lunedì 16 febbraio 2015

UN ACERRIMO NEMICO



  La Sfiga.
  La conoscete no?
  È brutta, bassa e tarchiata; ha i vestiti neri neri e puzza di rancido. Ogni tanto, a guardarla bene, pare abbia le ali, simili a quelle di un gufo solitario. Solo che lei non è solitaria, per niente, anzi, tende ad attaccarsi tipo scimmia sulla schiena, c’avete presente no? Burroughs dico…
  «Ciao! Io sono la scimmia di William Burroughs!»
  «Dite ‘Ciao’ alla scimmia di William Burroughs».
  «Ciao scimmia di William Burroughs!»
…Solo che non ci sono droghe di mezzo, macché, è solo ‘n accollo. Ha i capelli strappati la Sfiga e due occhi fondi, grigi, spenti. Quando ride mostra i denti neri, tutti cariati. Ti fa paura la Sfiga, eccome se te ne fa.
  Io l’ho conosciuta una mattina (avevo già avuto a che fare con lei, ma giuro mai in questo modo), quando mi è venuta a trovare a casa, poco prima della colazione. Si è presentata ma io non c’ho fatto caso, non l’ho degnata di uno sguardo, non le ho neanche stretto la mano, una cosa di educazione, ché ad essere educati è sempre meglio. Ganesh ha pure provato a dirmelo, «Oh, c’è una nuova amica. Sfiga, Elia. Elia, Sfiga», ma io ho fatto finta di niente. Così si è accanita: ecco quindi…
  «Ecco quindi…», dice il Criceto.
  «Non iniziamo.»
  «Eddai, giusto il titoletto… una cosa tra amici».
  «È che gli rode…», annuisce Ganesh.
  «Che ne vuol sapere Elia di Sfiga?», dice John Locke della fortunata serie televisiva Lost.
  «Ohhhh…»
  «E tu che c’entri?»
  «Cazzo se non è sfiga la mia: abbandonato dalla madre, rifiutato dal mondo, pure nell’isola nessuno che mi vuole bene, con il dottore sempre in mezzo… respinto dalla donna che amo, paralizzato per colpa di mio padre, abbandonato in una fossa comune e salvato dal suicidio solo per essere ucciso subito dopo a sangue freddo. Cioè, non è sfortuna questa?»
  «Ascolta John Locke Elia».
Andiamo avanti. Ecco quindi:
LA GIORNATA DELLA SFORTUNA
[Ovvero di come la Sfiga sceglie di accanirsi su Elia Mangiaboschi, una minaccia di licenziamento incombe e nuovi piccoli amici entrano a far parte dell’allegra combriccola]
  La Giornata della Sfortuna, o meglio l’Incredibile Giornata Nera della Sfortuna, ha inizio una fredda mattina di febbraio.
  «Beh però scusate eh. Pure su di me la Sfiga si è accanita», dice Gesù bambino.
  «Mica è sfortuna quella, quello è l’uomo… o massimo il diavolo», risponde La Voce di Dio.
  «Aho. Quella è Sfiga», dice il diavolo.
  «Amica tua».
  «Amica mia sì, ma pure tua. Tutti quelli che hai fatto morire quando c’è stato il Diluvio Universale un po’ di iella ce l’hanno avuta no?»
  «Embè? Se lo meritavano. Non mi piaceva mica quel che facevano.»
  «Sei un tantinello drastico nelle decisioni…»
  «Posso dire una cosa anche io?», domanda Padre Pio.
  «…»
  «È che qui non c’è libertà di espressione. Diciamoci la verità».
  «Libero arbitrio un cazzo».
  «’Na razza sfigata quella umana».
  «Per questo hanno inventato gli amuleti».
  «Ho mandato su ‘n amichetto mio a fare un programmino niente male. Casomai partecipa pure il ragazzo», tintinna Padre Pio.
  «Chi?»
  «Questo delle storie no? Com’è che si chiama? Mangialberi, Mangiamiele, Mangiastronzi…»
  «Mangiaboschi.»
  «Eh, proprio lui».

COME COMBATTERE LA SFIGA IN DIECI RAPIDE MOSSE
Un programma di Theodor Robert Bundy
  «E chi è?»
  «Uno dei più efferati serial killer della storia americana, zitto e guarda.»
