lunedì 3 novembre 2014

SCRIVERE



Nota di Ganesh:
  «‘Sta botta il mio amico Elia non sapeva che scrivere. Io c’ho provato in tutti i modi. Duro come il legno. ‘Mica se ne accorge qualcuno se ‘sta settimana non fai la storiella del martedì’, gli ho detto tutto il tempo, ma lui no. Oh, di coccio. Il flusso di pensieri con la morale finale voleva fare il signorino. ‘Ma chi ti credi di essere?’, gli ho domandato ogni giorno, ogni santo giorno. Mah. Vabbè. Mi spiace. Scusatelo, è uno stolto. Uno stolto umano borioso. Come sempre. Comunque, ci vediamo presto, casomai un giorno di questi mi trasferisco da voi, sicuro sto meglio, cioè, qua non ce la faccio più…» 

A
B
C
D
E
F
G
H
I
L
M
N
O
P
Q
R
S
T
U
V
Z
  Uniamole adesso.
  La “C” ad esempio, assieme alla “I”, alla “A” e alla “O” forma “CIAO”.
È un suono.
CIAO
  Allunghiamo le lettere:
CCCIIIAAAOOO
  Un bellissimo suono.
Altro esempio:
La “I”, la “D”, la “E”, la “A”, la “L”, la “I”, la “S”, la “T”, la “A”.
  Ora scriviamo. Le lettere formano la parola, le parole insieme formano la frase. Le frasi poi il concetto, i concetti la storia. Di storie io mi nutro, da sempre.
  Storie raccontate quando ancora non sapevo leggere, dai miei genitori e da mia nonna. Storie lette dopo, quando ho imparato a distinguere le lettere, gli scarabocchi. Sono linee, tutto qui. O cerchi. La “O” è una bocca aperta, la “T” un albero, la “H” un ponte.
  Io le amo.
Prendete un libro, uno qualunque e odoratelo, ogni libro ha un profumo diverso, ogni casa editrice ha il suo odore.
  Alcuni odori te li porti appresso da sempre. A me capita con Dylan Dog, le pagine odorano sempre della stessa carta, da quando avevo otto anni.
  Ora. Improvvisamente vi capita una roba parecchio strana: vi rendete conto che le storie avete bisogno di raccontarle, che vi piace mettere insieme gli scarabocchi e le linee e che, in fin dei conti, non potete farne a meno, di tracciar parole dico.
  «Ma che è», mi chiede Ganesh, «non sai che scrivere ‘sto martedì vero?»
Avete undici anni, Amici & Amiche, e siete soli. Inventate un personaggio, lo descrivete e lo fate andare in giro; capite che la cosa vi intriga. Non vi fermate quindi, nonostante la professoressa di italiano continui a ripetervi che no, proprio non sapete scrivere.
  «Padronanza del linguaggio», vi dice.
  «Formalità».
  «Correttezza».
Andate male certo, anzi malissimo, ai temi il massimo che riuscite a prendere è un bel tre. Ma non vi fermate, macché, la vostra è pura e semplice passione.
  Passione.
  P – A – S – S – I – O – N – E
  Come accarezzare una donna, prenderla tra le braccia, farla godere con le dita, essere mangiati dai suoi baci, morire tra le coperte e rinascere ancora più appagati.
  Così non vi fermate, avete la penna sempre con voi e il vostro quaderno a righe si macchia di continuo. Scrivete a scuola, durante l’ora di scienze, mentre gli altri si accaniscono con le cerbottane. Adorate il caos.
  Crescete nel frattempo, siete nati in una borgata e il quartiere è la vostra mamma. Siete piccoli ancora ma già conoscete il linguaggio della strada, quello sporco, brutto, scontroso. Ascoltate i vecchi che giocano a carte in piazzetta urlare frenetici, «Aho, stai a bara’!»; i tossici dire, «Ce l’hai ‘no spiccio?»; i ragazzini giocare a calcio, «Passami la palla DAJE!». Vi nutrite della lingua, quella vera, vi piace. Stareste ore al supermercato, ad ascoltare di nascosto le grida degli avventori.
