Nota di Ganesh:
«‘Sta botta il mio amico Elia non sapeva che scrivere. Io c’ho provato
in tutti i modi. Duro come il legno. ‘Mica se ne accorge qualcuno se ‘sta
settimana non fai la storiella del martedì’, gli ho detto tutto il tempo, ma
lui no. Oh, di coccio. Il flusso di pensieri con la morale finale voleva fare
il signorino. ‘Ma chi ti credi di essere?’, gli ho domandato ogni giorno, ogni
santo giorno. Mah. Vabbè. Mi spiace.
Scusatelo, è uno stolto. Uno stolto umano borioso. Come sempre. Comunque, ci
vediamo presto, casomai un giorno di questi mi trasferisco da voi, sicuro sto
meglio, cioè, qua non ce la faccio più…»
A
B
C
D
E
F
G
H
I
L
M
N
O
P
Q
R
S
T
U
V
Z
Uniamole adesso.
La “C” ad esempio, assieme alla “I”, alla “A” e alla “O” forma “CIAO”.
È un suono.
CIAO
Allunghiamo le lettere:
CCCIIIAAAOOO
Un bellissimo suono.
Altro esempio:
La “I”, la “D”, la “E”, la “A”, la “L”,
la “I”, la “S”, la “T”, la “A”.
Ora scriviamo. Le lettere formano la parola, le parole insieme formano
la frase. Le frasi poi il concetto, i concetti la storia. Di storie io mi
nutro, da sempre.
Storie raccontate quando ancora non sapevo leggere, dai miei genitori e
da mia nonna. Storie lette dopo, quando ho imparato a distinguere le lettere,
gli scarabocchi. Sono linee, tutto qui. O cerchi. La “O” è una bocca aperta, la
“T” un albero, la “H” un ponte.
Io le amo.
Prendete un libro, uno qualunque e
odoratelo, ogni libro ha un profumo diverso, ogni casa editrice ha il suo
odore.
Alcuni odori te li porti appresso da sempre. A me capita con Dylan Dog,
le pagine odorano sempre della stessa carta, da quando avevo otto anni.
Ora.
Improvvisamente vi capita una roba parecchio strana: vi rendete conto che le
storie avete bisogno di raccontarle, che vi piace mettere insieme gli
scarabocchi e le linee e che, in fin dei conti, non potete farne a meno, di
tracciar parole dico.
«Ma che è», mi chiede Ganesh, «non sai che scrivere ‘sto martedì vero?»
Avete undici anni, Amici & Amiche, e
siete soli. Inventate un personaggio, lo descrivete e lo fate andare in giro; capite
che la cosa vi intriga. Non vi fermate quindi, nonostante la professoressa di
italiano continui a ripetervi che no, proprio non sapete scrivere.
«Padronanza del linguaggio», vi dice.
«Formalità».
«Correttezza».
Andate male certo, anzi malissimo, ai
temi il massimo che riuscite a prendere è un bel tre. Ma non vi fermate,
macché, la vostra è pura e semplice passione.
Passione.
P – A – S – S – I – O – N – E
Come accarezzare una donna, prenderla tra le braccia, farla godere con
le dita, essere mangiati dai suoi baci, morire tra le coperte e rinascere
ancora più appagati.
Così non vi fermate, avete la penna sempre con voi e il vostro quaderno
a righe si macchia di continuo. Scrivete a scuola, durante l’ora di scienze,
mentre gli altri si accaniscono con le cerbottane. Adorate il caos.
Crescete nel frattempo, siete nati in una borgata e il quartiere è la
vostra mamma. Siete piccoli ancora ma già conoscete il linguaggio della strada,
quello sporco, brutto, scontroso. Ascoltate i vecchi che giocano a carte in
piazzetta urlare frenetici, «Aho, stai a bara’!»; i tossici dire, «Ce l’hai ‘no
spiccio?»; i ragazzini giocare a calcio, «Passami la palla DAJE!». Vi nutrite
della lingua, quella vera, vi piace. Stareste ore al supermercato, ad ascoltare
di nascosto le grida degli avventori.
