Ah!
Amici & Amiche, che gran giorno! Che incredibile avvenimento! Il mio
coinquilino, l’irascibile Simone, ha finalmente trovato lavoro!
«Diglielo».
«Zitto Criceto».
Il problema,
come molti di voi sapranno, è che il lavoro l’ha pure perso.
«Diglielo su».
Ma non importa!
Ci ha almeno provato! Si è alzato dal letto sfatto e, armato di santa pazienza,
ha affrontato il suo giorno di prova!
«Elia…»
«Huff, okay. Va bene.»
Qua il Criceto
dice di dirvi che questa è la seconda parte del raccontino che è cominciato una
settimana fa. Il riassunto ve lo faccio lo stesso, ma decenza ed educazione
vorrebbe che voi, Lettori & Lettrici, andaste a spulciarvi quel che io…
«E io!», dice il Criceto.
«E io!», urla Grande Puffo.
«Anche io!», biascica La Voce di Dio
…Quel che noi abbiamo scritto martedì scorso.
Ma se non ne avete voglia ecco un sunto
rapido rapido splendidamente enunciato da Immanuel Kant.
IMMANUEL KANT:
Buongiorno a tutti. Sarò rapido, breve e indolore. Mi appresto dunque a narrarvi
le vicende del coinquilino, il buon Simone, amico fidato del Mangiaboschi.
Ordunque.
UNA MOSCA:
Veloce.
IMMANUEL KANT:
Scusate, non me ne vogliate. Non capita spesso, ad un intellettuale come me, di
esporre fatti di così bassa importanza. Ma tant’è, se sono stato chiamato qui,
tra le pieghe di questo racconto, un motivo ci sarà. Certo sfugge alla mente
mia ma, come non mi stuferò mai di ripetere, è la ragione, imperscrutabile
sotto tutti i punti di vista, a dettare leggi che non può essa stessa interpretare.
GRANDE PUFFO:
Taglia e passa la boccia.
IMMANUEL KANT:
Benissimo. Eccomi qui pronto, in una rapida sintesi, per raccontarvi le gesta
di Simone S.; è una fredda mattina d’inverno, stormi di pappagalli si librano
nell’aria, come…
ORSETTO DEL
CUORE: Vabbè, faccio io dai, sennò affittiamo domani. A Simone arriva una mail,
gli dicono di presentarsi a MalefiX, nota multinazionale della telefonia.
Simone è felice, dopo mille curriculum inviati qualcuno ha risposto… così corre
all’appuntamento con tale Deborah U., la incontra proprio nell’ufficio della
tipa, ‘na cosa asettica tutta bianca (per inteso, pure il palazzo di MalefiX è
‘na cosa asettica e tutto bianco), tipo il futuro no? Cioè, fantascienza. Com’è
che si chiama quel film? THX 1138 mi pare, ecco ‘na cosa tipo quella. Tutto
levigato, molto cibernetico. Incontra ‘sta tipa che propone mari e monti.
Pubblicità, dice. Simone non ci ha mai pensato, fare il pubblicitario potrebbe
essere una buona idea. Tra l’altro, diciamoci la verità, Deborah al coinquilino
l’ha lusingato. Ché dice che la laurea in cinema serve.
IMMANUEL KANT:
Il racconto si conclude quindi con Simone davanti alla grande porta del futuro,
curioso al punto giusto di sapere cosa lo attende dall’altra parte.
ORSETTO DEL
CUORE: La porta sì è appena aperta e la luce, per un attimo solo, l’ha
accecato.
LA VOCE DI DIO:
Oh, tipo undici pagine per descrivere ‘ste due stronzate.
CHRISTOPHER VOGLER:
Vi perdete, non rispettate gli schemi. Il primo, il secondo e il terzo atto!
GRANDE PUFFO:
Ecco, è arrivato. Non ci far perdere tempo. Diciamo che più o meno eravamo
giunti qui, con la storia dico. Però se non ricordo male noialtri avevamo una
boccia di rum, se non ricordo male…
IL GIORNO DI PROVA
Noi ci reinventiamo ogni volta. Siamo stati
spazzini, baristi, ludotecari. Abbiamo lavato i piatti, pulito le stanze,
passato ore davanti al computer a premere sui tasti.