  Ora avete quindici anni e il mondo è già cambiato, siete innamorati, i vostri amici sono tutti artisti minorenni che si sentono già adulti e fumate tanto. Stravedete per la marijuana e in piazzetta, assieme ai compagni, di canne ve ne fate una marea. Leggete ogni cosa vi capiti sotto tiro, fumetti, libri e riviste. Vi piace rubarli i fumetti, andate nelle fumetterie e riempite lo zaino il più possibile, sgraffignando solo per il gusto di farlo. Siete adolescenti in fondo, è ovvio che siate ribelli (e stupidi). Vi sentite grandi e siete curiosi, come un gatto che scopre il mondo. I vostri occhi osservano ogni cosa ed in verità non ci capite niente. Allora vi drogate un po’ di più, assieme agli amici del liceo artistico e ai compagni di borgata. Vi piace stordirvi e lo fate con la scusa della scienza. Voi in discoteca non ci andate mica, la droga la usate per aprire le porte della percezione. Sì, ovvio, vi piace Huxley e ascoltate solo Jim Morrison. Non smettete di scrivere però, mai. Anche adesso la vostra musica preferita è il brusio della classe, quindi prendete il bel quaderno e buttate giù le lettere, una ad una, e lasciate solo quelle che più vi piacciono, quelle che vi entusiasmano. I vostri sono racconti di fantascienza e racconti di adolescenza. Narrate storie di liceali, di sesso, di professoresse. Non li legge nessuno, solo pochi intimi. Anche qui, nonostante il liceo sia un periodo d’oro, le insegnanti non credono in voi, non riescono a capire come possiate pensare che la vostra sia scrittura e le frasi racconti. «Gli scrittori sono altro», vi dicono. «Non si scrive di getto, le parole si pesano, una ad una». Ma voi non lo fate apposta, a voi le parole escono così, quasi per gioco. Basta impugnare una penna ed è fatta. Vi perdete, come foste sballati, come se aveste pippato una buona dose di cocaina. Adorate questa sensazione, è, come dire, inebriante. Quindi no, non perdete neanche tempo a spiegare il perché, perché un perché non c’è (e scusate il gioco di parole). Vi rendete anche conto, piano piano, che ci sono degli scrittori che fanno quel che fate voi. Scrittori che non sanno scrivere e che usano la lingua parlata per narrare storie. Certo, se solo voleste potreste buttar giù un bel tema, italiano perfetto e punteggiatura come si deve. Ma non volete, siete adolescenti e il mondo è ai vostri piedi. E poi, ripeto, è un gioco. Una giostra da cui non potete scendere, un’altalena infinita, un mondo da scoprire. Già, voi giocate. Vi è sempre piaciuto giocare, di crescere non ne avete voglia. Avete letto Pasolini e sapete cosa ne pensa degli adulti, avete letto Blake e sapete cosa ne pensa degli adulti, avete letto Pascoli e sapete cosa ne pensa degli adulti, quindi sì, siete in buone mani.
  Imparate a raccontare storie come le raccontereste a cena con gli amici, davanti ad un buon vino, la bottiglia mezza vuota, l’amaro in attesa di fare il suo ingresso sulla tavola imbandita. Voi parlate quando scrivete, non ammorbidite il linguaggio, non usate paroloni e raramente vi fermate a riflettere. Se in una storia ad esempio il protagonista ha perso il portafogli sicuro non dirà mai: «Ohibò» oppure «Perdincibacco», piuttosto userà un’espressione senza dubbio colorita come ad esempio: «Cazzo!», oppure «Portafoglio dimmerda sicuro qualcuno me l’ha rubato!», o peggio ancora, Amici non me ne vogliate, «Maporcoiddio». È questa la scrittura, narrazione orale che muta in parola scritta. L’adorate, è la vostra droga. Per voi la scrittura deve essere cosa vera, di sangue cuore pelle e polmoni. Deve nascere dalla rabbia che provate dentro, dalla felicità, dalla musica. Deve trascinare la mano ed impadronirsi di voi come una forza demoniaca. Vi deve far correre sulla tastiera, provare dolore, macchiare di sudore il tasto del computer.