THEODOR ROBERT BUNDY (abbassando di poco la testa): Buongiorno signor Mangiaboschi.
ELIA: Buongiorno a lei.
THEODOR ROBERT BUNDY: Grazie per aver accettato il nostro invito. Come di certo saprà il pubblico da casa potrà votare la sua storia tramite il televoto. La competizione sarà ardua, contro di lei infatti abbiamo: IL KILLER DELLO ZODIACO, SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY e JENNY LUNA, famosissima cantante italiana degli anni cinquanta! Un applauso!
ELIA: Sì, ehm… allora comincio.
THEODOR ROBERT BUNDY: Prego, non abbia paura. Il pubblico la ama.
ELIA: Bene… vado a iniziare:

IL CRICETO: Dai dai dai, facciamola breve così arriviamo al dunque! Noi qui dentro glielo abbiamo detto tutti. Mica una volta eh, almeno tre. Cioè, l’abbiamo sentita ‘sta cosa, ‘sta rogna. Però il signorino ha fatto finta di niente. Tipo così:
  Elia corre in bicicletta saettando da una parte all’altra, sfreccia sparviero tra le automobili, bellissimo come pochi, incurante del gran mal di testa che lo attanaglia e del dolore, per ora impercettibile, proprio sopra l’inguine.
L’INGUINE: Non c’è rispetto.
GANESH: Inguine, è che non ci pensa.
L’INGUINE: Lo so, però il sellino sbatte.
GANESH: E’ in ritardo. Guarda come corre. E non dimenticare che ha da poco battuto la testa contro l’armadietto.
IL DIAVOLO: Già là poteva capirlo eh… della sfortuna dico.
IL CRICETO: Lasciatemi continuare:
  Un balzo in avanti improvviso. È a terra, alza lo sguardo, una Panda inchioda ad un millimetro da lui.
  “Cazzo”, pensa.
LA VOCE DI DIO: Elia c’ha sempre pensieri profondi.
  “Cazzo”, pensa, “la bicicletta”.
È bucata. Farà tardi al lavoro. Ma è bravo il ragazzo, in un attimo la riaggiusta e rimonta in sella.
  Fssssssssssssssssssssss
La ruota dietro.
  Di nuovo.
  «E se…», gli domanda Ganesh, «montando la ruota della bicicletta, per sbaglio certo, la catena si fosse irrimediabilmente rotta?»
Corre, sempre più veloce, la milza che scoppia, una rapida occhiata all’orologio. Di più. È un bagno di sudore. L’inguine struscia sul sellino.
  «Ecco!», urla vedendo l’immenso palazzo di Meccanic. A, l’azienda per cui lavora.
  Ma è tardi.
  «Mangiaboschi, sei in ritardo», dice il signor Marco.
Elia si inginocchia ai suoi piedi, «Oh Signor Marco la prego! Ho bucato due volte con la bicicletta e quasi morivo!»
  «Ascolta a me. Sappiamo tutti che odi questo lavoro, che ti fa schifo, che non lo sopporti. Sappiamo cosa pensi di noi  e lasciamo correre. La verità è che non ci interessa, la cosa importante per Meccanic. A sono gli scontrini e tu fai quelli. No, neanche quelli. Tu timbri i pacchi. Un sotto impiegato. Però hai i buoni pasto…»
GANESH: A Elia toccagli tutto ma non i buoni pasto, lui li adora i buoni pasto.
ELIA: Ahhh! Come farò senza i buoni pasto?!? La spesa al supermercato gratis! Le merendine Mulino Bianco! Le bibite gassate! La carta igienica a tre strati che con quella del discount sembra che ti pulisci il culo con le dita!
  «…E un buon contratto. Sono giorni che fai tardi».
  «Ma due minuti!»
  «Appunto. L’azienda si regge sulla puntualità, sull’efficienza, sul rigore. Etica e finanza Mangiaboschi. Ricevute. Credi in noi? Bene. Non ci credi? Quella è la porta. Un altro giorno di ritardo e sei fuori, capito? Fuo-ri.»
  «Sissignore».
ELIA: Ora la posso continuare io la storia? In fondo è roba mia.

LA GRANDE TAVOLATA DENTRO LA TESTA DI ELIA
GANESH: Siamo qui riuniti per scegliere cosa il Mangiaboschi può e non può fare.