Ora avete quindici anni e il mondo è già cambiato, siete innamorati, i
vostri amici sono tutti artisti minorenni che si sentono già adulti e fumate
tanto. Stravedete per la marijuana e in piazzetta, assieme ai compagni, di
canne ve ne fate una marea. Leggete ogni cosa vi capiti sotto tiro, fumetti,
libri e riviste. Vi piace rubarli i fumetti, andate nelle fumetterie e riempite
lo zaino il più possibile, sgraffignando solo per il gusto di farlo. Siete
adolescenti in fondo, è ovvio che siate ribelli (e stupidi). Vi sentite grandi
e siete curiosi, come un gatto che scopre il mondo. I vostri occhi osservano
ogni cosa ed in verità non ci capite niente. Allora vi drogate un po’ di più,
assieme agli amici del liceo artistico e ai compagni di borgata. Vi piace
stordirvi e lo fate con la scusa della scienza. Voi in discoteca non ci andate
mica, la droga la usate per aprire le
porte della percezione. Sì, ovvio, vi piace Huxley e ascoltate solo Jim
Morrison. Non smettete di scrivere però, mai. Anche adesso la vostra musica
preferita è il brusio della classe, quindi prendete il bel quaderno e buttate
giù le lettere, una ad una, e lasciate solo quelle che più vi piacciono, quelle
che vi entusiasmano. I vostri sono racconti di fantascienza e racconti di
adolescenza. Narrate storie di liceali, di sesso, di professoresse. Non li
legge nessuno, solo pochi intimi. Anche qui, nonostante il liceo sia un periodo
d’oro, le insegnanti non credono in voi, non riescono a capire come possiate
pensare che la vostra sia scrittura e le frasi racconti. «Gli scrittori sono
altro», vi dicono. «Non si scrive di getto, le parole si pesano, una ad una».
Ma voi non lo fate apposta, a voi le parole escono così, quasi per gioco. Basta
impugnare una penna ed è fatta. Vi perdete, come foste sballati, come se aveste
pippato una buona dose di cocaina. Adorate questa sensazione, è, come dire, inebriante. Quindi no, non perdete
neanche tempo a spiegare il perché, perché un perché non c’è (e scusate il
gioco di parole). Vi rendete anche conto, piano piano, che ci sono degli
scrittori che fanno quel che fate voi. Scrittori che non sanno scrivere e che
usano la lingua parlata per narrare storie. Certo, se solo voleste potreste
buttar giù un bel tema, italiano perfetto e punteggiatura come si deve. Ma non
volete, siete adolescenti e il mondo è ai vostri piedi. E poi, ripeto, è un
gioco. Una giostra da cui non potete scendere, un’altalena infinita, un mondo
da scoprire. Già, voi giocate. Vi è sempre piaciuto giocare, di crescere non ne
avete voglia. Avete letto Pasolini e sapete cosa ne pensa degli adulti, avete
letto Blake e sapete cosa ne pensa degli adulti, avete letto Pascoli e sapete
cosa ne pensa degli adulti, quindi sì, siete in buone mani.
Imparate a raccontare storie come le raccontereste a cena con gli amici,
davanti ad un buon vino, la bottiglia mezza vuota, l’amaro in attesa di fare il
suo ingresso sulla tavola imbandita. Voi parlate quando scrivete, non
ammorbidite il linguaggio, non usate paroloni e raramente vi fermate a
riflettere. Se in una storia ad esempio il protagonista ha perso il portafogli
sicuro non dirà mai: «Ohibò» oppure «Perdincibacco», piuttosto userà
un’espressione senza dubbio colorita come ad esempio: «Cazzo!», oppure
«Portafoglio dimmerda sicuro qualcuno me l’ha rubato!», o peggio ancora, Amici
non me ne vogliate, «Maporcoiddio». È questa la scrittura, narrazione orale che
muta in parola scritta. L’adorate, è la vostra droga. Per voi la scrittura deve
essere cosa vera, di sangue cuore pelle e polmoni. Deve nascere dalla rabbia
che provate dentro, dalla felicità, dalla musica. Deve trascinare la mano ed
impadronirsi di voi come una forza demoniaca. Vi deve far correre sulla
tastiera, provare dolore, macchiare di sudore il tasto del computer.