  «Ecco», mi dice Ganesh, «adesso non verrai a dirmi che la scrittura è il demonio, fai un poco il serio Elia. Veramente, se questo martedì non sai che scrivere una cosina da dire la troviamo, ‘na scusa qualunque insomma».
  Lo sapete non è vero? La scrittura s’impossessa di voi e vi spinge via, lontano. Siete euforici mentre scrivete. Anche se non sapete scrivere, siete euforici lo stesso.
  Avete finito il liceo e l’università sembra non cominciare mai, nel frattempo lavorate, siete camerieri, dogsitter e benzinai. La sera uscite, andate sempre allo stesso pub, tutte le sere ad ubriacarvi assieme ai vostri compagni di sbronze. Vi piace il pub e così scrivete anche di quello, vi rendete conto, piano piano, che la vita di tutti i giorni riserva piacevoli sorprese e che i personaggi sono ovunque, basta saper guardare. Diventate Ladri di Storie. Origliate, come farebbe Anda, la portinaia del palazzo. Ascoltate le conversazioni degli altri, degli amici e degli sconosciuti. E poi scrivete. Voi scippate sì, ogni giorno, ogni momento, in ogni minuto. Alle volte i vostri amici si lamentano, ritrovandosi a loro insaputa protagonisti di un racconto o, peggio ancora, di un romanzo. Ma la cosa, sotto sotto, li lusinga. Vi accorgete quindi che dietro la porta di un pub si possono nascondere tesori incredibili e che la vecchia cantina dell’amico è un covo di vampiri assetati di sangue. Ne scrivete così tante di storielle adesso e prediligete sempre i personaggi strani, un po’ scomodi. Amate i perdenti, in fondo siete uno di loro. Vi piacciono i vecchi stramazzati al bancone del bar, il cicchetto in una mano e la sigaretta nell’altra; vi entusiasmano le dita gialle (l’indice ed il medio) delle ragazze che fumano troppo; adorate le storie dei Dj nascosti alla consolle; vi straziate per i racconti dei raver dopo una notte da sballo alla festa nella fabbrica abbandonata, gli occhi a palla di chi non dorme da quattro giorni. Adorate però soprattutto i racconti degli operai chiusi in fabbrica, dei giovani precari, dei disoccupati e dei rivoluzionari senza speranze. Ideali. Avete degli ideali sicuri, fissi. Siete idealisti e non ve ne vergognate. A costo di rimanere l’unico idealista al mondo, voi non ve ne vergognate. Credete ancora nei buoni e nei cattivi, dividete il mondo. Le guardie sono cattive, i manifestanti sono buoni; i fascisti sono cattivi, i comunisti sono buoni; i ricchi sono cattivi, i poveri sono buoni. E va bene così, dividere il mondo serve. Certo, sapete che anche tra i poveri ci sono i cattivi, non siete mica stupidi. Ma sicuro preferite il poveraccio che si sveglia alle quattro del mattino per andare a zappare la terra piuttosto che il bavoso con la Mercedes. Voi li odiate i bavosi con la Mercedes. Ebbene sì, confidate nella lotta di classe nonostante sia passata di moda. Uh uh, siete fuori moda. Ve ne accorgete anche quando andate a comprare le cose per vestirvi. Non trovate mai niente.
  Nella borgata conoscete tanta gente, i vostri genitori in fondo sono famosi a Magliana e anche vostra nonna, lei è una strega. Vi piacciono gli zingari, così iniziate a frequentarli, certo non è semplice ma c’è qualcosa che vi attira, forse il loro essere anarchici. Un’anarchica strafottenza che vi incuriosisce non poco. Cosa siete allora, antropologi? No, semplicemente adorate scrivere. Scrivete le storie dei rom e delle roulotte e dei bambini e delle donne e del rame. Poi unite tutto, mischiando ben bene, come fosse l’impasto di una torta. Ancora, il vostro stile muta e cresce.
