro, portando la fronte al ginocchio. Inspirate ritornando nella posizione di partenza e ripetete a destra.»
Fluttuo. Improvvisamente fluttuo. Sarà il sonno arretrato ma vi giuro c’ho tutto che mi gira. Tipo beatitudine. Sorrido come un fesso ed eseguo gli esercizi con sguardo da ebete. Davanti a me sgorgano immagini psichedeliche, cerchi di luce ed esseri alati.
LEON FESTINGER: Lo stiamo perdendo!
KARL MARX: Elia, un così bravo ragazzo, da sempre nemico degli oppressori. Ricordo ancora quando urlava «A morte il capitale!» ai cortei. Guardatelo adesso, cosa ne è rimasto? Sposato alla causa hippie. Un freakettone del cazzo.
  «Sedete con le gambe spalancate. Perfetto. Prendete gli alluci, inspirate e portate la fronte al pavimento, espirate e tornate alla posizione di partenza. Vi dirò io quando fermarvi. Sat nam».
  «Bravo Elia spingi!»
  «Non mi alzerò mai più Ganesh!»
  «Scendi scendi!»
  «Ma questo è il massimo!»
  «Pensa ai bambini che muoiono di fame, ai vecchi lasciati soli, ai barboni nelle strade, alla gente senz’acqua! Grazie alla tua aura energetica potrai salvarli tutti! Diventa un Super Sayan Elia! Crea il cerchio di luce e sconfiggi il male!»
  «Di nuovo in posizione facile», dice l’insegnante, «afferrate le caviglie e flettete avanti e indietro inspirando ed espirando. Benissimo. Ora sedetevi in posizione della roccia e ripetete l’esercizio precedente. Mi raccomando, concentrazione al terzo occhio».
  Io gli occhi mica li apro più. Qua è tutto un turbinio di sensazioni emozioni dormiveglia. C’ho tutto ‘no scombussolamento interiore e so pure cos’è la posizione della roccia. E senza che nessuno me l’abbia mai spiegata!
LEON FESTINGER: Presto presto! In ginocchio, muovete ‘sto corpo altrimenti si affloscia!
JIM MORRISON: Il joypad è andato!
BATMAN: Oh no! Fa tutto da solo!
CARL GUSTAV JUNG: Dove sono le batterie?
GRANDE PUFFO: Vanno ad energia solare! Ma qualcuno non era andato a prenderne altre? Siamo senza comandi, ripeto, senza comandi! Superstellino, vedi niente?
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Dagli abissi più profondi dell’anima ancora nulla!
MASTRO LINDO: Rischiamo che crolli tutto… dobbiamo trovare le batterie!
  «Rimanete in posizione della roccia e afferrate le spalle. Torcete il busto a sinistra e a destra. Ricordate la respirazione. Ora inspirando sollevate i gomiti fino a far toccare le braccia dietro la testa e, espirando, riportate le braccia parallele al pavimento».
Ohhhhhh
Ma certo
lo yoga
è proprio fico.
Io non ci capisco.
Più niente.
  Fluttuo.
  Mi perdo.
Concentrazione al terzo occhio.
                                                  Al terzo occhio.
                                                                           Al terzo
                                                O. C. C. H. I. O.
  «Mettete le dita nella stretta di venere…»
Io so tutto.
  «E sollevate le braccia oltre la testa. Bene. Espirando riportatele giù».
Ogni cosa.
  «Bravo Elia, bravo! Il potere è nelle tue mani! Con questa energia conquisteremo il mondo!», ride Ganesh, gli occhi di fuoco.
  «osɹǝʌıun,ןןǝp ǝɹ ןı», dice il Criceto.
  «Sedete in posizione facile con le mani appoggiate alle ginocchia. Sollevate ritmicamente con il respiro le spalle verso l’alto con un forte movimento di spingi e tira, una spalla sale mentre l’altra scende. Ancora, ancora… okay. Adesso inspirando sollevate entrambe le spalle e espirando riabassatele.»
  Cavalli alati ronzano attorno a me e al centro di tutto, nel buio più assoluto, vedo una luce in lontananza.
  Forte
  Intensa
  Grande.