IL CRICETO: Quanto cioè può decidere della propria esistenza.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Ogni scelta infatti, anche la più stupida…
LA VOCE DI DIO: …Come quella di mettersi le dita nel naso in pubblico o no…
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: …‘E in verità presa da noi.
JIM MORRISON: Datemi un sogno in cui vivere, perché la realtà mi sta uccidendo.
GANESH: Quindi. Ai voti. Sarà Elia a narrare la sua storia o noi?
THEODOR ROBERT BUNDY: Facciamo scegliere al pubblico da casa, via col televoto!
L’INGUINE: Tanto mo so’ cazzi suoi.

  Però ‘sto dolore mica mi passa. È poco sopra il pisello, tipo sull’inguine sì. Ecco, proprio là.
  «Bevici su! Esci con gli amici e vai a far baldoria! Così poi quando torni a casa non ci pensi più!»
  «Come sei saggio Ganesh. Credo proprio farò così…»
Nel buio della notte, quando ogni cosa è oscura, negli antri del corpo umano Piero Angela fa il suo ingresso.
  «Salve, sono Piero Angela!»
  «Ed io sono Globulo Rosso! Il fido aiutante di Piero Angela!»
Ecco, un attimo, prima di voi voglio dire che la serata al pub è stata molto divertente e che ho bevuto solo due birre e due amari.
  «Lucido», dice Ganesh.
  «Eh… lucido lucido… c’ho ‘sto male all’inguine…»
  «E a casa come ci sei tornato?»
  «In bici».
  «Ecco, bravo. Io te lo avevo detto di farti accompagnare… neanche Simone c’è…»
  «Già, dov’è?»
  «Ad un incontro per disoccupati. Uno di quei posti di auto aiuto molto americano…»
SIMONE: Ciao a tutti sono Simone.
TUTTI: Ciao Simone.
SIMONE: Sono qui perché ho perso il lavoro. Sono mesi che non faccio niente. Ho provato pure al call center ma mica ce l’ho fatta, cioè, troppo stress. Però mi sento triste e giù, tanto giù…
TUTTI: Abbracciamo adesso il nostro nuovo amico Simone. Vieni qui Simone, fatti dare una strizzatina.
  ‘Nsomma, torno a casa all’una, spalanco la porta e mi siedo cinque minuti sul divano.
  «Che andare subito al letto no eh…», dice Ganesh. «Casomai manco te ne rendevi conto…»
  Mi accascio e 
  Sfiga sorride. E si accanisce.
Prima è una fitta. Poi un’altra.
Mi attanaglia improvvisa martoriandomi i reni.
  Mi piego.
  Che è ‘sto dolore?
Ancora, un’altra scarica, questa volta più forte.
  Corro al bagno.
Provo a cacare. Nulla.
  Ahia.
Una mano invisibile mi stritola dentro. Più forte.
  Sudo. Mi accascio sulla tazza.
Mi rialzo. Cammino piano, stringendomi la pancia con le mani. Le mani tremano. Le dita tremano. Ho un sussulto. Ancora. Mi sdraio sul letto.
  Dolore.
Gli occhi mi lacrimano. Sembro un triangolo cazzo. Forse ecco, in posizione fetale. No. Devo andare in bagno.
  Stavo bene un attimo fa. Forse… distendermi.
Cacca. Non esce.
Camera.
  «È un dolore forte, non è vero?»
  «La tua vita Elia», dice La Voce di Dio, «sregolata fin dall’adolescenza… e ora ne paghi le conseguenze».
  «Se solo avessi creduto in noi! La confessione ti avrebbe salvato!», prega Gesù bambino.
  A letto. Fermo. Come un ragno. Sono un ragno. Mi piego ancora, rotolo.
Una fitta dietro l’altra.
Sto morendo?
  «È il dolore più forte che tu abbia mai provato. Senza dubbio, sì.»
  «Aiutami Ganesh».
  «Sai che non posso. Chiama qualcuno. Ci rimaniamo secchi qui».
IL CRICETO: Chi chiamare?
GANESH: La famiglia.
THEODOR ROBERT BUNDY: Me.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKY: Gli amici. Ma non i Puffi.
JIM MORRISON: Simone.
LA VOCE DI DIO: La guardia medica!
  Digito il numero della guardia medica.
I bravi dottori mi salveranno! La sanità pubblica è viva!
