lunedì 8 febbraio 2016

LUNGA VITA ALLA LRAT!



Giorno 1
  «Aho».
  «Aho!»
Cristo.
È fredda.
  «E che sarà mai… guarda me!», mi fa Ganesh spruzzandosi l’acqua con la proboscide.
  A me ‘sta cosa che mi faccio la doccia con l’amico immaginario mi fa un po’ impressione eh.
  «Lo so, mi ricorda i bagni al fiume, i bei tempi andati, quando ancora non c’era tutto ‘sto confort che c’avete voialtri, qui in occidente soprattutto, lasciamelo dire…»
  «Non arriva l’acqua calda. E io sono tutto insaponato…»
GRANDE PUFFO: Lì sotto mica ce lo mandiamo, ci congeliamo cazzo.
IL CRICETO: E lo lasciamo con tutto il sapone addosso?
GRANDE PUFFO: Così profuma di più.
YOGI BHAJAN: Fratelli, ragioniamo. Sappiamo tutti che una bella doccia con l’acqua fredda fa bene, attiva la circolazione sanguigna e linfatica e va a stimolare il sistema nervoso, mantiene pelle e capelli sani e rinforza le difese immunitarie. Provare per credere.
SIGMUND FREUD: Chi sta ai comandi?
IL CRICETO: Karl Marx mi sa.
SIGMUND FREUD: Okay Karl, quando vuoi.
KARL MARX: E tre, due, uno. Via!
  Il getto gelato mi colpisce, urlo.

  «Ehi», dico a Simone sdraiato sul divano.
  «Ma che t’urlavi prima?»
  «Non esce l’acqua calda».
  «Ah.»
  «Eh.»
  «E quindi?»
  «E quindi fa freddo, è inverno e sono da poco uscito da un mese di sinusite.»
  «‘Fatti ti vedo meglio… cresciuto ecco. Maturo. Responsabile. Sei un ometto Elia. Eri alto così… e in un attimo. Beata gioventù. Vedi, la sinusite rappresenta tipo un passaggio no? Benvenuto nel mondo dei grandi. Lo fai il caffè?»
  «Devo uscire, vado al lavoro. Ma tu invece? Che fai?»
  «Sciopero.»
  «Come scioperi?»
  «Già. Sciopero solitario, visto che nessuno vuole scioperare. Nelle cooperative i sindacati mica le fanno ‘ste cose, incrociare le braccia ecco. No no. Oh, non ci pagano da mesi. Io l’ho detto agli altri di fare un’azione tutti insieme. Ma hai visto no come sono gli psicologi e gli educatori? Quindi mi faccio il mio sciopero solitario, seduto composto sul divano. Davanti alla Play. E non mi muovo. Cazzo giuro non mi muovo fino a che non mi pagano.»
  «E non mangi?»
  «No! Pure della fame! C’hai ragione!»
  «Il caffè non lo vuoi?»
MICHAIL BAKUNIN: Ma che fa, lo tenta?
MASTRO LINDO: Non c’era Marx ai comandi?
UNA MOSCA: Macché, è andato a farsi un tè. Ha lasciato spazio a coso là. A Ronald McDonald.
MICHAIL BAKUNIN: L’avevamo buttato giù dal pozzo. Mica ci può stare al joypad.
IL NEURONE: Il joypad è sacro!
  «L’unica cosa che faccio è giocare alla Play. Voglio vedere io. Mi avranno sulla coscienza!»
  «Bravo Simone! Diventerai il re dei precari! L’oppresso che s’innalza contro gli oppressori… e io dirò: era il mio coinquilino…»
  «Ah, Elia, tra l’altro. C’è qualcosa che non va. Il frigo dico, cioè, il frigo ha qualcosa che non va. È spenta, la luce. Del frigorifero. E sta allagando casa, non la luce. Il frigo».
  Vado in cucina. Dal vecchio frigorifero giallo non provengono suoni, solo un ronzio lento e quasi impercettibile che non credo appartenga al cibo.
PIERO ANGELA: Oscure forme di vita…
  «Mi sa che dobbiamo chiamare l’elettricista…», urlo a Simone. «Ci pensi tu a pulire? Io corro al lavoro…»