Si avvicina.
Mi cerca.
Quasi mi ingloba.
KARL MARX: Sta cedendo alla superstizione! Adesso comincerà a credere nella magia! Domani nei folletti e dopodomani in Dio!
GRANDE PUFFO: Le batterie del joypad! Qui crolla tutto!
SIGMUND FREUD: Guardate! Una voragine si è aperta nel muro!
BATMAN: Oh. Non è che un infarto?
MASTRO LINDO: Macché un infarto. Questo è altro amico mio! E viene dal basso!
INDIANA JONES: Non vorrai dire che...
PIERO ANGELA: Sta risvegliando…
  «Prendete un bel respiro e ruotate la testa a sinistra. Espirando giratela a destra. Procedete per un minuto e cambiate il movimento: inspirate a destra ed espirate a sinistra. Adesso inspirate profondamente al centro, concentratevi al terzo occhio e lentamente espirate.»
  Ad ogni rotazione lascio il mio sguardo più in là, come se la percezione stessa faticasse a seguire il movimento. Un millimetro prima di quel che dovrebbe essere. Poi mi fermo, concentrandomi al centro della fronte, il cerchio di luce sempre più grande, eterno.
Non sento più dolore.
Stanchezza.
Sonno.
Milza.
Cuore.
Cuore.
Cuore.
Il cuore pulsa
Tu tum tu tum
Espiro.
  «Assumete la posizione della rana: accovacciatevi sollevando i talloni e portate le mani a terra tra le ginocchia».
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Il varco si sta aprendo! Già vedo le vene e il sangue! Guardate! Un neurone!
BATMAN: Allora non sono morti tutti.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Il neurone è vivo! Lunga vita al neurone!
GRANDE PUFFO: Non distrarti! Dobbiamo riprendere possesso del corpo! Guarda giù Superstellino!
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Oh no!
NEURONE: Vengo in pace. Voglio portarvi i saluti di…
PIERO ANGELA: Uccidete il neurone presto!
MASTRO LINDO (sfoderando lo spray che tutto distrugge): L’ultimo della sua specie!
SIGMUND FREUD: Lo sentite anche voi?
  «Mantenete la schiena e la testa dritte. Inspirando sollevatevi verso l’alto ed espirando ritornate giù. Ripetete questo movimento cinquantaquattro volte.»
Cinquantaquattro.
Potrei farne mille.
  Sorrido mentre il cerchio di luce mi assimila.
Né suoni
Né odori.
  «Ora sdraiatevi sul dorso e rilassatevi profondamente».
Un burp dalla mia pancia.
  Occhi chiusi.
  Va tutto bene.
La mente galoppa.
PIERO ANGELA: Dal basso. Guardate… è la fine.
NEURONE: Ohhh. Padrona & Signora del corpo di Elia e di tutto l’universo. Benvenuta, questa è la sala comandi. È qui che, prima di essere spodestati da queste infime creature, governavamo il Mangiaboschi. Ora tutto questo è suo, mia Regina…
KUNDALINI: Elia mi ha risvegliato! Da decenni dormo in questo corpo! Un corpo sfatto, pieno di sostanze cancerogene! Un corpo distrutto dal tabacco e dalle droghe! Io, Principessa dei Mondi, dico che da oggi il nostro Elia diventerà un ragazzo attento, sempre pronto e che la sua coscienza si espanderà fino all’eternità, per raggiungere il Dio che è in ogni uomo!
BATMAN: Cazzo ma è un serpente.
GRANDE PUFFO: Zitto coglione, siamo nella merda.
KUNDALINI: Ripulirò Elia da tutto lo schifo che gli avete fatto ingurgitare! Niente più cibo spazzatura! Basta sigarette! No agli alcolici e alle notti brave! Corsa tutte le mattine! Yoga! Anzi, dirò di più… lo iscriverò a nuoto!
SIGMUND FREUD: No, a nuoto no!
KUNDALINI: Ma soprattutto… mai più merendine! Diventerà un mistico con un fisico perfetto… un santo!