  Cominciate a mandare le vostre robe in giro, alle case editrici e alle riviste. Vi rispondono sempre uguale, la lettera è identica, i rifiuti sono tanti. Ogni volta che vi mettete davanti al computer dite: «Giuro questa è l’ultima volta». Ma non è mai l’ultima volta.
  Vi umiliano, vi deridono, vi distruggono.
Le lettere degli editori vi fanno male. Vi fanno piangere ogni tanto la sera, nascosti tra le coperte, al buio. Vorreste avere un’altra passione, voi non siete scrittori, siete nulla. Vorreste suonare uno strumento, uno qualunque, e andare in giro a far ballare le persone. Vorreste essere un attore e recitare sul palco davanti ad una platea che, seppur piccola, platea rimane. Vorreste essere artisti e ritrarre il Colosseo aspettando che il turista di turno vi faccia un complimento o, meglio ancora, compri il vostro lavoro. Ma non sapete far niente; voi, diciamoci la verità, sapete solo scrivere.
  «Ne sei sicuro?», vi domandate ad alta voce. «Solo i tuoi amici e la tua famiglia leggono i tuoi racconti. Casomai non hanno il coraggio di dirti che fai schifo, che le tue robe sono proprio brutte».
  Già, ne siete sicuri? Filosofeggiate sulla scrittura sporca, sul linguaggio parlato, sulla vita vissuta ma in fondo, diciamocelo pure, i professori potrebbero aver avuto ragione, da sempre. Non sapete scrivere. No no.
  Nel frattempo vi trasferite in un’occupazione. Un bel palazzo abbandonato che diventa la vostra casa. Conoscete tantissima gente, moltissime persone. Il palazzo è un crocevia di culture, ci sono marocchini, egiziani, italiani, bengalesi, rumeni. A voi piace e la sera vi piace scrivere di questa gente. Scrivete la storia di Dante, un tipo uscito da poco dal carcere; quella di Mohammed, arrivato in Italia da un mese; di Federica, rimasta senza casa a causa della figlia da poco partorita.
  Studiate, non tanto certo ma studiate. Seguite sempre più da vicino il movimento, occupate l’università e scrivete pure di quello.
  Vi drogate. Adorate ballare e andare alle feste. I rave durano giorni e giorni e con i vostri amici c’è un feeling che vi lascia ogni volta basito. L’MDMA aiuta certo, ma anche il diverso approccio con le droghe. Siete molto informati al riguardo, studiate saggi e libri e tomi di cinquecento pagine.
  Quando gli amici cominciano a morire scrivete le loro storie. È un modo come un altro per ricordarli.
  Non vi fermate. Vi piace la vita. Leggete di tutto, dai grandi classici agli autori moderni (un occhio di riguardo sempre alla fantascienza). Leggete quasi un libro a settimana (dormite molto poco). Con i vostri amici, nelle serate fumose, in piccoli locali malfamati, organizzate reading letterari, un racconto a testa, da recitare tutto d’un fiato, strafatti fino all’alba, fumando hashish e bevendo a più non posso. Siete fatti così. Non potete farci niente.
  La letteratura è un’amica, vi tiene compagnia, sempre e comunque.
Quando finite l’università cercate un lavoro più serio, vi assume un’associazione che fa feste per mocciosi, diventate peluche giganti e cominciate a lavorare per i ricchi. Andate nelle case ai Parioli o nelle ville nei parchi e fate le feste per l’alta borghesia e la sua prole. Odiate i bambini figli di questi imprenditori politici capi-di-banche sfruttatori mafiosi. Li odiate tutti.