  Torno a casa alle sei e due minuti dopo una giornata in azienda a dir poco distruttiva.
Anda (la portinaia) corre verso di me, il respiro strozzato. «Elia!»
  «Che succede?»
Riprende fiato, piroetta un attimo e apre i grandi occhi dell’est.
  «Alla fiera dell’est», mi dice, «per due soldi un topolino mio padre comprò».
  «Cosa?»
  «Scusa, lapsus. D’altra parte sei tu che scrivi ‘ste storie.»
  «Hai ragione, pardon. Ricominciamo.»
Anda (la portinaia) corre verso di me, il respiro strozzato. «Elia!»
  «Che succede?»
Riprende fiato, piroetta un attimo e apre i grandi occhi dell’est azzurri, si sistema i capelli biondi e dice, trafelata: «Abbiamo sentito Simone urlare, ma non vuole aprire a nessuno!»
  «Oh no!», mi fa Ganesh, «Sarà morto! Ucciso dai morsi della fame! Save the Children ne trarrà uno spot per il prossimo Natale! Già lo immagino, la pancia gonfia, la pelle scura… e tu, misero umano, l’hai lasciato solo di fronte alla battaglia. Verrà posta una lapide in suo onore, sarai considerato da tutti un traditore… corri ora! Andiamo a scoprire cosa è capitato al coinquilino. Male che vada chiamiamo Taffo, l’agenzia di pompe funebri che fa quelle pubblicità così carine.»
MORTE: Ciao, io sono Morte. Piacere.
LA VOCE DI DIO: E che ci fai qui? Mica è giunta l’ora, l’adorato deve ancora vivere, è il suo amico ad essere morto. Se non erro.
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKI: E se invece Elia fosse morto e noi non lo sapessimo? Se questo fosse il paradiso? O l’inferno? Quali incredibili congiure astrali andrebbero a crearsi? Non è forse la vita…
IMMANUEL KANT: Ebbasta co’ ‘ste pippe mentali! Vogliamo andare avanti?
SERGENTE HARTMAN: Ordine & disciplina!
  Le lacrime scorrono copiose, il singhiozzo prende il sopravvento. Mio Dio cosa ho fatto, il mio migliore amico morto così, ucciso da un sistema repressivo che ha distrutto un’intera generazione (la nostra), creando una serie di mostri (noi) che pensano ancora che Babbo Natale sia un’invenzione di papà e mamma. Illusi! Babbo Natale esiste, è vivo e lotta insieme a noi!
  «Sarà stata la Coca-Cola no? Che s’è rubata il vecchiaccio. So che lo tengono imprigionato da più di cinquant’anni, ancora aspettano il riscatto quei figli di puttana.», annuisce Ganesh. «Ma adesso vai. Apri la porta di casa. Il cadavere di Simone si starà già putrefacendo. E poi puzza. E sporca.»
  Le chiavi girano.
La porta si apre.
  Anda mi tiene le spalle, terrorizzata.
Premo l’interruttore della luce. Niente, andata.
  Guardo a terra. Fogli sparsi ovunque.
  «I ladri», sussurra la portiera. «V’hanno svaligiato casa».
I pensieri scorrono veloci: i libri sicuro non li hanno toccati, il computer ha almeno dieci anni e la batteria funziona solo se la sai posizionare per bene, i DVD so’ tutti doppiati. Che altro…
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKI: No!
IMMANUEL KANT: No!
KARL MARX: No!
SIGMUND FREUD: No!
IL CRICETO: No!
BATMAN: No!
  «No!», urlo. «La PlayStation!»
Corro in salotto e lo vedo, il mio coinquilino, lo sguardo fisso sullo schermo del televisore.
GRANDE PUFFO: Che poi mo, a essere precisi, vorrei spiegare una cosa ai radical chic, n’è che noi a casa c’abbiamo la tv eh. Usiamo l’apparecchio giusto per giocarci ai videogiochi. Ché qui va specificato perché il ragazzo nostro puffa ‘na cifra di gente da salotto bbbuono.
  È immobile. Il joypad nero stretto tra le mani, gli occhi spalancati, le guance rigate dalle lacrime.
  Per un attimo solo avverto la puzza.
IL  CRICETO: Ma la puzza la mettiamo da parte. Ecco bravo Neurone. Posala lì, nascosta nello scaffale delle cose da fare. Poi ci pensiamo.
MASTRO LINDO: Dici?
IL CRICETO: Dico dico.
  «Simo che c’è, che succede? Anda, vai a prendere un bicchiere d’acqua, ti va?»
  «Elia», geme il coinquilino. «Alla fine è successo.»
  «Cosa?», chiedo già allarmato.
Una catastrofe nucleare a Trigoria, ridente periferia romana? Un’invasione di cavallette giganti? La scoperta dell’esistenza dell’Uomo delle nevi? Occhi bianchi sul pianeta Terra?
  «La PlayStation amico mio. Non funziona.»
Improvvisamente il mondo si blocca e un fulmine squarcia il cielo. Le certezze di una vita vacillano, il mondo conosciuto scompare per lasciar spazio all’ignoto, all’abisso, al vuoto.
  Poi sento Anda urlare, «Ma che è ‘sto schifo?»

