lunedì 15 settembre 2014

L'ARMATA DI DIO



  Quando è apparso il serpente si è subito diffuso il panico.
Gli uomini uscivano di notte, le donne si chiudevano in casa e i bambini urlavano di paura. Origliando potevo sentire i racconti delle nonne, «Se non ti comporti bene», sussurravano malefiche ai nipotini, «il serpente verrà a mangiarti».
  Io rimanevo in silenzio, le porte e le finestre ben chiuse.

  Trigoria, il quartiere dove vivo, fa, scusate nemici palazzinari ma non posso trattenermi, schifo.  È un blocco unico di palazzi, ospedale e Todis annessi. A Trigoria ci vivono: studenti sfigati del Campus Bio-Medico, nuove famiglie del sottoproletariato romano, prostitute, vecchi contadini, amanti della Roma (la squadra di calcio dico), single alla ricerca dell’anima gemella ed io. Io vivo a Trigoria da qualche anno, da quando, ahimè, me ne sono dovuto andare dal mio nido sicuro, la dolce Magliana, culla d’infanzia e di felici ricordi.
  Vivo a Trigoria in un bel palazzone a setto otto nove piani che si affaccia sulla campagna romana (composta perlopiù da sterpaglia, rifiuti e zanzare); il palazzone è fatto con cemento di carta (di nuovo nemici palazzinari grazie) e, qualcuno di certo ne converrà, sembra di vivere in una grande comune tanto sono sottili le pareti.
  Quindi, Signore & Signori, ecco la lista dei nove rumori che sento più di frequente:

-          Il pianto del bimbetto paffuto;
-          Le urla gioiose di sesso della coppia novella;
-          Le urla gioiose di sesso dei compagni occasionali della vicina di casa;
-          Le urla gioiose di sesso delle compagne occasionali del vicino di casa;
-          Le urla (non gioiose questa volta) del marito di Loredana;
-          I tacchi della vecchia del piano di sopra;
-          La lavatrice della vecchia del piano di sopra;
-          I nipoti della vecchia del piano di sopra;
-          La vecchia del piano di sopra.

  Il mio coinquilino, Simone, di notte prende la scopa e comincia a battere con il manico sul soffitto. Simone la odia la vecchia. Anche io odio la vecchia ma Simone la odia di più.
  «Anche io odio la vecchia!», mi dice Ganesh, il dio con la testa d’elefante.
La vecchia ci guarda sempre male e il vecchio (suo marito) abbassa la testa imbarazzato.
  «Io odio anche i nipotini della vecchia!», starnazza Ganesh.
I nipotini della vecchia all’una del mattino sono ancora svegli (tutti i fine settimana quando i genitori li lasciano a casa dei nonni) e giocano a nascondino. A nascondino cazzo, e con le scarpe per di più.
  Simone è il mio coinquilino. A casa ci sta pochissimo, io non lo vedo quasi mai. Lui gira. Non ho mai capito che lavoro faccia, o meglio, preferisco non capirlo, ma credo abbia strani intrallazzi con altrettanto strani personaggi. Insomma, lavora per una cooperativa con i disabili, li porta a spasso, viene picchiato, morso e preso a calci. Il tutto, Amici & Amiche, per sette euro l’ora. È un bravo ragazzo e le mamme delle varie fidanzate sono sempre state molto orgogliose di lui; io l’ho conosciuto ad un rave e forse, in questo caso, le mamme sarebbero state meno orgogliose di lui.
  La mia casa a Trigoria ha: due stanze, un bagno e una cucina. Il sole non ci batte mai, di conseguenza ci muoiono tutte le piantine. Ad affittare la casa a me e a Simone è stato un vecchio, nonno del proprietario del palazzo (il proprietario del palazzo ha trentaquattro anni, la giacca e la cravatta e un sorriso da testa-di-cazzo non indifferente). Il vecchio ogni cinque del mese ci viene a bussare, entra in casa sorretto dal suo bastone di legno tak tak e chiede i soldi. Il tak tak del bastone ci fa parecchia paura.
  Quando prendemmo in affitto casa il vecchio (che chiameremo Il Vecchio, per maggiore semplicità) ci disse, «Ogni cosa è concessa! Tranne i parcheggi sotterranei e gli scantinati! I parcheggi sotterranei sono a pagamento! E anche gli scantinati sono a pagamento!»
  Annuimmo, terrorizzati.
Di notte, ogni notte, strani rumori provenivano dai parcheggi sotterranei. Nei parcheggi sotterranei ci sono le cantine (che sono gli scantinati, eh).
  «Nessuno sa cosa ci sia dentro», ci spiegò una volta Lola, la transessuale brasiliana che ci passa sempre il sale, «è un mistero».
Simone ed io fremevamo e con il calare delle tenebre i suoni ricominciavano.
  «Sembra il pianto di un bambino, non trovi?», mi diceva Simone sorseggiando la birra.
  A me sembrava più il motore di un’automobile ma rimanevo in silenzio.
  «Gioca», dicevo al mio coinquilino indicandogli la Playstation. «E passami la canna».
  Poi però quando me ne andavo a dormire anche io sentivo i rumori ed effettivamente, ascoltando con attenzione, sembrava proprio il pianto di un bambino.
  «Ci nascondono gli scheletri», ci disse Pasquale una volta, il nerd secchione del terzo piano.
 