O. D. I. A. T. E.  
Odiate i genitori, gli amici dei genitori, i bambini e gli amici dei bambini. Sono viziati, incredibilmente viziati, e vi trattano come un servo. Accettate, avete bisogno di soldi. La notte però, al sicuro tra le quattro mura che chiamate casa, li descrivete. Voi descrivete tutto, ogni cosa, è il vostro modo di sfogarvi, come andare dallo psicologo ma gratis. Già, vi psicanalizzate. Scegliete di raccontare le storie degli uomini in giacca & cravatta, quelli che vi pagano, il naso incipriato di polvere bianca e la moglie imbellettata di silicone vivo; le storie dei bellissimi camerieri sudamericani con il pisello grande e delle bellissime babysitter sudamericane con le tette grandi. “Chi sono?”, pensate, indubbiamente affascinati. “Cosa facevano prima?”. Inventate. Siete dei cazzari.
  Avete da tempo abbandonato l’occupazione e siete andati a vivere da amici. Pagate poco ma vi manca lo spazio. Fumate tanto e passate al tabacco ché le sigarette costano troppo.
  Viaggiate adesso, state via un anno in giro per l’Asia. Thailandia, Laos, Cambogia, Vietnam, Cina. Lavoricchiate. Navigate il Mekong aggrappati a piccole barchette di legno. Conoscete i marinai, dormite con loro. Scrivete all’alba, quando il sole sorge e i pescatori preparano le zattere.
  Poi siete di nuovo a Magliana, da papà e mamma e la cosa vi umilia, non per i vostri genitori, gli volete bene, ma vi sentite, come dire… falliti.
  Ah! I vostri genitori… li osservate invecchiare: le rughe che aumentano, sottili linee che si fanno via via più spesse, come solchi in una montagna; i capelli grigi, ogni giorno di più, un tempo neri come la notte più scura; il corpo che dimagrisce, si affloscia. Ma non ve ne accorgete, la verità è che non ve ne accorgete, dentro, nello spirito, sono sempre uguali, come quando eravate bambini: giocano, si divertono ma soprattutto si amano. Lo sapete no? Ve l’hanno insegnato loro cos’è l’amore.
  Descrivete anche quello.
Non vi sfugge niente, volete imparare imparare imparare. Siete una macchina, un cyborg, un ibrido umano, avete voglia di conoscenza.
Volete assimilare tutto, farlo vostro e poi buttarlo giù, come il vomito di un ubriaco il sabato sera, dovete riuscirci. Adorate le espressioni del viso sempre diverse, la fronte corrugata in una strana smorfia di pieghe, increspature che si fondono tutte insieme in una zampa di gallina che artiglia l’occhio sinistro d’improvviso; riuscire a scrivere sì: l’ascella sudata, le sopracciglia che si inarcano, le narici grandi come tunnel di montagna, i denti storti. Storti e gialli.
  Volete essere letti, non è vero? Volete che la gente si perda tra le parole che avete usato, che rida grazie a voi, che pianga grazie a voi.
  Adorate le persone che sfogliano i libri in metropolitana, in treno, in aereo. Pensate che la lettura sia questo, un riempi buchi. A voi, ne sono certo, piacerebbe riempire il Magico Momento della Tazza del Cesso. Vorreste accompagnare la gente a cagare, la sgommata di merda ben salda sulla tazza.
  C’è della filosofia nella cagata.
Avete fatto colazione da poco, la tazzina del caffè ancora calda, il sapore del tabacco in bocca -rapide e avide boccate- e poi, e poi sì la vostra è una corsa, una bellissima velocissima corsa.
  Le case editrici vi rifiutano. Tutte.
Ogni tanto siete seriamente convinti di mollare. Avete poco tempo, lavorate tanto (siete entrati a far parte di una nota multinazionale di bibite energetiche) e quel poco tempo che avete preferite passarlo con gli amici e con le donne.
  Vi piace fare l’amore.