«Ecco», mi dice Ganesh, «adesso non verrai a dirmi che la scrittura è il
demonio, fai un poco il serio Elia. Veramente, se questo martedì non sai che
scrivere una cosina da dire la troviamo, ‘na scusa qualunque insomma».
Lo sapete non è vero? La scrittura s’impossessa
di voi e vi spinge via, lontano. Siete euforici mentre scrivete. Anche se non
sapete scrivere, siete euforici lo stesso.
Avete finito il liceo e l’università sembra non cominciare mai, nel
frattempo lavorate, siete camerieri, dogsitter e benzinai. La sera uscite,
andate sempre allo stesso pub, tutte le sere ad ubriacarvi assieme ai vostri
compagni di sbronze. Vi piace il pub e così scrivete anche di quello, vi
rendete conto, piano piano, che la vita di tutti i giorni riserva piacevoli
sorprese e che i personaggi sono ovunque, basta saper guardare. Diventate Ladri
di Storie. Origliate, come farebbe
Anda, la portinaia del palazzo. Ascoltate le conversazioni degli altri, degli
amici e degli sconosciuti. E poi scrivete. Voi scippate sì, ogni giorno, ogni
momento, in ogni minuto. Alle volte i vostri amici si lamentano, ritrovandosi a
loro insaputa protagonisti di un racconto o, peggio ancora, di un romanzo. Ma
la cosa, sotto sotto, li lusinga. Vi accorgete quindi che dietro la porta di un
pub si possono nascondere tesori incredibili e che la vecchia cantina
dell’amico è un covo di vampiri assetati di sangue. Ne scrivete così tante di
storielle adesso e prediligete sempre i personaggi strani, un po’ scomodi.
Amate i perdenti, in fondo siete uno di loro. Vi piacciono i vecchi stramazzati
al bancone del bar, il cicchetto in una mano e la sigaretta nell’altra; vi
entusiasmano le dita gialle (l’indice ed il medio) delle ragazze che fumano
troppo; adorate le storie dei Dj nascosti alla consolle; vi straziate per i
racconti dei raver dopo una notte da sballo alla festa nella fabbrica abbandonata,
gli occhi a palla di chi non dorme da quattro giorni. Adorate però soprattutto
i racconti degli operai chiusi in fabbrica, dei giovani precari, dei
disoccupati e dei rivoluzionari senza speranze. Ideali. Avete degli ideali
sicuri, fissi. Siete idealisti e non ve ne vergognate. A costo di rimanere
l’unico idealista al mondo, voi non ve ne vergognate. Credete ancora nei buoni
e nei cattivi, dividete il mondo. Le guardie sono cattive, i manifestanti sono
buoni; i fascisti sono cattivi, i comunisti sono buoni; i ricchi sono cattivi,
i poveri sono buoni. E va bene così, dividere il mondo serve. Certo, sapete che
anche tra i poveri ci sono i cattivi, non siete mica stupidi. Ma sicuro
preferite il poveraccio che si sveglia alle quattro del mattino per andare a
zappare la terra piuttosto che il bavoso con la Mercedes. Voi li odiate i
bavosi con la Mercedes. Ebbene sì, confidate nella lotta di classe nonostante
sia passata di moda. Uh uh, siete
fuori moda. Ve ne accorgete anche quando andate a comprare le cose per
vestirvi. Non trovate mai niente.
Nella borgata conoscete tanta gente, i vostri genitori in fondo sono
famosi a Magliana e anche vostra nonna, lei è una strega. Vi piacciono gli
zingari, così iniziate a frequentarli, certo non è semplice ma c’è qualcosa che
vi attira, forse il loro essere anarchici. Un’anarchica strafottenza che vi
incuriosisce non poco. Cosa siete allora, antropologi? No, semplicemente
adorate scrivere. Scrivete le storie dei rom e delle roulotte e dei bambini e
delle donne e del rame. Poi unite tutto, mischiando ben bene, come fosse
l’impasto di una torta. Ancora, il vostro stile muta e cresce.
