martedì 3 febbraio 2015

L'INCREDIBILE STORIA VERA DI SIMONE E DEL SUO NUOVO LAVORO [parte 1]



  C’ho in testa ‘sta canzoncina che non vuole andar via, quella delle Fiabe sonore, avete presente no?
A mille ce n’è
nel mio cuore di fiabe da narrar
da narrar.
Venite con me
nel mio mondo fatato per sognar
per sognar.
Sono tipo formule ipnotiche.
  «Con queste parole magiche», urlano Gargamella, e Grande Puffo (da sempre in combutta), «pufferemo tutto il mondo!»
  Se sei nato negli anni ottanta sicuro le conosci, le storielle parlate dico, come le Buste Gran Sorpresa. Qualunque bambino sano di mente ha chiesto, almeno una volta nella vita, una Busta Gran Sorpresa.
  «Volevi il gioco Mangiaboschi, come fosse un tesssoro. Brama di potere. Consumismo. Lussuria. Egoismo. Sei nostro Mangiaboschi, solo nostro», ghigna Grande Puffo.
Eh, però dalle Buste uscivano tutti quei giocattoli che, un bimbetto come me, mica poteva non avere.
  «Il mio nuovo amico…»
  «Per sempre con te, Elia Mangiaboschi», mi sorrideva il soldatino di piombo.
Mettevo il termometro sul termosifone io pur di non andare a scuola e i miei, se c’avevo la febbre, mi portavano le Buste Gran Sorpresa, quelle per i maschi, quelle blu.
  «Che in quelle delle femmine ci sono solo le schifezze da femmine. E io odio le schifezze da femmine».
  A me le schifezze da femmine facevano proprio schifo: bambole, Barbie, cuoricini, smaltini, teiere e Mini Pony.
  «A morte il Mini Pony!», urlava Lion-O dei Thundercats sfoderando la potente spada Omens, dove è incastrato l’occhio di Thundera. «Distruggete i villaggi, uccidete donne e bambini!»
  «Al rogo al rogo!»
Era una guerra, sempre e comunque, pure con la mia vicina di casa. Io i Mini Pony li bruciavo tutti e lei, per ripicca, strappava le braccia al mio Popples, l’unico peluche che mi piaceva, quello che diventava una palla, con la tasca marsupio sulla schiena insomma.
  «Mamma! La vedi Francesca?»
  «Chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù, all’inferno ci vai tu!»
  «Sono stupide le femmine», dicevo ai miei amici il giorno dopo, «giocano con le cose stupide. Mica come noi che siamo investigatori privati e pure acchiappa fantasmi. Loro hanno Poochie e il Dolce Forno e anche i Paciocchini. A me i Paciocchini mi fanno vomitare. Facciamo che eravamo gli zombie che uccidono I Paciocchini?»
  Comunque, scusate la digressione, torniamo a noi: ho in testa il ritornello delle Fiabe sonore quando entro in casa.
  «Simone», chiamo. «Sono a casa».
  «Che», mi dice Grande Puffo, «speri davvero che il tuo coinquilino abbia preparato il pranzo? Pensi veramente che il povero diavolo si sia messo a cucinare qualcosa? Per te? Ma non essere stupido… per tutti i puffi, cresci una buona volta».
  «Io ti ignoro Grande Puffo, come ho sempre fatto».
Giro per casa, in camera, in cucina ma del mio amico non c’è traccia.
BREVE DIBATTITO CHE HA LUOGO (ATTORNO AD UN TAVOLO TONDO) NELLA MIA TESTA:
GANESH: Vi ho qui riuniti tutti per capire assieme che fine ha fatto il coinquilino del nostro corpo.
UNA MOSCA: Pensi dunque che il Mangiaboschi sia solo un corpo? E noi l’anima che lo popola? Credi quindi nell’inconsistenza della carne in un mondo fatto di materia? O forse, cosa ben più grave, pensi che Elia altro non sia che un burattino nelle nostre mani?
GRANDE PUFFO: Dov’è il whisky… facciamoci un sorsetto e poi ne parliamo, okay?
CRICETO: Scusa un po’, ma la mosca da dove esce?
UNA MOSCA: Oh, piccolo criceto, gira sulla tua ruota. Entrai molto tempo fa, dall’orecchio dell’ignaro, e qui rimasi, sempre più felice, in un mondo fatato.
ORSETTO DEL CUORE: Vabbè, allora ci sto pure io. Sempre dall’orecchio eh.
IMMANUEL KANT: D’altra parte amici la ragione umana è afflitta da domande che suo malgrado non può respingere, perché le sono assegnate dalla natura della ragione stessa…
UNA MOSCA: Ne converrai quindi che il concetto di intelletto è quanto meno errato.
IMMANUEL KANT: Vedi, strano essere dai mille occhi, come si può rispondere a domande che superano ogni capacità della ragione?
ORSETTO DEL CUORE: ‘Nsomma è un rompicapo.
GRANDE PUFFO: Pufferbacco, non ci avevo mai pensato.
GANESH: Compagni, concentriamoci sul dove. Dov’è Simone?
  Uno screeek improvviso e la porta di casa si apre.
  «Sei tu, mi avevi fatto preoccupare, dove sei stato?»
  «Sono distrutto».
  «Oddio, che è successo?»
  «Non ci crederai. Ho lavorato».
E qui, Fratelli & Sorelle, anche gli angeli del paradiso scendono a far festa.
  «Davvero davvero?», chiede San Pietro.
  «C’avete invitato?», gli fa eco San Giuseppe.
  «Eddai, posso venire pure io?», domanda Padre Pio parecchi piani più in basso. «Giusto due salti, un balletto e poi me ne ritorno giù buono buono. Vi prego».
  «E che lavoro?», domando.
Simone si accascia sul divano. «Un lavoro. Il problema è un altro Elia. Mi hanno licenziato.»
  «Come licenziato, ma hai cominciato oggi…»
  «Pranzo, ti supplico».
  «Cioè, devo cucinare io?»
  «Mi sono fatto un culo grosso come una capanna, e scusa il francesismo. Sono mesi che non lavoro, tu lavori sempre, che ne vuoi sapere? Sono a pezzi».
  «Figliolo», mi dice Gesù Bambino, «anche se bestemmia, anche se è stanco, perdonalo. Prepara per lui un piatto prelibato, ma mi raccomando, fallo con amore…»
  «Però mi racconti? Cioè, se cucino dico».
  «Certo. Ti narrerò ogni cosa…»