  Poi è arrivato il serpente.
Me ne stavo a casa a leggere un libro, la sigaretta in bocca, quando sento urlare: «ANDAAAAAAAAAAAAAAAAH!»
-Anda è la portinaia-
  «ANDAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!»
  «Signor Mario, mi dica…»
-Il Signor Mario è l’amministratore, chiamato dai più Il Rana, a causa dei numerosi tic vocali che ha-
  «Cos’è questa storia del serpente?»
  «L’ha visto Sira, la vecchina, ha presente? Ha perso il marito poco tempo fa, poverina, non si è più ripresa… buon uomo il marito, sì sì… pace all’anima sua, sempre attento a non sporcare il pianerottolo, come invece fa la signora Rossi…»
  «Il serpente Anda».
  «Oh sì, il serpente… strisciava lungo il corridoio».
  «Di casa?»
  «No! Del pianerottolo!»
  «Era grande?»
  «Grandissimo! Secondo me è colpa dei ragazzi…»
  «O del circo».
  «Del circo degli zingari».
  «Sarà scappato dal circo.»
  «È un cobra».
  «Un pitone».
  «Un serpente a sonagli».

  Il panico. Nel palazzo si annidava il panico.
  «Voglio essere il panico!», mi dice Ganesh.
Ora, quando il panico arriva la gente lo affronta come può.
  Nel palazzo il panico veniva affrontato così, spiattellato durante la riunione condominiale indetta apposta per affrontare il tema del mese: il serpente.
  Le riunioni condominiali si svolgono nella grande sala della parrocchia del quartiere. C’eravamo tutti e tutti avevamo il panico in corpo.
  «Dobbiamo fare qualcosa!», urlavano i più.
  «Il serpente viene dalle cantine!»
  «No! Dal circo degli zingari!»
  «Mettete in salvo donne e bambini!»
  «Chiudetevi in casa!»
  «Barricate le porte!»
  «La fine è imminente!»
  «Morte al serpente!»
  «Se di un pitone si tratta», diceva Il Vecchio, «dobbiamo organizzare delle ronde…»
  «Le ronde! Le ronde!», urlavano già fomentati gli uomini del condominio.
  «Turni di guardia!»
  «Cacciatori di rettili!»
  «Polizia!»
  «Ordine!»
  «Controllo!»
  «Telecamere nascoste!»
  «Videosorveglianza!»
  «Moriremo tutti!»
Il panico, Signore & Signori.
  Simone ed io ci guardavamo preoccupati, già si pensava di bruciare il circo o di bruciare i lavoratori del circo, compresi i clown, si era deciso, ché facevano paura ai bambini.
  «E se scappassero i leoni?»
  «O la tigre, dicono ci sia una tigre…»
  «O le giraffe!»
  «Io voglio la giraffa!»
  «Zitto tu! Sei troppo piccolo per avere una giraffa!»
  «Allora siamo d’accordo», diceva saggio Il Vecchio, «organizzeremo delle ronde, che chiameremo Le Ronde di Dio!»
  «Le Ronde di Dio?»
  «Le Ronde di Dio eh… il serpente è il simbolo del demonio!»
I bimbi già piangevano.
  «Disperdiamoci ora! Questa notte troveremo il rettile…»