Cominciate a mandare le vostre robe in giro, alle case editrici e alle
riviste. Vi rispondono sempre uguale, la lettera è identica, i rifiuti sono
tanti. Ogni volta che vi mettete davanti al computer dite: «Giuro questa è
l’ultima volta». Ma non è mai l’ultima volta.
Vi umiliano, vi deridono, vi distruggono.
Le lettere degli editori vi fanno male.
Vi fanno piangere ogni tanto la sera, nascosti tra le coperte, al buio.
Vorreste avere un’altra passione, voi non siete scrittori, siete nulla.
Vorreste suonare uno strumento, uno qualunque, e andare in giro a far ballare
le persone. Vorreste essere un attore e recitare sul palco davanti ad una platea
che, seppur piccola, platea rimane. Vorreste essere artisti e ritrarre il
Colosseo aspettando che il turista di turno vi faccia un complimento o, meglio
ancora, compri il vostro lavoro. Ma non sapete far niente; voi, diciamoci la
verità, sapete solo scrivere.
«Ne sei sicuro?», vi domandate ad alta voce. «Solo i tuoi amici e la tua
famiglia leggono i tuoi racconti. Casomai non hanno il coraggio di dirti che
fai schifo, che le tue robe sono proprio brutte».
Già, ne siete sicuri? Filosofeggiate sulla scrittura sporca, sul
linguaggio parlato, sulla vita vissuta ma in fondo, diciamocelo pure, i
professori potrebbero aver avuto ragione, da sempre. Non sapete scrivere. No
no.
Nel frattempo vi trasferite in un’occupazione. Un bel palazzo
abbandonato che diventa la vostra casa. Conoscete tantissima gente, moltissime
persone. Il palazzo è un crocevia di culture, ci sono marocchini, egiziani,
italiani, bengalesi, rumeni. A voi piace e la sera vi piace scrivere di questa
gente. Scrivete la storia di Dante, un tipo uscito da poco dal carcere; quella
di Mohammed, arrivato in Italia da un mese; di Federica, rimasta senza casa a
causa della figlia da poco partorita.
Studiate, non tanto certo ma studiate. Seguite sempre più da vicino il
movimento, occupate l’università e scrivete pure di quello.
Vi
drogate. Adorate ballare e andare alle feste. I rave durano giorni e giorni e
con i vostri amici c’è un feeling che vi lascia ogni volta basito. L’MDMA aiuta
certo, ma anche il diverso approccio con le droghe. Siete molto informati al
riguardo, studiate saggi e libri e tomi di cinquecento pagine.
Quando gli amici cominciano a morire scrivete le loro storie. È un modo
come un altro per ricordarli.
Non vi fermate. Vi piace la vita. Leggete di tutto, dai grandi classici
agli autori moderni (un occhio di riguardo sempre alla fantascienza). Leggete
quasi un libro a settimana (dormite molto poco). Con i vostri amici, nelle
serate fumose, in piccoli locali malfamati, organizzate reading letterari, un
racconto a testa, da recitare tutto d’un fiato, strafatti fino all’alba,
fumando hashish e bevendo a più non posso. Siete fatti così. Non potete farci
niente.
La letteratura è un’amica, vi tiene compagnia, sempre e comunque.
Quando finite l’università cercate un
lavoro più serio, vi assume un’associazione che fa feste per mocciosi,
diventate peluche giganti e cominciate a lavorare per i ricchi. Andate nelle
case ai Parioli o nelle ville nei parchi e fate le feste per l’alta borghesia e
la sua prole. Odiate i bambini figli di questi imprenditori politici
capi-di-banche sfruttatori mafiosi. Li odiate tutti.