LA STORIA DI SIMONE E DEL SUO NUOVO LAVORO

GANESH: Nel narrarvi la storia però ve la romanziamo un po’, altrimenti non c’è gusto e dobbiamo riportare tutti particolari insignificanti e noiosi e tipo che Simone apre la porta, fa un passo, abbassa gli occhi, poi li rialza, va al bagno, si tira giù la cerniera, fischietta un attimo, aspetta, piscia, si pulisce, si chiude i pantaloni, esce posando prima il piede sinistro e poi il destro, si siede (dopo essersi grattato il sedere), pensa al nulla, pensa ai fiori, pensa alla primavera, digita due nomi sulla tastiera e così via…
CHRISTOPHER VOLGER: Cioè, capite pure voi che una storia così raccontata è parecchio noiosa. Meglio evitare le parti morte, o no?
UNA MOSCA: A me le parti morte piacciono, cioè, io me le mangio. Con un pizzico di sale non sono male.
ELIA: Vabbè, possiamo cominciare o no? Riprendiamo dal titolo:

LA STORIA DI SIMONE E DEL SUO NUOVO LAVORO [ciak 2]

GANESH: Che poi riflettendo stiamo a pagina tre e ancora non abbiamo detto niente.
IL CRICETO: E’ che ci perdiamo sulle cazzate.
GRANDE PUFFO: Oh, tra amici si sa. È così. Un cicchetto tira l’altro e si sono già fatte le due del mattino…
ELIA: Mica la dobbiamo raccontare per forza ‘sta storia eh. Chiudiamola qua e basta.
ORSETTO DEL CUORE: Macché sei matto? Abbiamo preso un impegno. Dobbiamo cominciare. Ecco dai, faccio io:

LA STORIA DI SIMONE E DEL SUO NUOVO LAVORO [ciak 3]

CHRISTOPHER VOLGER: Però oh, quanto ci piacciono le divagazioni è? Andare fuori tema, perderci nel testo, parlare per tre ore, non rispettare il primo o il secondo atto. Neanche gli archetipi… dove sono il mentore, il guardiano della soglia, il messaggero? Che fine ha fatto la linearità del racconto?!? Non siamo forse…
ELIA: Li usiamo tutti, tranquillo. Basta che ci fai cominciare…

LA STORIA DI SIMONE E DEL SUO NUOVO LAVORO [ciak 4]

GANESH: Tanto lo dividiamo in due no?
CRICETO: Che?
GANESH: Il racconto.
CRICETO: Dici?
GANESH: Dico dico, la prima parte ‘sto martedì, la seconda la settimana prossima.
CRICETO: Tipo ‘na roba a puntate?
GANESH: Eh. Creiamo il pathos…

LA STORIA DI SIMONE E DEL SUO NUOVO LAVORO [ciak 5]