Giorno 2
  Ora la puzza la sento. C’è tutto il cibo avariato che sta marcendo in frigorifero e a terra si è formato un piccolo lago, con le cosettine strane che galleggiano e un paio di insetti su una barchetta di carta.
  Non c’è luce.
Mi alzo piano dal letto, uscendo dal piumone. Una folata di vento mi atterra.
  «’Mmazza che freddo», mi dice Ganesh.
  «Pure i riscaldamenti sono andati».
  «Mi sa».
  «E adesso?»
  «Copriti.»
Mi vesto a cipolla, indosso i guanti da neve e il cappellino di lana.
  Eccolo lì, il coinquilino bastardo, bloccato sul divano da ieri, il joypad ancora in mano. ‘Sto stronzo.
  «Ma scusa», dico, «le bollette no? Non dovevi pagarle te?»
  «Io? Tu sei totalmente pazzo. Ti pare che io vado alle Poste, cioè, così. Aho, sto male! Hai presente sì la fila chilometrica?»
IMMANUEL KANT: Conosco uno no? Che c’è morto nella sala d’attesa. Avevano fatto tutto un accampamento, aspettando il turno per prendere il numeretto per la fila. I più vecchi si erano impadroniti delle sedie e donne e bambini non erano stati risparmiati. Fu un olocausto, una guerra. Alla fine morirono tutti, nessuno escluso. Dicono si siano mangiati tra loro.
  «E perché ci devo andare io?»
  «Perché tu sei quello responsabile, diligente, con un lavoro vero e pagato…»
  «Tu fai yoga!»
  «E tu sei vegetariano!»
  «Io non ho un euro in questo periodo».
  «Io manco. Giusto i soldi per il Salvadanaio.»
  «Ohhh. Il Sacro Salvadanaio…»
IL SACRO SALVADANAIO
[Il Sacro Salvadanaio venne eretto per l’unica vera spesa fondamentale che avrebbe per sempre cambiato la vita dei due trentenni, qualcosa che tutti bramavano, più importante del Necronomicon, dell’Area 51 e degli antichi testi alchemici. Un oggetto che, una volta posseduto, dona la felicità eterna. Decisero così, i due giovani, di unire le forze e mettere da parte il denaro, cinque centesimi al giorno per settantasette anni e potersi così permettere la PLAYSTATION 4]
  «No! Il Sacro Salvadanaio no! Sai che non può essere toccato!»
  «Elia, non mi pagano da mesi, non posso permettermi il gas, la luce e l’immondizia. Lavoro nel sociale io, mica come te, schiavo del sistema, a timbrare pacchi e compilare ricevute.»
  «Cioè, non hai pagato le bollette?»
  «E mi rifiuto anche. Vivremo così, ci farà bene. Basta con questi confort inutili, da piccolo borghese! A noi manca il rapporto con la natura! E poi così manco inquiniamo più! Diciamo no al riscaldamento! Ai termosifoni! All’acqua calda! Al frigorifero e alla lavatrice! Alla luce! Proclamo qui e ora la Libera Repubblica Autarchica di Trigoria, anche detta LRAT

Giorno 3 [Primo giorno della LRAT]
  Ci rifiutiamo di pulire.
  Ci rifiutiamo di pagare le bollette.
  Ci rifiutiamo di avere freddo.
Noi, Compagni & compagne, aborriamo il mondo della tecnologia e della dipendenza.
La LRAT si basa su due semplici principi: autosufficienza e autogestione. Per questo abbiamo deciso di: coltivare broccoli e cavoli nella vasca da bagno della stanza denominata bagno; rifiutare qualsiasi forma di igiene, l’igiene allontana l’essere umano dalla terra, disprezziamo l’igiene; usare la stanza denominata cucina come piccolo laboratorio chimico, sperimentando, attraverso i resti del cibo ormai avariato, la creazione di nuove forme di vita; assaporare il gelo.
  Nella LRAT abbiamo tutti una divisa: giacca da neve, moon boot, guanti touch.
  Nella LRAT domina l’uguaglianza, il rispetto reciproco e la totale anarchia.
  Crediamo nel Caos.
  E il Caos crede in noi.
Elia M.
Simone S.