Alcune volte i nostri lavori ci sono
piaciuti, altre meno. Certi giorni abbiamo riso. Grazie al precariato le
abbiamo provate tutte e abbiamo conosciuto tantissime persone. Abbiamo visto
come i maestri insegnano nelle scuole, come gli animatori intrattengono i
bambini, come i cuochi cucinano nei ristoranti; ci siamo schifati quando il
cameriere ha raccolto il panino gettato a terra per darlo al cliente
inconsapevole; abbiamo pianto spesso, quando l’autistico ci ha picchiato
selvaggiamente.
Simone l’ha fatto.
Credeva di aver trovato il suo lavoro. Di
essere bravo con i pazzi, un buon operatore, utile alla cooperativa. Come si
sbagliava.
«Illuso!», già urlano i più.
L’hanno buttato
via come uno straccio consumato, ma prima di gettarlo nel secchio della
raccolta differenziata ci si sono puliti le scarpe, le suole soprattutto.
Ci ricreiamo ogni giorno. Tutti i giorni.
Siamo una generazione di transformers. Sempre pronti per un nuovo lavoro, mai
arrabbiati, in bilico tra un palazzo e l’altro.
Ecco Simone, il perfetto esempio del
trentenne senza speranze, illuso da una vita che non gli è stata concessa,
ormai sottomesso al volere del sistema.
Guardatelo, come aspetta di scoprire il
futuro. Una bestia che attende i croccantini dalle mani del padrone.
Nient’altro.
«Che poi è ‘na cazzata eh», mi dice il
Criceto. «Noi animali domestici viviamo di rendita. I veri padroni siamo noi, certo,
questo vale soprattutto per i cani e per i gatti. Però t’assicuro che non ce la
passiamo male… meglio del tuo coinquilino stiamo.»
Deborah U. spalanca l’immensa porta e una
luce si espande come fosse il paradiso. Simone gioisce.
Diventerà il più
grande pubblicitario della storia della pubblicità! Immensi monumenti verranno
eretti in suo onore!
Sarà il primo a
fare una pubblicità etica, rinunciando ai grandi compensi della Nike o di
McDonald’s!
Poi la luce cala.
Il silenzio del corridoio cessa.
E le voci lo
assalgono.
È un inferno, un immenso inferno di fuoco e
fiamme. Un luogo di tortura e morte.
Ci reinventiamo sì. Ogni volta. Abbiamo
grandi speranze, vogliamo fare gli astronauti da grandi o i registi o gli
attori. Siamo i migliori, i più bravi. A noi nessuno può toglierci i sogni.
Fino a che non ci scontriamo con la realtà, non sbattiamo la testa così forte
da rimanere per un attimo paralizzati. Lo vediamo bene, il sangue che cola
dalla fronte. E lo lecchiamo, perché questa è la nostra fine: veniamo stipati
in un grande stanzone con le pareti bianco sporco, piene di muffa; ci schierano
in file ordinate, una postazione dietro l’altra, le scrivanie blu piene zeppe
di fogli; ci bloccano su una sedia scomoda ma non troppo e ci mettono davanti
al computer. Poi ci infilano le cuffie e ci fanno parlare per ore al telefono,
ore e ore. Ci controllano certo, seguono le conversazioni con i potenziali
clienti annoiati, con le casalinghe in menopausa, con gli uomini depravati, con
i giovani come noi. Ci suggeriscono le risposte tramite l’auricolare destro
mentre con quello sinistro ci fanno riempire di insulti dal consumatore. Ci
spiano anche dal vivo, tredici controllori in abiti firmati che girano avanti e
indietro. Tutto questo per otto ore al giorno, ininterrottamente; le telefonate
passate direttamente dal Cervellone, un immenso computer fatto di bit, plastica
e cavi.
È la nostra
fine.
È il call
center, oscuro terrore di qualunque giovane sano di mente.
«Peggio del Call Center non c’è niente», dice
La Voce di Dio.
«Manco dal Burger King è così pesante»,
annuisce Grande Puffo.
Deborah sorride
soddisfatta guardando Simone. «Come finisce una telefonata il Cervellone ne
passa un’altra e un’altra e un’altra. Per otto ore. Otto ore di vendite e
profitti. È questo che ci rende grandi, siete voi la nostra forza. Ora vai
ragazzo, stendili».