  «Pronto… sì… salve… Elia Mangiaboschi. Male…. Alla pancia… poco sopra l’inguine. Delle fitte potentissime, come se mi avessero sparato… no, non mi hanno sparato. Come…. Eh? Un’influenza? Ma son piegato in due… okay. Grazie, arrivederci».
  Io qui ci crepo. Mi troverà Simone domani, riverso sul pavimento, la bava alla bocca, gli occhi girati. Il funerale mio sarà bellissimo, unico, una miriade di persone ad intonare inni di lotta, a raccontare le mie gesta, a narrare le mie storie. «Elia Mangiaboschi, che grand’uomo che era», diranno fieri. «Se n’è andato così presto», «Ha dato tanto all’umanità», «Era il Messia». Erigeranno monumenti in mio onore! Statue incredibili! E faranno pure un film dal titolo: “Chi è Elia Mangiaboschi?”, e tutti piangeranno la mia morte, come…
  Un’altra fitta.
Crollo.
  Sono le due.
Telefono ai miei. «Papà.»
  «Elia, che succede?»
  «Niente… tutto bene. Senti, io qui c’ho un doloretto forte alla pancia.»
  «Che tipo di dolore?»
  «Non lo so… però fa male…»
Poi tutto diventa bianco.

  Spalanco gli occhi.
Sono a terra, il telefono accanto.
  Un morso alla pancia mi strappa le viscere. I denti affondano sulla carne nuda. Masticano.
Smetto di respirare. Se non respiro il dolore è di meno. Se non respiro muoio.
  Un conato.
Afferro la tazza piegato in due e vomito anche l’anima.
Grondo di sudore. I capelli strusciano sulle chiazze di bile.
  «Moriremo tutti!», urla il Criceto.
Le chiavi girano, la porta di apre.
  Eccoli, papà e mamma, i miei salvatori.
Mamma Viola mi stringe. Mio padre tira fuori una siringa. Buscopan.
  «Ehi, tuo papà mica sa fare le punture», dice il Criceto.
  «Papà, tu non sai mica fare le punture», gemo.
  «Lascia fare Elia. Al gatto le ho fatte.»
Mi abbassano i pantaloni.
  «Dì che ti senti meglio», suggerisce La Voce di Dio.
  «Effettivamente mi sento molto meglio», dico.
  «Non essere ridicolo, girati. Te la facciamo sul sedere», mi ordina Viola.
  «Convincili! Ricordi quando eri bambino le iniezioni sul culo la paura che ti facevano? Non vorrai mica riprovare un simile dolore! Ribellati, sei un uomo ormai!»
  «Io… veramente. No. Sono adulto ormai. Posso cavarmela da solo.»
  «Bravo Elia! Esci dal nido! Non fare il bamboccione!»
L’ago affonda.
Aspetto.
Cinque, dieci, quindici, venti, trenta minuti. Il dolore non passa.
  «Chiamiamo un’ambulanza», dice mia madre.
PIERO ANGELA: Ed è qui che faccio il mio ingresso. Salve a tutti. Aspettando l’ambulanza vi spiegherò brevemente cosa affligge il paziente. Molti di voi mi ricorderanno in Siamo fatti così… benissimo, andiamo a cominciare; entrate con me nel fantastico corpo di Elia e scoprite cosa ci attende in questo incredibile viaggio. Elia ha quel che viene chiamato calcolo renale, uno dei disturbi urologici più dolorosi al mondo, tanto da essere paragonato al parto di una donna. I calcoli renali affliggono la specie umana dalla notte dei tempi, addirittura i ricercatori hanno trovato tracce di calcoli renali in una mummia egizia risalente a settemila anni fa.
LA MUMMIA EGIZIA: Mica cazzi.
PIERO ANGELA: Il calcolo renale è un ammasso duro fatto di cristalli che si separano dall’urina all’interno delle vie urinarie. Elia, in questo istante, ha una colica. Quattro persone su cento ne soffrono, il ragazzo fa parte di quella sfortunata fascia della popolazione che subisce l’attacco del calcolo.