O. D. I. A. T. E.
Odiate i genitori, gli amici dei
genitori, i bambini e gli amici dei bambini. Sono viziati, incredibilmente
viziati, e vi trattano come un servo. Accettate, avete bisogno di soldi. La
notte però, al sicuro tra le quattro mura che chiamate casa, li descrivete. Voi
descrivete tutto, ogni cosa, è il vostro modo di sfogarvi, come andare dallo
psicologo ma gratis. Già, vi psicanalizzate.
Scegliete di raccontare le storie degli uomini in giacca & cravatta, quelli
che vi pagano, il naso incipriato di polvere bianca e la moglie imbellettata di
silicone vivo; le storie dei bellissimi camerieri sudamericani con il pisello
grande e delle bellissime babysitter sudamericane con le tette grandi. “Chi
sono?”, pensate, indubbiamente affascinati. “Cosa facevano prima?”. Inventate. Siete
dei cazzari.
Avete
da tempo abbandonato l’occupazione e siete andati a vivere da amici. Pagate
poco ma vi manca lo spazio. Fumate tanto e passate al tabacco ché le sigarette
costano troppo.
Viaggiate adesso, state via un anno in giro per l’Asia. Thailandia, Laos, Cambogia, Vietnam, Cina. Lavoricchiate.
Navigate il Mekong aggrappati a piccole barchette di legno. Conoscete i marinai,
dormite con loro. Scrivete all’alba, quando il sole sorge e i pescatori preparano
le zattere.
Poi
siete di nuovo a Magliana, da papà e mamma e la cosa vi umilia, non per i vostri
genitori, gli volete bene, ma vi sentite, come dire… falliti.
Ah! I vostri genitori… li osservate
invecchiare: le rughe che aumentano, sottili linee che si fanno via via più
spesse, come solchi in una montagna; i capelli grigi, ogni giorno di più, un
tempo neri come la notte più scura; il corpo che dimagrisce, si affloscia. Ma
non ve ne accorgete, la verità è che non ve ne accorgete, dentro, nello
spirito, sono sempre uguali, come quando eravate bambini: giocano, si divertono
ma soprattutto si amano. Lo sapete no? Ve l’hanno insegnato loro cos’è l’amore.
Descrivete anche quello.
Non vi sfugge niente, volete imparare
imparare imparare. Siete una macchina, un cyborg, un ibrido umano, avete voglia di conoscenza.
Volete assimilare tutto, farlo vostro e
poi buttarlo giù, come il vomito di un ubriaco il sabato sera, dovete
riuscirci. Adorate le espressioni del viso sempre diverse, la fronte corrugata
in una strana smorfia di pieghe, increspature che si fondono tutte insieme in
una zampa di gallina che artiglia l’occhio sinistro d’improvviso; riuscire a
scrivere sì: l’ascella sudata, le sopracciglia che si inarcano, le narici
grandi come tunnel di montagna, i denti storti. Storti e gialli.
Volete essere letti, non è vero? Volete che la gente si perda tra le
parole che avete usato, che rida grazie a voi, che pianga grazie a voi.
Adorate le persone che sfogliano i libri in metropolitana, in treno, in
aereo. Pensate che la lettura sia questo, un riempi buchi. A voi, ne sono
certo, piacerebbe riempire il Magico Momento della Tazza del Cesso. Vorreste accompagnare
la gente a cagare, la sgommata di merda ben salda sulla tazza.
C’è della filosofia nella cagata.
Avete fatto colazione da poco, la
tazzina del caffè ancora calda, il sapore del tabacco in bocca -rapide e avide
boccate- e poi, e poi sì la vostra è una corsa, una bellissima velocissima
corsa.
Le case editrici vi rifiutano. Tutte.
Ogni tanto siete seriamente convinti di
mollare. Avete poco tempo, lavorate tanto (siete entrati a far parte di una
nota multinazionale di bibite energetiche) e quel poco tempo che avete preferite
passarlo con gli amici e con le donne.
Vi piace fare l’amore.