Simone si guarda
le mani, ha un tremito veloce. Vorrebbe ucciderla o almeno sputargli contro;
tirare fuori tutto il suo spirito ribelle. Ma la verità è che non può. Ha
bisogno di soldi, un bisogno disperato di denaro.
Osserva i suoi futuri colleghi, le camice
sudate e gli occhi spalancati. Veramente vuole essere uno di loro? Potrebbe
organizzare una rivolta, uno sciopero, una cosa qualunque. Ma chi vuole
prendere in giro? Non farà niente, si siederà come tutti e accetterà mucchi di
parolacce da ignari acquirenti.
«È che non avete speranze. Vi hanno rubato
tutto, ogni cosa, pure la voglia di lottare. I sindacati ormai non contano
niente, la politica è deceduta e alle persone sta bene così. Siete morti dentro
e non lo sapete», dice Lev Trotsky.
Simone guarda Deborah. «Io non so come si
fa», dice.
«Ce l’hai nel sangue, ascolta i miei ordini,
seguirò le tue telefonate. Fai quel che dico, come fossi un pappagallo. Tra cinque
ore sarai pronto. Ambrogio?»
«Sì signora?»
«Porta Simone alla sua postazione».
«Certo signora».
È tipo un
supplizio, una condanna a morte. È come finire sul ponte dei pirati, attendendo
di essere sbranato dagli squali.
Il Cervellone, al centro di tutto, si
illumina.
Alcuni lo
venerano, altri si voltano a guardarlo, altri ancora lo seguono.
«La nostra guida», sussurrano.
Ci riscopriamo
ogni volta, cambiando parti della nostra personalità, come fossimo cyborg.
Modifichiamo il nostro pensiero, le nostre azioni, i nostri desideri.
Simone si siede osservando i volti dei suoi
coetanei. Veramente vuole essere questo?
I soldi.
Non chiederà mai un prestito ai genitori.
Alza lo sguardo:
una grande macchina diabolica, un ingranaggio perpetuo.
Lo stanno studiando, ne è certo; lo osservano
dall’immensa vetrata a specchio. Deborah. È lì. Lo scruta.
Ora indossa le cuffie, la percezione spostata
quel tanto più in là che serve a superare la giornata. Sente un battito
lontano, forse il cuore, forse le speranze. Si scusa con loro e accetta la
prima chiamata.
«Bene.»
«Oh, Deborah, salve.»
«Sei pronto?»
«Sì… credo».
«Forza. Orecchio sinistro il Cervellone,
orecchio destro la tua Deborah… e tre, due, uno. Sei in linea tesoro!»
«Pronto…?»
Un nome dallo
schermo.
«Ehm, salve… io sono Simone S., il signor
Sambuco?»
«Sono io».
Orecchio destro:
«Non perdere tempo. Pensa al prodotto, vendi. Altrimenti attacca.»
«Sì».
«Cosa?»
«Non ce l’ho con lei».
«Con chi…?»
La telefonata si
interrompe.
«Abbiamo agganciato Simone. Guarda il
computer. Ecco. Leggi. Lì c’è quello che devi vendere. Sei pronto? Non mi
deludere, ho puntato molto su di te. Ce la puoi fare.»
«Buongiorno».
«Sì?»
«Salve, sono Simone S. e la chiamo per conto di MalefiX.»
«Ah. E Allora?»
«Senta io…»
«Ho fretta. Mio figlio mi aspetta per andare
in palestra, il cane devo ancora portarlo a far la pipì, mia moglie è di là che
dorme da ore; mi tocca pulire tutta casa, stirare i vestiti e fare un mucchio
di cose che, glielo assicuro, non auguro neanche al mio…»
Orecchio destro:
«Taglia.»
«Okay signor… uh, ecco. Signor D’Agostino.
Ah. Eh. Bene. Sarò veloce. Abbiamo qui un pacchetto per lei già pronto, adatto
alle sue esigenze… ottimo per una situazione, sì, come la sua. Tanti impegni,
mille cose da fare. Pensi, grazie a MalefiX, in un colpo solo, si porterà a
casa: navigazione internet illimitata, modem Wi-fi incluso, a cui potrà
collegare fino a… oh oh, duecentosettantatre
apparecchi… tutte le chiamate verso rete fissa nazionale gratuite… e, ecco. Chiamate
illimitate gratuite ai cellulari MalefiX».