Giorno 4 [Secondo giorno della LRAT]
  «Cioè, questa è la vita che volete?», mi domanda Viola (mamma) mentre mio padre gira per casa tappandosi il naso.
  «Madre, dovresti ringraziare. La vostra educazione comunista ha portato alla LRAT. Il compagno Simone ha dato il via al Cambiamento e oggi, finalmente, possiamo definirci cittadini liberi. Seguirò le vostre orme e cambierò il mondo».
  «Dai», annuisce papà, «in fondo non è così male. Guarda qui, stanno spuntando le prime piantine».
  «Ma fa freddo!»
  «Il freddo tempra lo spirito! Lo dice pure Yogi Bhajan».
  «E chi è?»
  «Uno che vive dentro la capoccia mia, ha portato lo yoga kundalini in occidente. Mica cazzi».
  «Chi? Kundalini chi?»
GRANDE PUFFO: Oh! Serprentò! Stanno a puffa’ di te!
KUNDALINI: …
GRANDE PUFFO: Comunque… vorrei dire che qui stanno finendo le birre e qualcuno si rifiuta di andare al discount, vero Superstellino?
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKI: Mi rifiuto sì. Sempre io devo fare ‘ste cose. La LRAT mi ha aperto gli occhi.
MASTRO LINDO: Non diciamo cazzate, già la Stanza dei Bottoni è uno schifo. A proposito, non lo sentite che freddo? Le pareti si stanno mezzo congelando… facciamo venire un brivido ad Elia.
  Ho un brivido.
  «Senti, chiamaci quando sarai rinsavito. Ti ho portato una cosa, sta in cucina. È pesce».
  «Ah ma’, io il pesce mica lo mangio! Sono vegetariano…»
  «E che il pesce è carne?»
  «Tranquillo Elia», sorride papà, «Simone sta accendendo il fuoco. Se lo mangia lui».

Giorno 5 [Terzo giorno della LRAT]
  Procacciare il cibo.
  Trovare la legna per il fuoco.
  Accendere il fuoco.
  Simone esce tutte le mattine inoltrandosi lungo le campagne di Trigoria, caccia da solo, senza aiuto, l’arco ben teso, la freccia puntata contro la preda. Si concentra, ma la caccia non fa per lui.
(Nota: la LRAT è contro la caccia -e la pesca-).
A casa non porta tante cose, quindi si reca in paese e arraffa roba da discount, sottratta al padrone grazie al potente mezzo della spesa proletaria.
  Io mi occupo della legna, cerco l’albero perfetto, quello più alto, perso nella fitta boscaglia della campagna romana e, con colpo sicuro e accetta pronta (comprata all’Ikea), taglio i rami. Una volta lo giuro me la sono vista brutta, affrontando da solo un cinghiale mutante, dotato di seicentosessantasei zanne acuminate e dodici occhi (anche nel culo).
  Insieme accendiamo il fuoco a casa, nella LRAT, nella stanza un tempo denominata salotto. Per accendere il fuoco non usiamo carta o accendini. Solo fiammiferi.
  La notte cantiamo canzoni e Simone suona l’armonica. I vecchi raccontano storie dei tempi andati.
  Sorrido, assaporando le fiamme e fumando piano la pipa della sapienza, gli occhi di chi ne ha viste tante e lo sguardo perso in un punto ignoto dell’esistenza (lo schermo nero della televisione).

Giorno 6 [Quarto giorno della LRAT]
  I vicini ormai ci schifano, la stessa Lola ci rivolge appena il saluto. La rivoluzione si sa allontana i più deboli, i traditori.
  Non molliamo.
  Non ci avranno mai.
Uno ne sconfiggerete, mille giungeranno in suo soccorso.