  Quando è arrivata la notte nel palazzo erano accese tutte le luci. Gli uomini camminavano armati di randelli e martelli, le donne indossavano mimetiche militari e i bambini si nascondevano nelle case.
  Ah! Se questa era la fine saremmo morti con dignità…
  «Uomini! Il serpente ha invaso il nostro condominio, ha spaventato i nostri figli, ha morso Anda…»
  «Non è vero! Non sono stata morsa!»
  «Zitta donna! Ci batteremo per il palazzo, sconfiggendo il male ed estirperemo, una volta per tutte, il demone infetto che è venuto a disturbare i nostri sogni! Siamo inquilini, lavoratori, impiegati, spazzini, pensionati, attori, tabaccai! Vinceremo! Uno ne prenderà, mille arriveranno a cacciarlo!»
Le urla si alzavano potenti.
  La Ronda di Dio vagava lungo i corridoi con le torce in mano.
Simone ed io, chiusi in casa, ascoltavamo in silenzio.
  «Accendi la Play».
  «Accendila tu, io sto ascoltando».
  «Cosa?»
  «I suoni».
Nel frattempo, nel buio della notte, gli uomini vedevano serpenti ovunque.
  «Eccolo!», urlavano.
  «Ma è un verme!»
  «Uccidiamo il verme!»
Nei giorni seguenti tutti gli animali striscianti venivano uccisi senza pietà, erano i bambini i più crudeli, strappavano i vermi a metà, lasciandoli morire divisi. I genitori, compiaciuti, guardavano. La Ronda di Dio era stata ribattezzata L’Armata di Dio. Per iscriversi non serviva molto, bastavano i documenti e la residenza a Trigoria (io non ho la residenza a Trigoria, quindi ero automaticamente fuori dai giochi).
  «Però come ti sarebbe piaciuto eh?», mi domanda Ganesh.
  «A te sarebbe piaciuto. Dio fifone, hai paura dei serpenti».
Tutti erano impegnati nella caccia al serpente. Non si parlava d’altro negli androni del palazzo. Ne parlavano nei bar, al supermercato, davanti all’edicola, perfino nella sala scommesse. Il serpente era una leggenda e presto la voce si sarebbe diffusa nelle altre case. Trigoria intera era sotto assedio.
  «Dicono sia lungo dieci metri».
  «E che il suo veleno sia mortale».
  «Dicono che venga dalla foresta amazzonica».
  «No, dalla campagna romana».
  «Si nasconde nelle fogne, assieme ai coccodrilli».
  «Si nutre di carne umana».
  «È infetto».
  «Porta l’ebola».
  «Distruggerà il quartiere».
  «I suoi figli invaderanno Roma».
  «E poi l’Italia».
Nessuno dormiva più. Le donne andavano al lavoro distrutte, i bambini ingurgitavano psicofarmaci e i tossici aumentavano la loro dose di speed.
  Anda si rifiutava di pulire il palazzo.
  Il palazzo si riempiva di immondizia.
  I clienti non venivano più a far visita alla prostituta attempata.
  E ogni cosa cedeva al degrado.
Poi l’ho visto.
Tornavo dal lavoro, ero solo e stanco, tanto stanco. Anche io ero stato colpito dalla paranoia. Camminavo attento lungo l’androne del palazzo -immondizia ovunque- e lui era lì. Strisciava losco lasciando una scia su tutto il marmo, ogni tanto tirava fuori la lingua biforcuta. Era piccolo, piccolissimo, e tutto marrone.
  «Vai via».
  «…»
  «Ti stanno cercando, vai via…»
Ma il serpente non si muoveva, come se non capisse l’italiano.
  «Ti uccideranno!», quasi gridavo.
Si era spostato piano, nascondendosi dietro un cumulo di rifiuti.
  Entrato in casa, leggermente schifato, avevo riferito l’accaduto a Simone.
  «Dobbiamo salvarlo!», mi aveva risposto. «Creiamo una controronda!»
  «Siamo in pochi, solo te ed io… gli altri fanno tutti parte dell’Armata di Dio.»
  «Troveremo seguaci su Facebook, su Facebook postano le foto dei gattini squartati, dei pulcini maciullati, degli orsi maltrattati, delle galline spennate, dei delfini martoriati, delle  formiche calpestate, degli scarafaggi mangiati… apriamo un gruppo, metteranno ‘mi piace’ e si uniranno a noi!»
  «No. Dobbiamo agire subito, questa notte… al calar delle tenebre…»
  «Okay. Chiamami, aspetterò un tuo segnale…»