IL CALCOLO: Mi presento. Io sono il Calcolo, piacere, amico fedele di Sfiga. Sono nato dentro il Mangiaboschi e mi sono riprodotto all’infinito. Bramo di conquistare questo misero corpo e dopo di finire in quello del figlio e del figlio e del figlio. Per generazioni e generazioni. Cresco. Per quanto voi proviate ad espellermi io sono lì, ben ancorato sopra il pene. Sul pene. Grazie a me il dolore sarà acuto, incredibile, insopportabile. Mi nutro del vostro pianto, dei lamenti. Mi piace vedervi soffrire. Posso farvi scoppiare se voglio, riesco a raggiungere graaandi dimensioni. Pensate, come una pallina da golf. Dodici centimetri di pietra a bloccare il vostro piscio. Quel che io provoco, miseri esseri viventi, è il male. Posso piegarvi, posso tutto. Io sono il Calcolo e questo è il mio tempo.
  Il citofono.
Ecco gli infermieri, loro mi guariranno!
  «E vissero tutti felici e contenti», balbetta Cenerentola afferrando la boccia di vodka alla fragola.
  Sono in due, tutti vestiti di arancione. Uno sembra una palla, l’altro un grissino.
  «E allora, che c’hai?», dice Palla.
  «Uh. Male.»
  «Overdose?»
  «Macché overdose. Male ai reni».
  «Aho. L’ambulanza pe’ ‘ste stronzate. Non potevate portarcelo voi all’ospedale? Dai, carichiamolo. Sali sul lettino, veloce».
GANESH: Però, simpatici gli infermieri.
PIERO ANGELA: La sanità in Italia si sa, non funziona tanto bene.
MARK RENTON: Avete sentito? Ha detto overdose…
  Un tossico.
  C’avrò la coda di paglia ma sul lettino mi sento proprio così. Come l’amico mio che c’è finito veramente in ospedale a causa delle droghe. Piegato stava. Ecco, già la prima porta si apre.
  «Oddio Elia, che hai?», dice Lola in camicia da notte di seta trasparente.
  «Boh…»
  «C’ha ‘na colica renale, sicuro…»
  «Ora le chiamano così… so io cos’ha… questi giovani… eroina, cocaina, ketamina, metadone, anfetamina, LSD, MDMA, funghi allucinogeni, ayahuasca», dice Il Vecchio indicandomi.
  «Ne conosce di droghe ‘sto stronzo», fa La Voce di Dio.
  «Shhh, ché l’affitto lo paghiamo a lui».
  «Dovremmo organizzare una protesta».
  «Un corteo».
  «O la vendetta».
  «E tu chi sei?»
 «Che sbadato, scusate. Io sono Albert Hofmann, inventore dell’LSD».
  «Ohhh».
  «Posso avere un autografo?», domanda Gesù bambino.
  «Ho scopeto questa potente sostanza per caso! Il mio bambino difficile! Vi piace la bicicletta! Eh? Eh?!? Una goccia cadde inavvertitamente sul mio dito! Ah! La potenza nelle mie mani!»
  «Questo è andato».
  «No no, stupido coso… che razza di essere sei te?»
  «Uno snorky, c’hai presente? Quelli col tubo in testa, che viviamo sott’acqua… no?»
  «Mi piaci esserino. Ascolta: se di nascosto mettessimo un po’ di LSD nel bicchiere dell’anziano signore potremmo sottrarre Elia dal furto mensile…»
  «Eh. Mica male», dice Jim Morrison.
  «Oggi il palazzo, domani il mondo!»
  «Potremmo pensare…»
  «Nelle tubature sì».
  «E rendere così l’Italia un paese migliore.»
  «Con un solo re!»
  «Elia Mangiaboschi! Altro che quel coso pieno di nei!»
  «Non divaghiamo, non ancora vi prego… Elia l’abbiamo lasciato solo in ambulanza, piegato in due dal dolore».
  «Ecco ecco, sta arrivando. Vedo già l’ospedale».

L’OSPEDALE
  Una stanza quadrata, pareti verdi con chiazze di sangue dipinte. Luce al neon a intermittenza. Zzzzzzzzzzzzzzz, geme veloce. Il pavimento è sporco, macchiato, lurido quasi. Ci sono dodici sedie di plastica blu dove sono sedute dodici persone diversamente occupate, qualcuno piange, qualcun altro gioca, qualcuno ancora legge il giornale. Al centro di tutto ci sono io, sdraiato sulla barella, che cerco disperatamente di non vomitare.
  «Contegno Elia, contegno», dice Minerva McGranitt, l’insegnante di Harry Potter, quella bacchettona.