Però, cioè, non potete farne a meno, di
scrivere dico. Quindi descrivete i vostri amici e descrivete il sesso, la
scopata del sabato sera, il groviglio di lingue, i gemiti di lei, la clitoride
ancora fresca, i capezzoli turgidi, la vostra eccitazione.
Perché?
“Perché continuare?”, vi domandate, “Smettila. Scrivere non serve, ti
far solo star male”.
La verità, Amici miei, è che non potete
farne a meno, non volete dargliela vinta.
A
chi?
A tutti. È un sogno la scrittura. Un
bellissimo sogno. È il vostro essere bambini, il credere nelle favole, la
voglia di rivalsa, l’unicità, lo sfogo. Sì, ammettetelo, non abbiate paura, non
siate timidi, siete unici quando scrivete. Tutto il resto scompare. Siete
bellissimi, ma sicuramente lo saprete. Ad osservarvi da fuori, un centimetro
più in là della vostra percezione, chini sul computer, mentre pigiate i tasti,
siete bellissimi. Se credeste nelle robe energetiche direste quasi che avete un’aura
attiva, forte, luminosa. Siete pieni, vivi e potenti. È la vostra speranza, è
quello che vi mantiene in forma. Siete corridori di una lunga maratona senza
fine, la borraccia d’acqua in una mano, le gambe che galoppano.
Lotta,
pura e semplice lotta.
È rivoluzione. Vi fa tremare la notte, svegliare la mattina alle cinque
per pensare alla nuova storia, al racconto non finito, alla pagina non scritta.
Di
nuovo, passione.
Passione che arde come un fuoco vivo, la fiamma forte del caminetto in
una sera di febbraio.
Passione.
“Cosa sei?”, vi domandate allora pensierosi.
Non lo sapete. Un lungo “boh” echeggia
fin dentro i cunicoli del cervello.
“Boh”, una bella parola per tratteggiare una generazione intera.
Ma fate arte. E non importa che gli
altri non la capiscano, che i professori vi umilino, che le case editrici manco
vi leggano, che tutti vi dicano «Molla», non importa no. Voi fate arte.
E vivete -vivete- per lei.
È la vostra amante
È un’amante bellissima.
La vostra donna.
Il vostro amore.
Ha lunghi boccoli che le cadono sulla
schiena.
Pedalate
veloce in bicicletta
il vento vi picchia in faccia
Descrivetelo.
Al lavoro urlano
la bibita energetica fa proprio schifo.
Descrivetelo.
In
autobus un tizio grida
la bimba piange.
Descrivetelo.
Tutto il resto scompare.
Milionidipensieri.
Siete grandi ormai e decidete di accettare il lavoro tanto temuto, voi!
Che avete sempre odiato gli impiegati! Proprio voi! Siete uno di loro, vi
impegnate per la baracca, urlate i motti sbandierati dagli psicologi; “Meccanic.
A”, la nota azienda che si trova all’Eur, diventa la vostra nuova casa. Siete
un impiegato adesso, ligio al dovere, indossate camicie scure e pantaloni con
la riga al centro. Timbrate pacchi e compilate ricevute. Non sopportate i
vostri colleghi, come tutti del resto, però avete i buoni pasto. State in fissa
con i buoni pasto, vi piacciono, quando andate a fare la spesa ad esempio, dite
sempre alla cassiera: «Eh, c’ho i buoni pasto io».
Vivete con il vostro amico Simone in un piccolo appartamento
dell’estrema periferia romana.
Un impiegato, questo siete.
La vostra vita.
Come fare?
Cosa fare?
Descrivetela.
Non vi fermate quindi, non lo farete mai. Non potete farlo, è come se un
burattinaio invisibile vi comandasse, i fili della vita appesi a mani forzute.
Non vi fermerete mai.
Anche quando non avrete più niente,
quando rimarrete totalmente soli o quando avrete troppo da fare, voi non vi
fermerete. È così, non potete farci niente, ci siete nati con la voglia di
scrivere.
Quindi.
Voi.
Scriverete.
Sempre.
Nessun commento:
Posta un commento