«Sì ma io…»
«Signor D’Agostino, mi ascolti. È il mio
primo giorno di lavoro, conviene a lei e conviene a me. Anzi, sa che le dico?
Le farò avere dodici euro di sconto al mese. È la crisi, la viviamo tutti. Se
non ci si aiuta tra noi…»
«Posso… posso pensarci?»
«Certo, la metto subito in contatto con il
nostro centralino. Pratiche burocratiche e tutto il resto le sbrigherà con lui.
Arrivederci e grazie ancora…»
Ci destrutturano e ci riformulano, come
fossimo una pozione magica, un calcolo sbagliato, una formula non riuscita.
Eccolo quindi, il nostro Simone, piegato in
due sulla scrivania, guardarsi a sinistra e a destra e osservare i suoi simili,
chini come lui sul computer, lo sguardo perso del morto vivente. Non hanno
tempo di parlare, di scambiarsi due parole, di fare una battuta.
Sono macchine.
Macchine programmate per uccidere.
Osservate
Deborah invece, non è troppo diversa da Simone; ha iniziato anche lei parlando
al telefono, ma ha fatto carriera. Certo, può essere sostituita, come tutti del
resto. Il suo contratto non le da garanzie di nessun tipo, ma non importa, vive
il presente. Oggi è felice. Oggi è lei che comanda, ha potere.
«Bravo Simone», dice, «è andata. Sapevo di
poter contare su di te. Ma non distrarti, arriva un’altra telefonata».
E così via.
Ore e ore e ore.
Simone riceve
parolacce, battute, proposte indecenti. Molti gli attaccano il telefono in
faccia, pochi accettano le sue offerte. Il Cervellone nel frattempo smista le
chiamate.
Qualcuno piange, viene da dietro. Potrà
voltarsi? Rimane fermo, immobile, terrorizzato. Cosa gli hanno fatto? Ci
vogliono così poche ore per cambiare una persona? Perché non si gira? E se
avessero bisogno di aiuto?
Potrebbe perdere la telefonata.
Quindi rimane
fermo. «Pronto?», dice.
«Però scusa, io vi ho dato pure la rabbia, la
collera», dice La Voce di Dio.
«Io non credo in te, sono tipo ateo… o
agnostico, ancora non so. Che ci posso fare? E poi ascolta, Ganesh dov’è?»,
rispondo.
«In un posto sicuro. Fai qualcosa».
«Cosa posso fare?»
«È Simone, mica uno qualunque. È un tuo
fratello, forse il tuo migliore amico. Vuoi lasciarlo così?»
«Voce di Dio, io non posso far niente. Mica
modifico gli eventi. Cerco solo di riportare gli avvenimenti, le cose che mi
capitano intorno».
«Questo lo so. Però romanzi parecchio quando
racconti le tue storielle, potresti farlo anche adesso».
«Ti assicuro che ho già romanzato abbastanza…
piuttosto, fai qualcosa tu no?»
«Ma io vi ho concesso il libero arbitrio, non
posso interferire».
«Cazzate, guarda che hai fatto in Egitto al
tempo di Mosè…»
«Quella è un’altra storia».
«Se vuoi… puoi…»
Ci riassettano.
Ci obbligano a seguire le loro regole, a vivere nel loro mondo. Non importa
cosa tu abbia fatto, chi sia stato. L’importante è qui, è l’ora, l’adesso.
Ma Simone non può.
Non lui.
Deborah parla,
il timpano dell’orecchio destro sembra quasi esplodere. La voce gli entra
dentro, correndo lungo i canali di scolo del cervello, insinuandosi prepotente
fin dentro il midollo osseo, scendendo giù, nella colonna vertebrale, vertebra dopo
vertebra dopo vertebra. Lo riempie, lo annienta, si impossessa di lui. È
squillante. «Telefonata telefonata telefonata».
È il mondo del domani. Sono gli uomini robot.
Siamo tutti noi. Ammiratelo. È laggiù. È il Cervellone a comandarci.
Qualcuno crolla a terra, forse il suo vicino
di postazione. Lo trascinano via degli uomini vestiti di bianco.