  Poco più lontano, leggermente al di fuori del mio campo visivo, ci sono i miei che mi guardano.
  Chiedo un secchio, qualcosa per poter rigettare. «La scongiuro», supplico ad una donna che credo sia un’infermiera. La signora mi passa un grande cesto di cartone, guardo dentro, è pieno di siringhe usate e tamponi e fazzoletti imbrattati di rosso e di liquidi scuri. Sullo scatolone c’è scritto “Materiale infettivo”.
  Non mi trattengo. Vomito.
Mi trascinano via saettando tra stanze e tubature.
  «Arrivati», dicono mostrandomi un lungo corridoio.
Un lazzaretto.
Tipo Walking Dead.
È una lunga corsia piena zeppa di malati e zombie, molti sono vecchi, alcuni paiono morti.
  «Dovresti cercare un’arma».
  «Lo so Ganesh, ma non riesco a muovermi».
Fa freddo.
  Un uomo accanto a me si alza, ha i vestiti bucati e puzza tantissimo. Barcolla verso le infermiere, l’alito pesante di chi ha bevuto litri e litri di vino scadente, tipo il Tavernello; nonostante che alla pubblicità dicano sia un vino da paura la verità è che fa schifo. Diciamocelo una volta per tutte. Manco a quindici anni uno si beve il Tavernello. Fa veramente pena; no scusate eh, è che ‘sta pubblicità c’ha tutta un’informazione sbagliata e poi i giovani si spappolano il fegato. Scusate ancora, dicevo, c’è ‘sto tizio che vacilla e ondeggia. Un’infermiera lo placca. «‘Cazzo fai?», urla. «Ti ho detto di non alzarti! Se cadi noi non ti raccogliamo, hai afferrato il concetto?»
  «Devo… fare la cacca», biascica il tipo.
  «Cacati addosso! Ti abbiamo messo il pannolone per questo! Lo capisci l’italiano?!?»
  Cristo è un inferno. Sembra un lebbrosario.
  «Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita», dice Dante tutto pomposo. «Però ne ho un’altra!», continua, «Molto più figa Mangiabo’, senti questa, è sull’ospedale tuo: ammassati l’un l’altro i pazienti si strusciavano nel dolore. Il cuor stesso piangeva…»
  «Eddai Dante. Capisci quand’è il momento no?»
  «Ora fa l’offeso», dice Grande Puffo.
  «Oh Grande Puffo, dove stavi?»
  «C’è lo snorky oggi, sai che siamo in competizione no? Tutta ‘na storia televisiva… una cosa così. Mi faccio da parte, mica c’ho dieci anni io».
  Posso sentire tutto, ogni cosa. Ma mi concentro solo su di me. Sul mio rene.
IL CRICETO: È la vecchiaia ragazzo, stiamo crescendo e ci capita questo.
IL CALCOLO: Oh no stupido animaletto. Non è così. Vedi? Io voglio impadronirmi del vostro corpo. Mangiaboschi diventerà il mio schiavo. Sarà mio e a voi lascerò le briciole.
PIERO ANGELA: Tecnicamente, signor Calcolo, non è proprio così. bevendo molta acqua…
IL CALCOLO: Bazzecole! L’intera stirpe dei Mangiaboschi verrà annientata!
GANESH: Vi prego, torniamo a noi, stavamo giustappunto elencando le inefficienze del sistema sanitario italiano.
LE INEFFICIENZE DEL SISTEMA SANITARIO ITALIANO:
- La sporcizia;
- Il fatto che gli infermieri non si mettono i guanti;
MARK RENTON: Oh, una volta mi stavano per fare una flebo no? L’infermiere si buca con una fialetta e c’ha tutto ‘sto sangue che gli esce dal dito… l’iniezione così me l’ha fatta, senza guanti. Poi dici l’AIDS negli anni ottanta.
GANESH: Lasciami continuare, sto affrontando un argomento serio.
PIERO ANGELA: Serio e delicato.
GIANNI MORANDI: Delicato soprattutto…
LE INEFFICIENZE DEL SISTEMA SANITARIO ITALIANO:
- I macchinari che non funzionano:
- La mancanza di secchi per vomitare;
- Le sedie di plastica scomodissime;
- L’assenza di un traduttore per i pazienti stranieri;
- I termosifoni spenti;
- Le pareti verde ospedale;
- Le luci al neon rotte;
- Il poco personale;
- Gli spifferi;
- Le persone lasciate sole;
Ma soprattutto:
- La maleducazione degli infermieri;
- La mancanza di umanità degli infermieri.