Giorno 7 [Quinto giorno della LRAT]
  Ho scelto di non andare più al lavoro. Mi sono preso qualche giorno, per solidarietà nei confronti di Simone. Simone continua il suo sciopero solitario. Dalla cooperativa per cui lavora non si sono ancora fatti sentire ma il coinquilino è convinto che prima o poi lo faranno. Nel frattempo la LRAT vive e prospera.
  Passiamo le giornate a casa, uscendo solamente per procurarci il cibo e l’occorrente per il fuoco. La sera andiamo a dormire presto, per non consumare le candele.

Lettera all’amata
  Carissima A., mia adorata,
la vita alla Lrat continua con alti e bassi.
  Il freddo è tanto e alle volte mi mancano i tuoi abbracci, il tuo corpo, il calore che tengo vivo nella memoria. Ogni giorno il termometro scende di due gradi e spesso ci domandiamo se non sia meglio cedere. So che ti manco ma non posso abbandonare la lotta. La lotta (e il tuo ricordo) è quel che mi tiene in vita. Di notte mi riscaldo col mozzicone della candela e le fiamme balenano alte, imperturbabili. Io le guardo amore mio e penso al tuo viso, ai tuoi occhi, alle tre macchie che disegnano l’iride. È l’immagine del tuo volto a tenermi compagnia in questi momenti di solitudine. La battaglia sarà ancora lunga, lo so. Il vicinato si lamenta della puzza e del marcio, alle volte sentiamo confabulare da dietro la porta del luogo un tempo denominato ingresso. Ieri notte li ho visti dalla finestra, i forconi in una mano e le fiaccole nell’altra. È una battaglia contro la civiltà questa, contro l’opulenza occidentale e le bollette della luce.
  Ho scelto di seguire il compagno Simone in quest’impresa, nonostante l’assenza quasi totale di cibo. Tesoro, mi iniziano a mancare anche gli hamburger vegetariani del discount, quelli agli spinaci.
  Rifiutiamo tutto noialtri. Anche gli hamburger agli spinaci.
Non nego di essere stanco. Stanco e provato.
  Questa mattina mi sono svegliato all’alba e, in bagno, mi è sembrato di sentire un suono, come uno squittio. Ho aperto la porta di corsa ma non c’era nessuno tranne il pinguino. I pinguini amore mio non hanno ginocchia, ma questo sono sicuro tu lo sappia, colta come sei.
  Le piantine che avevamo messo nella vasca sono tutte congelate.
  Il pinguino è il nostro nuovo amico e vive nella stanza un tempo denominata bagno. La notte ci sveglia con i suoi versi perversi, ci fa paura.
  E tu amore mio? Come stai? Come procede la vita in fabbrica? Salutami i nostri tredici figli e dì loro che papà li porterà sempre nel cuore.
  In fede
Elia, tuo amato