Però, cioè, non potete farne a meno, di scrivere dico. Quindi descrivete i vostri amici e descrivete il sesso, la scopata del sabato sera, il groviglio di lingue, i gemiti di lei, la clitoride ancora fresca, i capezzoli turgidi, la vostra eccitazione.
Perché?
  “Perché continuare?”, vi domandate, “Smettila. Scrivere non serve, ti far solo star male”.
La verità, Amici miei, è che non potete farne a meno, non volete dargliela vinta.
  A chi?
A tutti. È un sogno la scrittura. Un bellissimo sogno. È il vostro essere bambini, il credere nelle favole, la voglia di rivalsa, l’unicità, lo sfogo. Sì, ammettetelo, non abbiate paura, non siate timidi, siete unici quando scrivete. Tutto il resto scompare. Siete bellissimi, ma sicuramente lo saprete. Ad osservarvi da fuori, un centimetro più in là della vostra percezione, chini sul computer, mentre pigiate i tasti, siete bellissimi. Se credeste nelle robe energetiche direste quasi che avete un’aura attiva, forte, luminosa. Siete pieni, vivi e potenti. È la vostra speranza, è quello che vi mantiene in forma. Siete corridori di una lunga maratona senza fine, la borraccia d’acqua in una mano, le gambe che galoppano.
  Lotta, pura e semplice lotta.
  È rivoluzione. Vi fa tremare la notte, svegliare la mattina alle cinque per pensare alla nuova storia, al racconto non finito, alla pagina non scritta.
  Di nuovo, passione.
  Passione che arde come un fuoco vivo, la fiamma forte del caminetto in una sera di febbraio.
  Passione.
  “Cosa sei?”, vi domandate allora pensierosi.
Non lo sapete. Un lungo “boh” echeggia fin dentro i cunicoli del cervello.
  “Boh”, una bella parola per tratteggiare una generazione intera.
Ma fate arte. E non importa che gli altri non la capiscano, che i professori vi umilino, che le case editrici manco vi leggano, che tutti vi dicano «Molla», non importa no. Voi fate arte.
  E vivete -vivete- per lei.
È la vostra amante
È un’amante bellissima.
La vostra donna.
Il vostro amore.
Ha lunghi boccoli che le cadono sulla schiena.
  Pedalate veloce in bicicletta
  il vento vi picchia in faccia
Descrivetelo.
  Al lavoro urlano
  la bibita energetica fa proprio schifo.
Descrivetelo.
  In autobus un tizio grida
  la bimba piange.
Descrivetelo.
Tutto il resto scompare.
Milionidipensieri.
  Siete grandi ormai e decidete di accettare il lavoro tanto temuto, voi! Che avete sempre odiato gli impiegati! Proprio voi! Siete uno di loro, vi impegnate per la baracca, urlate i motti sbandierati dagli psicologi; “Meccanic. A”, la nota azienda che si trova all’Eur, diventa la vostra nuova casa. Siete un impiegato adesso, ligio al dovere, indossate camicie scure e pantaloni con la riga al centro. Timbrate pacchi e compilate ricevute. Non sopportate i vostri colleghi, come tutti del resto, però avete i buoni pasto. State in fissa con i buoni pasto, vi piacciono, quando andate a fare la spesa ad esempio, dite sempre alla cassiera: «Eh, c’ho i buoni pasto io».
  Vivete con il vostro amico Simone in un piccolo appartamento dell’estrema periferia romana.
Un impiegato, questo siete.
La vostra vita.
  Come fare?
  Cosa fare?
Descrivetela.
  Non vi fermate quindi, non lo farete mai. Non potete farlo, è come se un burattinaio invisibile vi comandasse, i fili della vita appesi a mani forzute.
  Non vi fermerete mai.
Anche quando non avrete più niente, quando rimarrete totalmente soli o quando avrete troppo da fare, voi non vi fermerete. È così, non potete farci niente, ci siete nati con la voglia di scrivere.
  Quindi.
  Voi.
  Scriverete.
  Sempre.

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