  Ecco, l’ho detto.
PIERO ANGELA: Però in Italia c’è la sanità pubblica. Pensa nei paesi dove non c’è, la gente muore così, a buffo, perché non può permettersi le cure mediche.
LA VOCE DI DIO: Tipo in America.
ELIA: Ecco infatti. Almeno da noi ti puoi curare.
GANESH: Sì ma perché dimenticare cos’è l’umanità?
ELIA: Ma tu sei un dio, cosa ne vuoi sapere? E poi ti prego, non cominciamo con ‘sto pressapochismo da quattro soldi.
GANESH: Dico solo che, anche se uno c’ha tanto lavoro, se non viene pagato e se i pazienti arrivano in continuazione, non può trattare le persone come bestie al macello. Guarda quella là, quella signora che batte la bocca, la vedi no? Oh Cristo Elia, fatti un paio di occhiali! Quella dico! Quella che sembra il gatto dei tuoi quando vede il topolino di stoffa! Ecco, osserva come sbatte i denti. È sola come un cane cazzo.
IL CANE: Io non mi sento per niente solo! Chi è che diceva che ‘sti modi di dire sono stupidi? Qualche raccontino fa… allora perché non dire ‘Solo come una gabbiano’, oppure, ‘Solo come un gatto’, ‘Solo come una lumaca’, ‘Solo come una pulce’. Siamo animali che vivono in branco noialtri...
LA LUMACA: Ero io ero io! Credo si parlasse del detto ‘Veloce come una lumaca’ o forse era ‘Lento come una lumaca’…
GANESH: Non importa. Scusate. Dico solo che la vecchia ha freddo e che gli hanno buttato una coperta addosso. Solo che ha i piedi scoperti e nudi. Vedi? Cosa gli ci vuole al tizio là, all’infermiere, a coprirglieli?
ELIA: Effettivamente. Lo farei io se non stessi morendo.
IL CALCOLO: Ma tu stai morendo.
LA MORTE: Oh, chiamatemi. Quando tocca tocca.
GANESH: O prendi i tuoi. Stanno fuori e nessuno li avverte… e tu stai bene. C’è una famiglia che non ha notizie del figlio da ore. Probabile che è morto.
LA MORTE: Adesso non essere esagerato.
ELIA: E quindi? Dove vuoi arrivare?
LA VOCE DI DIO: Dove vuole arrivare? Che questi sono una massa di stronzi! Ecco dove vuole arrivare! Oh, pure se sei stanco l’umanità mica la devi perdere! Tanto poi gli faccio vedere io che fine fanno…
  Torniamo a noi. Dopo due ore mi fanno una flebo piena zeppa di antidolorifici.
  E poi la vista si sdoppia.

  Mi sveglio.
Il dolore è diminuito.
  Un uomo dorme accanto a quella che credo sia la madre. La madre ha il viso viola, come se avesse preso una bella botta. Lui è grande e grosso con un maglione rosso con le renne natalizie. Ha la barba sfatta e lo sguardo spento. La vecchia posa la testa sulle sue gambe e sorride. Anche il figlio sorride.
  Due medici trascinano una barella, nella barella c’è un signore senza una gamba, tipo che sembra gli sia andata in cancrena, tutta violacea com’è. Mancano solo i vermi.
  I medici parlano di quella tizia del reparto dieci che c’ha due bocce da paura.
  In fondo al corridoio si sentono delle grida, cose tipo: «No no no, non mi fate male!».
  Io vedo doppio ma devo fare una grande pisciata.
  Un gruppo di vecchi, sdraiati sul lettino, ride. «Ah! Ragazzo! A proposito di pipì!»
  «Ho parlato ad alta voce?»
  «Mi sa», fa un altro.
  «Bevi tanta acqua e pochi alcolici figliolo! I calcoli ti distruggono! Sapete…»
  «Cosa?»
  «Il mio povero fratello, Teodoro, grand’uomo di classe, bella personalità…»
  «Come Marcolino, ve lo ricordate Marcolino?»
  «Quello del reparto C?»
  «Al secondo sì».