Giorno 8 [Sesto giorno della LRAT]
  Bussano alla porta.
  «Aprite!», urlano. «Aprite è un ordine!»
Riconosco il colpo. È Il Vecchio, colui che riscuote l’affitto, nostro acerrimo nemico, nonno del proprietario del palazzo.
  «Mai!», rispondo.
Simone mi guarda preoccupato tenendo in mano una scopa di legno.
  Sbruffo freddo dalla bocca e una nuvola densa s’innalza nell’aria.
  Mi volto, il pinguino è lì e mi guarda, come se volesse mangiarmi.
  «Cosa state facendo?», chiede Il Vecchio. «C’è una puzza incredibile!»
  «Scioperiamo! Lunga vita alla LRAT
  «Gli hanno staccato la corrente», sento dire. È Lola, maledetta traditrice.
  «Lo dicevo io che erano strani, poco di buono. Due ragazzi che vivono così… soli… che poi lo sa che cosa fanno sì? Io li sento la notte, soprattutto il Mangiaboschi… parla da solo, controlla che tutto sia in ordine…», sussurra un’altra voce, quella della vecchia del piano di sopra, la stronza che si mette i tacchi alle quattro del mattino. Che si sta a vendica’, ‘sta bastarda.
  «C’è sempre l’opzione sfratto», annuisce Il Vecchio. «Non saranno i primi che mando via…»
  «Forse cacciarli è un po’ esagerato. Facciamoli ragionare…», dice Lola.
  «Avete quarantotto ore per rimettere tutto in ordine e pagare le bollette! Altrimenti chiamerò mio nipote e saprà lui cosa fare!», urla Il Vecchio.
  Poi cala il silenzio.
GRANDE PUFFO: Per tutti i puffi, che fare?
MASTRO LINDO: Arrendiamoci finché siamo in tempo. Abbandoniamo Simone a morte certa, qui stiamo diventando come Leonardo DiCaprio nel film Revenant…
KARL MARX: Da oscar.
MASTRO LINDO: Grande interpretazione.
UNA MOSCA: Elia glie dà ‘na pista a DiCaprio.
IMMANUEL KANT: Sì ma lo sentite che freddo?
JOHN LOCKE (quello di Lost): Moriremo tutti!
CARL GUSTAV JUNG: Guardate là, le pareti della Stanza dei Bottoni sono tutte congelate. Il diletto sta morendo dal freddo, non durerà molto.
BATMAN: Per di più di là c’è un pinguino assassino che ci sta squottando il bagno.
  Osservo Simone. Batte i denti, si siede sul divano, si rialza, mangia un cioccolatino alla nocciola, fuma una sigaretta, trema, si muove, torna sul divano, gira la testa a destra e a sinistra, digrigna i denti. È in astinenza. Mi avvicino. «Amico mio, resisti. I tiranni non ci avranno».
  «Elia, io posso tutto. So cosa significa lo sfruttamento, essere pagato una volta ogni sei mesi se ti dice culo, vivere senza la certezza di un domani, non potersi permettere un cinema ed essere costretti a rubare i libri alla Feltrinelli, togliendo il codice a barre che un omino misterioso nascosto negli scantinati della libreria e costretto a mangiare gusci di granchio appizza nei posti più impensabili; so cosa vuol dire non andare mai a cena fuori, solo dal cinese nei giorni di festa, essere terrorizzati alla fine del mese, quando devi pagare l’affitto; gioire felice se per terra trovi due centesimi, mangiare solo robe di scarsa qualità, anzi di pessima qualità; non avere manco un contratto a progetto, non potersi permettere di sognare, di pagare la benzina della Vespa, di uscire una sera, una cazzo! A bersi una birra senza stare ogni tre secondi a controllare il portafoglio; so cosa si prova ad indossare sempre gli stessi vestiti da dieci anni e a guardare con invidia chi guadagna quattrocentoottantadue euro al mese. Lo so. Ma cazzo, a stare tutto il giorno senza Play e senza manco una canna no. Non posso accettarlo! Ci hanno dato i videogiochi e le droghe proprio per questo! Per renderci docili, servili! E noi che facciamo? Occupiamo casa nostra e la rendiamo un cesso?!? E tutto per non pagare una bolletta? Ma che, siamo matti?»
  «Ma tu… sei stato te che… la LRAT… lo sciopero…»
HAKIM BEY: L’adorato non può mollare così! La T. A. Z. vive!
BATMAN: La che?
KARL MARX: La T. A. Z. ignorante… Zona Temporaneamente Autonoma.
BATMAN: Allora scusa, doveva essere la Z. T. A.
KARL MARX: Effettivamente…
BATMAN: Sarà tradotto…
KARL MARX: Comunque, c’ha ragione Hakim Bey qua. Elia non abbandona la lotta. Ricordate, “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” e l’appartamento, lasciatemelo dire, è un cesso.
  «Proprio tu Simone?», urlo battendomi il pugno sul petto, «Non da te. Non. Da. Te. Combatteremo fino all’ultimo. E vinceremo.»