  Uno pensa che il disoccupato non faccia niente, che passi tutto il giorno così, spaparanzato sul divano.
  Beh, a dirla tutta è quello che penso anche io (in genere). Cioè, Amici & Amiche, quel che penso del mio povero coinquilino. Anche perché, non me ne voglia, io Simone lo vedo proprio così: sbracato sul divano fellato, la tuta nera, le ciabatte, la birra mezza vuota e lo sguardo ebete.
  Vedere?
A Simone manco serve più un’agenda, per lui il tempo è tutto uguale e le giornate vengono scandite dalle serie televisive e dalla febbre del sabato sera. L’agenda la usava per appuntarsi le ore di lavoro, il fesso, e nel 2015, come vendetta, ha deciso che no, l’agenda mica se la compra, «Oh, non posso regalare i soldi miei a ‘sti sporchi capitalisti.»
  «A finanziare le tasche di qualcun altro quando qua la povertà mi sta strozzando».
  Quel che però in molti non sanno (cioè noi lavoratori) è che il disoccupato una vita ce l’ha, eccome se ce l’ha. È tipo i gatti no? Che quando dormi vanno a caccia. Ecco il coinquilino, quando io non ci sono, fa lo stesso.
  «E che, va a caccia?»
 «No Ganesh, però vive…»
Prima di tutto la rabbia. La cova come un mostro feroce, soprattutto nelle notti di luna piena, è tipo un rancore malvagio, forte, viscerale. Noi tutti -amici e parentame vario dico- pensiamo che il ragazzo abbia perso le speranze e che ormai, come molti della nostra generazione del resto, il fatto stesso di cercare lavoro gli appaia cosa inutile e frustrante. Ma, Gente di malafede, non è così.
  Però ci torno più avanti.
  «Eh… che intanto stanno tutti ad aspettare te».
  «Come mai, ma chi sarai, per fare questo a me. Notti intere ad aspettarti, ad aspettare te».
  «No Criceto no, gli 883 no».
  «M’è scappata, scusate».
Tutte le mattine Simone si alza, e, armato di profondo spirito mistico, si accovaccia in posizione del loto, socchiude gli occhi, focalizzando tutta la concentrazione al centro della fronte, abbassa un poco la testa e comincia: «Ong namo guru dev namo», che più o meno significa…
  «Lo dico io dai, sono indiano cazzo!», urla Ganesh, «‘Mi inchino all’energia creatrice che è dentro di me e chiamo il mio guru interiore’… eh, visto sì?»
  Poi, dopo la sua ora e mezza di yoga (che finisce spesso con un canto terribile molto ma molto new age)…
  «Eddai, ‘sta canzone è bella», dice Grande Puffo.
IL CANTO TERRIBILE MOLTO MA MOLTO NEW AGE
Che il sole ti illumini sempre
L’amore ti circondi
E la pura luce che è dentro di te
Guidi il tuo cammino
Guidi il tuo cammino
Guidi il tuo camminoooooooooooooooo
  «Ah! Blasfemi del cazzo! C’avete poco da prendere per il culo, è un mantra… è tipo l’Ave Maria deficienti!», ci sgrida Ganesh.
  «Oh, quella la so!» gioisce Gesù Bambino.
  «Eddai, fatemi continuare la storia».
…Poi, dopo la sua ora e mezza di yoga, Simone esce di casa, slega la Vespa e va in biblioteca.
  «Che c’ha tanti abitanti», dice Firmino, il topo che divora i libri.
  «Facciamo la lista degli abitanti?»
  «E facciamo la lista».
LA BREVE LISTA DEGLI ABITANTI DELLA BIBLIOTECA
- Gli studenti (che vengono a studiare);
- I pensionati (che vengono a leggere i quotidiani);
- I disoccupati (che vengono a passare il tempo).