  «Come no. Marcolino aveva una bella parlantina. Tutto il giorno a guardare il fondoschiena delle infermiere…»
  «Mio fratello Teodoro aveva sempre una gran voglia di andare al bagno. Mattina, pomeriggio e sera, ogni secondo. Adorava, scusate, la tazza. Il cesso. Si abbassava i pantaloni e via, a cagare per ore. Solo che, oltre che cagare, doveva far la pipì. Ma aveva una moglie, il buon Teodoro, che lo faceva pisciare seduto.»
  «Anche mia moglie faceva così, pace all’anima sua. Fino a che non ci sono rimasto, seduto dico. Non mi sono più potuto alzare, per questo sto qui sulla sedia a rotelle».
  «Tra l’altro è un bel modello».
  «Trenta giorni di prova. Tutto incluso.»
  «Non va a batterie?»
  «No no, energia solare».
  «E le curve? Prende bene le curve?»
  «Eccome, e ha anche il navigatore satellitare!»
  «Teodoro si era così tanto abituato a farla seduto che anche fuori, a casa di amici, al bar o in stazione, la faceva così. Era molto timido mio fratello e, quando giocavamo a chi la faceva più lontano, lui aveva sempre un problema».
  «Quale? Ops. Scusate… infermiera! Mi sa che mi deve cambiare il catetere qua!»
  «Il problema di Teodoro era che, poverino, non riusciva più a far la pipì alzato. Siamo tra signori, sapete cosa significa per un uomo non poter pisciare in piedi. E tutto per colpa della moglie. Una brava cristiana, bellissima da giovane, arpia da vecchia. Bene, Teodoro io non lo prendo mai in giro, o meglio, non lo prendevo e quindi il nostro gioco si interruppe così. Un giorno, era ad una pompa di benzina credo, gli scappa da pisciare. Va al bagno, corre al bagno e si siede sulla tazza. La tazza, Teodoro non ci aveva fatto caso, era sporca da far schifo. Ah! Neanche in guerra un cesso così sudicio! Così, dopo essersi pulito con un po’ d’acqua, si tira di nuovo su i pantaloni. Sapete com’è andata a finire?»
  «Come?»
  «Teodoro è morto. Ucciso da un batterio preso proprio in quel bagno. Gli è entrato nel culo, capite?»
  «Mangiaboschi?»
Alzo la mano.
  «Ti facciamo un’ecografia.»

A CASA
  Una volta scoperto che ho i calcoli renali vengo servito e riverito. Simone, il mio coinquilino, per la prima volta cucina e i miei, nonostante la grande distanza tra casa mia e casa loro, vengono a trovarmi e mi portano pure da mangiare.
  Viene anche nonna Concetta che, armata di incensi e salvia, si mette a girare per casa per cacciare il malocchio. Io l’adoro mia nonna.
  Simone la guarda visibilmente ammirato e la segue cercando di origliare le formule magiche che la vecchia pronuncia a bassa voce.
  «Ora va tutto bene», mi dice. «Dì al tuo amico di preparami un caffè».
  Io sto meglio, aspettando solo che ‘sti calcoli stronzi si sciolgano. Bevo tanta acqua, mangio molta verdura e evito i pomodori. Domani c’ho un’altra ecografia ma già le medicine posso smettere di prenderle.
Fino ad oggi ho preso: Orudis (una dopo pranzo per sei giorni), Lansoprazolo (una prima di colazione per quindici giorni), Levoxacin (una per cinque giorni) e a leggere il foglietto informativo ti vengono mille paranoie.  
  Che altro dire, ah sì. Se avete una colica provate con la borsa dell’acqua calda premuta dove vi fa male. Attenua il dolore.

IL CALCOLO: Crede lo stolto di averci sconfitto. Fa i salti di gioia, il poverino. Ma noi siamo qui, sempre di più. Ci riproduciamo in continuazione. Ora siamo polvere, domani saremo palloni da calcio.
PIERO ANGELA: Esplorando il corpo umano abbiamo finalmente capito questo: se non trattato nel giusto modo il corpo può diventare la casa perfetta per germi, calcoli e malattie varie. La nostra cavia, il buon Elia Mangiaboschi, è ora interamente colonizzato da piccoli esseri microscopici certamente molto intelligenti chiamati Batteri. La morale della favola è: lavatevi le mani e bevete tanta acqua priva di calcio.
L’INGUINE: Ma soprattutto, portate rispetto al vostro inguine.