Giorno 9 [Settimo giorno della LRAT]
  Simone è fermo, immobile sul divano. Guarda il vuoto e suda.
Io ho un freddo cane. Lastre di ghiaccio penzolano dal soffitto e sui vetri delle finestre una leggera brina copre il paesaggio esterno.
  Mi avvolgo nella coperta, oltre che con la divisa d’ordinanza della LRAT. La verità è che non ce la possiamo fare da soli. Ci mancano i soldi, non riusciamo a pagare le bollette e ogni mese quando Il Vecchio viene a riscuotere l’affitto ci manca sempre qualcosa. Siamo al di sotto della soglia di povertà. In due facciamo uno stipendio scarso. Siamo la scala più bassa della società, manco più proletari. Non abbiamo niente: futuro, sogni, ambizioni. Si sono mangiati tutto, ogni cosa e a noi hanno lasciato le briciole (tra l’altro vomitate). Hanno rubato i sogni alla generazione nostra, tutti quanti e ci hanno pure ordinato di dire Grazie. Siamo una massa di laureati sfigati senza un soldo per piangere. Mica se ne rendono conto i genitori nostri, la generazione  che ha fatto il ’68; non lo capiscono cosa ci hanno lasciato. E però poi in televisione dicono che c’è la ripresa, che i giovani stanno ricominciando a lavorare e che chi non lavora è uno scansafatiche, che non c’ha voglia di fare un cazzo. Dicono che adesso ci sono i contratti a tempo indeterminato e poi però mica lo spiegano che per il datore di lavoro stipulare un contratto a tempo indeterminato è una svolta, tanto poi ti possono licenziare lo stesso. La precarietà è tipo un mostro che conviene, una bella bestia nera con gli occhi rossi che ha mangiato tutto e che ha arricchito quei quattro stronzi macellai di speranze. E adesso però noi siamo senza luce, nella LRAT e facciamo i raccontini che fanno ridere, perché se non ridiamo di noi stessi è la fine.
GRANDE PUFFO: Vabbè, adesso basta eh. Ché qui le pareti sono tutte congelate.
  Comunque sì, c’ho quest’illuminazione. Che insomma, potrà salvare Simone e me da una vita sotto ai ponti.
KARL MARX: Rapiniamo una banca?
SUPERSTELLINO DEGLI SNORKI: Le offerte in Chiesa?
GRANDE PUFFO: Puffiamo una vecchietta? Il giorno che va a ritirare la pensione?
IL CRICETO: Affittiamo l’utero nostro? Pure se siamo maschi?
PIERO ANGELA: No amici, molto molto di più.

Giorno 10 [Ottavo giorno della LRAT]
  Lo studiamo.
  Immobili.
  Il martello in mano.
Ci guardiamo un attimo.
Gli occhi di Simone si stringono.
  Per un secondo osservo la casa. I resti dell’ultimo falò, le cartacce delle merendine gettate a terra, gli avanzi di cibo condensati in una poltiglia marcia, le macchie d’acqua stagna sotto al vecchio frigorifero giallo.
  Mi stringo nella giacca. La LRAT mi mancherà. Per più di una settimana abbiamo vissuto così, abbandonando le sicurezze della vita moderna e, sotto sotto, ci è piaciuto.
Ora però è il momento di fare gli adulti e di pagare le bollette. Alla fine dai, la luce ci serve.
  Alzo il martello, guardo il Sacro Salvadanaio a forma di maialino rosa e poi lo colpisco, fendendo l’aria come un novello Thor. Il maialino si rompe in mille piccoli pezzi e rivela le sue interiora. Afferriamo le monete felici, sentendoci per un momento, uno solo, ricchi.
La PlayStation 4 in fondo può aspettare.
  «Che poi», mi fa Simone, «senza elettricità col cazzo che ci giocavamo. O no?»
  «Avoja».
  «Senti, un altro coinquilino? Potrebbe essere ‘na svolta, gli facciamo pagare l’affitto a lui. Lo sfruttiamo. Lo prendiamo giovane e facciamo un po’ di nonnismo. Fico eh?»
  «Ma che sei matto? Sai quanto sporca?»
Ci vestiamo di fretta e usciamo, i raggi del sole ci colpiscono per un attimo, accecandoci; i risparmi di una vita usati per pagare la luce di casa. Che la casa poi, a rifletterci, dovrebbe essere un diritto, ma tant’è.

Epilogo
  Nel buio della notte, quando le ombre inghiottono le case e gli umani dormono beati nei caldi letti, nell’appartamento di Trigoria un tempo denominato LRAT un’oscura presenza si muove nel bagno; è grande e goffa, non ha ginocchia e un lungo manto le copre il corpo. È il becco ad emettere il verso, un verso stridulo e lancinante che fa accapponare la pelle. Il pinguino s’innalza fin sopra il wc e geme, davanti ad un’orda di suoi simili.
  «Compagni & Compagne», squittisce, «in questo bagno, qui e ora, viene celebrato il Primo Raduno Mondiale di Pinguini Sovversivi (PRMPS); sono io, il pinguino vostro, compare di mille avventure e protettore del cesso, ad inaugurare così la lotta per il proletariato animale unito. LA LRAT E’ MORTA, LUNGA VITA ALLA LRAT
  « LA LRAT E’ MORTA, LUNGA VITA ALLA LRAT!», ripetono gli altri pinguini, ululando alla luna.

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