  «In comune», dice Immanuel Kant, «hanno molti aspetti. Tutte e tre le categorie rappresentano il passato, il presente e il futuro. Uniti da un filo invisibile che li lega gli abitanti non possono fare a meno l’uno dell’altro. Il pensionato gareggia con il giovane per la lettura del giornale, il disoccupato osserva il pensionato con invidia e infine lo studente guarda i due e vede il futuro, cercando la speranza che, come tutti saprete, è l’ultima a morire».
  ‘Nsomma, ogni mattina Simone va in biblioteca, si siede al suo posto preferito (quello vicino alla grande finestra che si affaccia sullo stradone grigio), accende il vecchio computer e cerca.
  «E cosa cerca?», chiede Grande Puffo.
  «Un lavoro no, mi pare ovvio».
Guardatelo quindi come, armato di santa pazienza, spedisce curriculum. Non siate timidi, sedetevi lì, accanto a lui e osservatelo. Non può vedervi, siete come fantasmi, non abbiate paura.
  Bravi.
  Ci siete.
Vedete?
  Trattenete il respiro.
Sì sì, spedisce curriculum.
  «Ancora?»
  «Eh, ancora ancora, mica si arrende il ragazzo».
Ormai lo sapete, non è vero? Da anni lavora per i disabili, è normale che cerchi lavoro in quel campo, casomai per una cooperativa.
  «So’ comunisti!», geme Orsetto del Cuore, «Mangiano i bambini!»
  «Macché, mio buon amico, quelli si cibano solo di roba bio. Anzi, ti dirò di più, proprio perché dicono di essere di sinistra ti sfruttano ancora meglio…»
  «Eh, come no. Pure gli ideali c’hanno rubato, ‘sti borghesi mascherati da poveracci», interviene Lev Trotsky.
  Andiamo avanti, posso?
I mesi passano e Simone, seduto dietro al tavolo, invecchia. Ogni tanto si guarda allo specchio e scopre, non senza un certo orrore, i primi capelli bianchi.
  «Cazzo! Sono pieno di capelli bianchi! E tutti sulla sinistra!»
  «Beh, il fascino del brizzolato… tipo George Clooney. Tipo.»
  «George Clooney un accidente! Io qua sto a diventa’ un vecchio Cristo!»
  «Eddai, e che sarà mai».
  «Oh, un ragazzino, c’avrà avuto quindici anni, manco un bambino era, m’ha dato del Lei! Ti rendi conto?!? A prolacce l’ho preso, ‘sto stronzetto fattone. ‘Ste generazioni non c’hanno più rispetto per noialtri»
 Simone ha trentatré anni e non ha uno straccio di lavoro, che insomma, non è proprio una gran cosa. Così, ormai prossimo alla disperazione, decide di tentare tutte le strade e manda curriculum ovunque: lavapiatti in un ristorante bengalese, addestratore di leoni, guardiano dell’isola, tester di odori, portiere di notte, scrittore di biglietti per biscotti e cioccolatini, spruzzatore di formaggio per popcorn, assaggiatore di cibo per cani, cercatore di palline da golf, clown in un circo, decoratore di pasticcini transgenici, impollinatore di palme da dattero, cavia da laboratorio, allevatore di lumache.
  Nulla.
  “Come farò?”, si domanda preoccupato. “Morirò di stenti, dovrò farmi mantenere da Elia!”
  «Questo non l’ha pensato!»
  «Non importa Ganesh, lascia fare. Ché tra qualche mese gli dobbiamo pagare anche gli alimenti».