  Notte.
  Tutti dormono.
  Luci soffuse.
  Silenzio.
  «Che ore sono?», mi domanda Simone.
  «Le due del mattino».
  «Domani devo svegliarmi all’alba, c’è Gianluigi, quello che morde…»
  «Dobbiamo salvare il rettile….»
Usciamo piano, senza far rumore.
  «Serpente…», sussurriamo.
Suoni dal parcheggio sotterraneo.
  «Sembra proprio il pianto di un bambino…»
Il cuore pulsa.
  Un passo, poi un altro.
Una porta si apre, ci nascondiamo.
  Screeek, cigola.
È la signora del quarto piano, la seguiamo senza che se ne accorga. Ha un piatto in mano e scende le scale in vestaglia da notte.
  Bianca.
  Eterea.
  Sembra un fantasma.
Ancora più giù.
  Gli scantinati, dove gli uomini parcheggiano le macchine e i vecchi nascondono i loro tesori.
  La signora del quarto piano apre una porticina.
Tanfo.
Odore di morte.
  Simone mi guarda, visibilmente preoccupato.
La signora del quarto piano ride un pochino. Ci affacciamo senza farci vedere.
  E dentro la cantina…
  Nel buio…
Il covo dei serpenti viene scoperto.
  Sono in cinque, alcuni più grandi altri più piccoli, si muovono piano, nella gabbia di vetro. Uno è fuori e sembra guardare la signora del quarto piano. Si avvicina. La donna lo osserva, allunga la mano e lo accarezza, senza paura. Lo riconosco! È il serpente che ho visto…
  Nel piatto ci sono dei topolini.
  La signora del quarto piano apre la gabbia e getta i topi. Uno lo lascia fuori per il serpente libero che si arrotola sulla sua mano.
  Il cuore sembra esplodere.
Poi la signora del quarto piano si gira e ci vede.
Simone fa un balzo indietro.
Cade.
Il serpente si rizza sulla coda.
  «Cosa ci fate qui?», ci dice la donna, gli occhi velati di sangue.
  «Noi… lei… il serpente…»
Il rettile si avvicina, è veloce, un lampo quasi. E mi è addosso.
  Urlo (a bassa voce ma urlo).
Il serpente si arrotola sulla mia gamba.
  Morirò. Addio mamma, papà, nonna, nonno,Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante, Zoé. Addio a tutti. Vi ho voluto bene. Lo giuro.
Ma il serpente non mi morde, si attorciglia solo e mi lecca con la sua lingua ruvida.
  «Dovevi metterti i pantaloni lunghi!», mi strilla Simone.
  «Non devi aver paura, non sono velenosi…»
  «Ecco, mi sento un poco a disagio, ad esser sincero…»
  «Non morde…»
  «Signora del quarto piano, la prego… non è che me lo potrebbe togliere dalla gamba?»
La donna si avvicina e, accarezzando il rettile, lo prende con delicatezza.
  «Lo stanno cercando», dice Simone.
  «Se la scoprono uccideranno prima lei e poi tutti i serpenti».
  «Lo so, ma tengo a loro. Sono il ricordo del mio amore…»
  «Suo marito?»
  «Macché, la mia compagna…! Non ho mai avuto un marito io, cosa ne volete sapere voi giovani dell’amore».
  «Dobbiamo portarli via da qua…»
  «No, sono… miei…»
  «Signora, la prego. Sicuro prima o poi la scoprono. È questione di tempo…»
  «Liberiamoli!», dice Simone colto da sacro fomento demoniaco.
  «Trigoria diventerà il paradiso dei serpenti, come Villa Pamphili lo è per i pappagalli!»
  «Voi dite?»
  «Certo! qui è tutta campagna… andiamo!»
La signora del quarto piano ci pensa un po’ ma poi annuisce, prende il serpente libero e lo ripone nella gabbia. «Va bene».
  Usciamo piano, nella notte più oscura, senza far rumore, la signora del quarto piano alle nostre spalle.
  La gabbia pesa.
Camminiamo sulla strada deserta, senza automobili o persone o motorini. Solo le luci dell’ospedale a farci compagnia.
  «Ecco la campagna!»
Apriamo la gabbia e i serpenti escono piano, quasi timorosi. La signora del quarto piano li guarda allontanarsi e una lacrima veloce le nasce sul viso.

Quattro giorni dopo
  Già nessuno parla più del serpente. L’Armata di Dio si è sciolta senza troppo entusiasmo e tutti, più o meno, hanno ripreso a far la vita di sempre: Anda ha ricominciato a pulire il palazzo, Il Vecchio si è chiuso in casa, i bimbi sono andati a scuola e ogni cosa è tornata al suo posto.
  Ogni tanto, di notte, si sentono ancora i pianti dei bambini provenire dagli scantinati e allora immagino la signora del quarto piano intenta a preparare il cibo per i suoi serpenti, persa nelle campagne romane, nelle notti di luna piena, alla ricerca di un ricordo perduto.  

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