Qualcun altro urla.
Schizzi di
sangue.
Deborah continua a sbraitare ordini. Simone
esegue, il cuore sempre più veloce, la milza che sembra scoppiare.
È questo il futuro che vuole?
«Cosa vuoi fare da grande?», gli chiedeva il
papà la sera prima di andare a dormire.
«Il regista», rispondeva sorridendo.
«Oppure?»
«Il creativo».
Il creativo.
Simone voleva creare. Forse è anche questo ad unirci, il bisogno di narrare
storie, di farci guidare dalla fantasia, di non perdere il nostro spirito
bambino.
«I bambini sono ribelli. Sempre», mi fa
notare Pierpaolo Pasolini.
Ha ragione.
È questo che ci
differenzia.
Simone alza lo
sguardo, la voce del padre in testa, la domanda ripetuta dieci cento mille
volte.
A noi piace giocare.
Guarda i suoi
colleghi.
Ora hanno la sua
età, domani saranno già vecchi.
Non ce la fa.
Non può farcela.
Simone non ha vent’anni. Deve trovare
qualcosa che lo faccia star bene, o che almeno gli dia la possibilità di
pensare che non si licenzierà dopodomani. Non vuole svegliarsi tutte le mattine
con l’ansia. Non chiede molto.
Ci riscopriamo ogni giorno. Ci piace. Loro
provano a cambiarci, tentano in tutti i modi e sicuramente un pochino ce la
fanno. Ma ci sono cose, anche piccole, che non cambiano. Ci sono parti nostre
che rimangono così, ancorate per sempre all’anima. È il nostro spirito
infantile, la voglia di rivalsa. Credere.
Nonostante tutto, sopra ogni cosa, non perdere la speranza.
Noi ci nutriamo di speranza.
Quindi Simone si
alza, strappandosi le cuffie dalle orecchie, si alza e si incammina verso il
grande portone, fischiettando solo un poco. Guarda i ragazzi che per un attimo
solo incrociano il suo sguardo.
«Simone, cosa fai?», urla Deborah spuntando
dal nulla. «Se esci da quella porta hai chiuso, HAI CHIUSO HAI CAPITO?!?»
Il sogno nel cassetto cazzo.
Ammiratelo Amici
& Amiche, guardatelo. È bellissimo. Sembra quasi… luminoso ecco. Certo, gli
altri non si voltano neanche un attimo, se lo facessero sicuro lo seguirebbero.
«Non osare mancarmi di rispetto! Non uscire,
non-uscire! Ehi, mi senti?!?»
L’illusione.
Ci sfamiamo di illusione.
Non siamo mai sazi e questa fame ci tiene in
vita. Ci fa sorridere ogni mattina, nella certezza che qualcosa prima o poi
cambierà.
Noi, Precari & Precarie, semplicemente
non ci arrendiamo. Non fa al caso nostro.
Simone esce, fiero e bellissimo, baciato dal
sole.
Un sorriso gli nasce dalle labbra e si
espande su tutto il volto.
È splendente.
È l’amico mio.
E ha perso il
lavoro.
VOCE DI DIO:
Giuro, giusto un pizzico di aiuto ho dato. D’altra parte non c’era Ganesh…
ELIA: Eh, ma
dov’è che è andato?
VOCE DI DIO:
Beh, non è che un dio non ha desideri… guarda:
C’è un’isoletta.
C’è un’isoletta
piena di palme.
C’è un’isoletta
piena di palme con una sabbia fina fina e tutta bianca.
C’è un’isoletta
piena di palme con una sabbia fina fina e tutta bianca e con il mare
cristallino.
Nell’isoletta c’è Ganesh, metà uomo metà
elefante, che prende il sole. Ha in mano un cocktail alla fragola e beve beve
dalla cannuccia, ogni tanto un granchio fa capolino tra i suoi piedi.
Ci fa un sorriso, felicemente adagiato sulla
sdraio. «A ognuno i suoi sogni», dice sorridendo.
«A ognuno i suoi sogni», rispondo,
guardandovi.
Se vuoi leggere la prima parte del racconto vai su: http://eliamangiaboschi.blogspot.it/2015/02/lincredibile-storia-vera-di-simone-e.html
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