  Io lo vedo come cambia e so pure come si procura le cose, il poveretto. Che ne so, per i saponi va in erboristeria e ruba tutti i campioncini. «Ché pure se lavoravo uno shampoo così mica me lo potevo permettere» -effettivamente entrambi sono mesi che c’abbiamo ‘na pelle profumata e anti rughe e dei capelli morbidi al tatto tipo le pubblicità che sono la fine del mondo-; fa la spesa proletaria, che mette un’arancia nella busta e dopo averla pesata ne aggiunge altre tre, «Oh, da NaturaSì eh, mica cazzi»; si riempie le tasche di merendine e bevande nei grandi supermercati sgraffignando anche i DVD; legge il giornale in biblioteca, «Ché da quando sto senza lavoro c’ho ‘na cultura d’attualità che è la fine del mondo. Mi faccio proprio la rassegna stampa. Daje»; ma soprattutto, con miracolosa disinvoltura, passa da un operatore telefonico all’altro, «Mi becco tutte le offerte Elia! Sono arrivato a pagare cinque euro per internet, SMS e telefonate! Tutto incluso!».
  Sì, so a cosa state pensando.
  «E non gli hai detto come fa a prendere i libri gratis da Feltrinelli».
  «Quello teniamocelo per noi, mi sa che è meglio…»
Per farla breve…
  «Eeeeeee, mo breve».
Per farla breve, la vita del disoccupato non è che gli dispiace tanto.
  «Vedi Elia», mi spiega, «io ci sto pure bene così. Ho i miei ritmi, i miei tempi… cioè, insomma, come dire, sto bene da solo. Mi gestisco le mie giornate… molti mica la capiscono ‘sta cosa. Oh, se fossi ricco io non mi annoierei, veramente. Ho tutto il giorno da fare, la vita del pensionato obbligato mica è ‘na cosa semplice… il problema sono i soldi. Finiscono. C’ho il conto in rosso quasi.»
  Il fatto è che nessuno ci vuole. Abbiamo un’età che non ci si capisce niente, siamo tipo ancora adolescenti (almeno dentro, nell’anima) e però da fuori sembriamo già adulti. Uno di trentatré anni non è che lo assumono tanto facilmente. Ci spengiamo ogni giorno un po’ di più e ci lasciamo travolgere dagli eventi e ci vengono pure i capelli grigi. La storia che le cose prima o poi arrivano è ‘na cazzata (per quanto Simone ci creda); le cose non arrivano, ce le dobbiamo sudare e pure se ce le sudiamo non è detto che si realizzino. Il rischio è quello di trovarci con l’unica maglietta rimasta madida di sudore e senza niente in mano. È come se stai in un’isola deserta piena di persone senza niente e tutt’attorno c’è gente che mangia e che beve. Tu li guardi, speri in un gesto di carità, una coscia di pollo o un’insalata scondita (per i vegetariani), però niente, quelli si abbuffano e tu c’hai la bava alla bocca. È vero, non sei solo, ci stanno tutti i simili tuoi accanto a te e pure loro pietiscono un pezzo di torta, però in verità non puoi contare su nessuno, o almeno è quel che ti fanno credere i tizi che mangiano tutto, ti mettono contro gli altri e intanto non ti danno niente. Ti osservano morire sull’isola deserta e dopo ci girano pure un bel film e lo chiamano “I Sopravvissuti del pianeta Terra”. Però mica ti pagano per fare l’attore.
  «‘Mmazza che pessimismo cosmico», mi dice Giacomo Leopardi (che ha la faccia di Elio Germano). «Su con la vita, schiena dritta… guarda che Simone un lavoro alla fine l’ha trovato… continua la storia… parti dalla mail. Aaah, amico mio, gli uomini sarebbero felici se non avessero cercato e non cercassero d’esserlo».
  Continuo la storia, c’hai ragione tu Giacomo Leopardi, niente polemica, freddo, tipo sceneggiatura cinematografica:

SCENA UNO
Interno giorno.
Una biblioteca, ragazzi e ragazze seduti, qualcuno studia, qualcuno si lancia i cartoccetti.
Simone è fisso davanti al computer, lo accende. C’è una mail, la apre e il suo sguardo cambia.
VOCE OFF (la mia): Come possono i perfidi comunisti avercela tanto con le compagnie telefoniche? Non sono forse loro ad assumere milioni di disperati? Non sono forse le varie Vodafone Wind Fastweb a salvare i giovani da un destino già segnato?
VOCE DI DIO: Non deve essere così male. Basta sorridere, sorridere sempre, sempre e comunque.
VOCE OFF: Aho Dio, ma che stai rosicando che la faccio io la voce fuori campo?
VOCE DI DIO: Sciocco. Non essere ridicolo, sto solo in competizione con Ganesh.
VOCE OFF: ‘Fatti è tanto che non si vede. Cioè, qualche riga almeno… dove l’hai messo?
VOCE DI DIO: Leggi la mail Elia, prima che sia troppo tardi.
VOCE OFF: Ecco qua. Vediamo. “Domani presentati in Via […] e chiedi di Deborah U. Che la forza sia con te, giovane S.”
VOCE DI DIO: Sarà mica Dart Fener?

  Compagni & Compagne, quando succede ‘sta cosa Simone non mi dice niente.
Io! Suo grande amico! Miglior coinquilino che l’intera specie dei coinquilini possa desiderare! Detentore di immensi segreti e del lato oscuro della forza! Proprio io vengo lasciato in disparte, ignaro dei fatti. Anzi, continuo ad essere utilizzato senza ritegno.
LE FRASI TIPICHE DI SIMONE:  
  «Vai a fare tu la spesa?»
  «Fai una canna ché mi fa male il pollice?»
  «Oggi cucini?»
  «La casa è un cesso, pulisci? ‘Na romanella eh… una cosa veloce, più a dirsi che a farsi cioè».
  «Tagli il pane?»
Le cose il mio coinquilino se le tiene dentro.
Senza dire niente esce di casa e senza dire niente arriva sotto ‘sto grande palazzone immenso pieno di finestre che sembrano mille occhi arcigni.
  Tira su col naso, si stropiccia gli occhi e, con sguardo fiero, si addentra lungo il sentiero che conduce all’immensa torre della nota compagnia telefonica MalefiX -beninteso, non esiste nessuna compagnia con ‘sto nome, però io, che c’ho le paranoie, evito di citare il Male Assoluto per somma precauzione-.
  «Eh, la prudenza non è mai troppa», annuisce La Voce di Dio.
  «Cazzo davvero ma Ganesh dove l’hai messo?»
Simone non pensa. Cammina solo dritto, superando le porte a vetri.
  Musica da camera.
  Una folata di vento potente.
Luci al neon, pavimenti lucidi, specchi ovunque, un coccodrillo imbalsamato poco sopra la reception.
  «Io… sto cercando Deborah U.»
  «Bene. Dodicesimo piano. Prendi l’ascensore. Terza, no quarta porta a destra, dopo il lungo corridoio. Segui la via. Bussa. Ora vai, ho da fare».
  L’ascensore è un incubo.
  «Che fa?»
  «Gli si blocca».
  «Come gli si blocca?»
  «Già, tra l’undicesimo e il dodicesimo piano.»
  «E come fa?»
  «La apre a forza».
  «Che?»
  «La porta».
Quindi sì, la apre a forza, non prima però di aver visto strane scritte sulla parete nascosta. Un alfabeto sconosciuto, simboli magici dal tratto incerto.
  «Se solo potessi», dice Indiana Jones estraendo la frusta, «verrei ad indagare».
  «E se MalefiX non fosse altro che una potentissima setta segreta?», gli fa eco Orsetto del Cuore.