  «Salutiamoci adesso, mettiamoci in cerchio e cantiamo La canzone del sole…»
Non voglio muovermi. Mi piace questa luce che mi circonda. Rimarrei sdraiato così, per sempre. Anzi, ho proprio voglia di… come dire, cambiare vita sì. Basta Playstation, basta sbevazzare con gli amici. Cioè, a me va una bella corsetta sulla ciclabile… e poi, perché no, vado pure a pilates. Facendo l’Om ovviamente, per la mia energia interiore.
  «Elia, ma che vai pensando?»
  «Oh sì Ganesh, ho voglia di questo adesso.»
  «Macché. Abbiamo preparato la sigaretta per il dopoyoga… e Simone per tirarti su di morale ha rollato pure una canna. Solo per te, però non glielo dire che lo sai eh… in fondo è un vero amico dai»,
  «Credo che smetterò. Vedi, con lo yoga ottengo gli stessi risultati… e poi fa male ai polmoni e io voglio polmoni sani e robusti…»
KUNDALINI: Elia è mio! Già avverto il suo cambiamento! L’esperienza cosmica fluttua in lui!
GANESH (entrando in scena): Che succede qui?
KUNDALINI: Ganesh, anche tu? Cos’hai da spartire con questi scansafatiche? Sei un dio…! Stanno distruggendo il corpo e tu li lasci fare?
GANESH: Beh, ma è il nostro corpo. E poi a Elia piace. Non ha mica bisogno di cambiare…
KUNDALINI: Soffre di un precoce disturbo paranoico, lo sappiamo tutti, non è vero dottor Jung?
CARL GUSTAV JUNG: Sì ma… non credo dipenda dal suo stile di vita.
KUNDALINI: Non dorme! Si droga!
GANESH: E’ fatto così. Cioè, insomma, siamo fatti così.
PIERO ANGELA: Però ‘sta battuta potevi farla fare a me.
LA MOSCA: Ehi ragazzi sono tornato! Ho comprato le batterie, sempre al discount eh… poi non venitemi a dire che non faccio mai niente…
KUNDALINI: E quello cos’è?
PIERO ANGELA: Una mosca.
KUNDALINI: No, quel… quel coso…
KARL MARX: Quello? Quello è il joypad. Il grande joypad. Ci comandiamo il ragazzo.
LA MOSCA: Ecco fatto. Messe. Vedi? Ora tocca a me manovrarlo… è divertente. Con X apri le bottiglie, con O fai i pensieri profondi e con questo…
KUNDALINI: Posso provare? Cinque minuti e basta. Prometto. Mi sdraio là okay, su quel divano. Quello comparso or ora…
  Dopo il saluto mi alzo e sorrido a tutti. «Sat nam», dico, «Sat nam».
  «Beh? Che ne pensi?», mi chiede Simone.
  «Fantastico».
  «Cannetta a casa?»
  «…»
IL CRICETO: Eddai, ma che ti costa?
GRANDE PUFFO: Ma poi scusa, ‘na biretta non la vuoi pure tu?
KUNDALINI: Ma io… non ho mai bevuto…
GRANDE PUFFO: C’è sempre una prima volta. Superstellino, porta una doppio malto alla signora dai…
KUNDALINI: Non mi farà male?
MASTRO LINDO: Guarda noi, ti sembriamo messi male?
KUNDALINI: Va bene. Solo un sorsetto però eh…
BATMAN: Sì sì, solo uno. Poi andiamo d’amaro.
  La luce energetica improvvisamente sfuma via e una sottile paranoia mi assale di nuovo, come se la lampadina si fosse fulminata.
  «Aho», faccio a Simone, «però ‘sto yoga eh…»
  «Ti fa…»
  «Cazzo se ti fa… grazie amico mio, ho avuto tipo un’illuminazione. Una cosa mistica credo. Secondo me s’è risvegliata la Kundalini… M’è pure venuto sonno… ma torniamo a casa sì? Cioè, c’ho ‘na paranoia. M’è risalita tutta su improvvisamente. Piccola eh. Però le sento, stanno tornando pure le altre. Evabbè, siamo fatti così, come direbbe Piero Angela. Ci facciamo pure ‘na partitina. Comunque. Il gas dico, l’avremo chiuso prima di uscire?»