  «E, ancora peggio, se questa setta segreta composta da massoni e serial killer che mangiano il cervello dei precari volesse proprio Simone come adepto?», dice Grande Puffo.
  «O forse come carne da macello»., annuisce il Criceto.
Il coinquilino, che si è vestito bene per l’occasione, cammina piano, le ascelle già sudate e lo sguardo preoccupato.
  Non capisce. C’è un silenzio innaturale e il corridoio è troppo lungo, come se non finisse mai. Prova ad asciugarsi l’ascella ma la sua attenzione è concentrata tutta sul pavimento trasparente, dove nuotano squali e pesci tropicali. Li vede muoversi, nuotare, boccheggiare.
  «C’è nessuno?», domanda.
La camminata si fa ancora più lenta mentre osserva le figure antiche dipinte sulle pareti bianche. Un paio di vetri a specchio si susseguono a intermittenza senza un’apparente continuità. Il soffitto è sormontato da lunghi tubi d’acciaio e un piccolo fischio echeggia in lontananza, sembra il borbottio di una teiera.
  In fondo.
  C’è una telecamera.
  Lo spia.
  “Forse è meglio che me ne vada”, pensa.
Un grande telefono troneggia sul fondo. È rosso.
  «S.», gracchia una voce metallica.
Da dove proviene?
È tutta intorno.
  Odore di pulito.
Un altro suono, questa volta più distinto. Un zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz lungo e continuo.
  «S.», ripete la voce.
  «S… sì?»
  «Segua il corridoio. Troverà ciò che cerca».
  «Dovrei vedere Deborah, la terza o la quarta porta credo».
Già, era la terza o la quarta?
  «Vede porte per caso? Arrivi in fondo, la prego».
Un grande portone.
  “Un attimo fa non c’era, ne sono sicuro”, pensa.
 Respira piano, ascoltando il suono dell’aria.
La porta è rossa e sopra la porta è stampato a lettere cubitali un manifesto con scritto: “TU SEI LA TUA FORZA”.
  La porta si apre.
  È dentro.
Il cuore geme.
La fronte suda.
Il battito è accelerato.
  Un altro corridoio pieno di piccole sale. In ogni stanza, coperta solo da spesse finestre, gli uomini chini lavorano senza sosta. Sembrano non avere un volto, così vestiti tutti uguali.
  Ma urlano.
  Sbraitano.
  Schiacciano telefoni.
  Spingono bottoni.
Solo che non si sentono.
  Per un attimo, un attimo lo giuro, Simone li scruta dentro e ha paura. È una paura atavica, forte, con un peso.
  «È lei il signor S.?»
  «Sì, sono io».
  «Non faccia caso al silenzio. Lavoriamo nella telefonia. Dove andrà lei rimpiangerà tutto questo. Ora venga, io sono Deborah U.»
  Stratta di mani.
Deborah è una donna grande e grossa con un vestitino nero a fiori gialli, scollato e aderente. Sorride affabile mostrando denti perfetti e levigati.
  «Si sieda prego».
Le pareti sono bianche, il pavimento è bianco, le sedie sono bianche. Non c’è una libreria, non c’è niente. Solo una vetrata che si affaccia sul corridoio e una scrivania lucida, anche questa bianca. Sulla scrivania ci sono tre fogli, due penne, un computer e un telefono rosso.
  «Ti darò del Tu Simone. Mi risulta più facile».
Deborah ticchetta la penna (rossa) sul tavolo.
  «Ma tu continuerai a darmi del Lei. Per sempre.»
Un sorso di sangue improvviso le cola dal naso.
  «Questa, come saprai, è MalefiX, l’azienda leader nella telefonia. Noi facciamo contratti, stipuliamo accordi, vendiamo offerte».
Simone si mette comodo, la donna spalanca le braccia, poi le richiude immediatamente.
Sopra la sua testa si apre un cassetto.
  «È il cliente ad interessarci. Quando vuoi, come vuoi, noi siamo sempre con te».
Dal cassetto escono dei piccoli robot metallici, si muovono piano, in cerchio, come se stessero seguendo una macabra danza cibernetica.
  «Ti scortiamo fin dalla nascita. Abbiamo connessioni internet per neonati, offerte per bambini, cellulari per adolescenti. Prendi mai la metropolitana? I bimbi oggi desiderano il telefono di marca, non il pupazzo o la bambola. Noi comandiamo la loro fantasia».
I robot alzano le braccia, tutti insieme.
  «Siamo il futuro. E il futuro è qui».
Dal centro, tra gli automi, esce un piccolo pettirosso metallico. Cucù, echeggia. Deborah alza lo sguardo, «Il mio orologio», dice.
  «…»
  «Sai perché ti abbiamo voluto tra noi? Sei un creativo e a noi piacciono i creativi. Ho letto il tuo curriculum. Hai studiato, laureato in cinema. DAMS. Bene. Il lavoro che ti offriamo fa al caso tuo. Altri come te sono venuti, alcuni sono rimasti, altri andati via. Non erano in grado forse. Ma tu Simone hai il fuoco negli occhi. Io lo vedo. Cosa vogliamo da te? Semplice. Pubblicità. È questo che devi fare. Vendere. Noi vendiamo sogni mio caro e li spacciamo per solide realtà».
  «Io non so se…»
  «Non esiste il ‘Non so’, non qui, non a MalefiX. Simone, sarò franca con te: le nostre offerte fanno schifo, smerciamo nebbia e connessioni lente. Imbrogliamo. Con noi paghi sempre di più. È il centesimo nell’abbonamento mensile per il cellulare a fregarti. Però rifletti bene, a voi piace. Vi lasciate prendere e godete godete godete.»
  «Ma…»
  «È una vita che ti imbrogliano. Comincia a farlo tu. Sarai il migliore, ne sono sicura. Il mondo gira intorno alla telefonia. Al giorno d’oggi nessuno può stare senza la connessione ventiquattro ore su ventiquattro. Al mondo serve Whatsapp, Instagram, Telegram. Ti sei mai domandato di cosa ha bisogno l’essere umano?»
  «Di… cibo?»
  «Del selfie, del tweet veloce, del navigatore portatile, del videogioco con una grafica indecente. L’uomo vive la realtà da un telefonino.»
Lo sguardo di Simone d’improvviso cambia, un mocciolo di bava gli cola dalla bocca, gli occhi si spalancano. «Io», dice metallico, «voglio essere dei vostri».
  «Bravo. Sei pronto. Seguimi.»
  «E… e il contratto?»
  «Simone, non essere sciocco, questo è il giorno di prova…»
Ora, mentre segue Deborah lungo il corridoio, quando si trova proprio davanti all’ennesima porta, il passo si fa incerto, insicuro quasi.
 “Cosa mi attende?”, pensa con un pizzico di emozione.
Già, cosa lo attende? Quale radioso futuro l’aspetta una volta varcata la soglia? Chi diventerà? Forse, come ha sempre desiderato (almeno da un’ora a questa parte) muterà in un grande, ma che dico, grandissimo pubblicitario?
  Si tratta solo di vedere; di vedere, capire e aspettare. Manca poco ormai, sempre meno, una manciata di secondi forse.
  La porta si apre, un raggio di luce lo investe accecandolo.
Questo. È . Il. Futuro.

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