Nota dell’autore:
Premesso che odio parlare di me
in terza persona, ‘sto raccontino è uscito così (sarà forse l’argomento, come
dire, scottante), quindi, non me ne vogliate…
Ordunque,
è giunto il momento di narrarvi la più ardita tra le avventure…
Stupefacente!
Incredibile!
Sen-sa-zio-na-le!
Ascoltate Compari, divertitevi con noi
in quest’assurda storia dal sapore tragicomico; ma no, che dico…
Eventi fantasmagorici vi
attendono!
Ah!
Mettetevi comodi, oh Amici & Amiche, Confidenti del Sabato Sera, Adoratori della
Varechina…
Rilassatevi dunque…
Oggi voglio parlarvi della straordinaria
REAZIONE
A CATENA
Il
nostro racconto comincia dunque in una tranquilla mattina di novembre, il sole
non è ancora alto e il vostro drugo preferito si è già alzato.
Guardatelo.
Così, mezzo vestito mezzo no, con un paio di boxer grigi bucati sul culo
e la ciabatta infilata sul piede sinistro (l’altro piede è scalzo).
Osservatelo.
Ricorda uno zombie, a vederlo in questo
stato. Lo sguardo, Adoratori della Notte, non è dei più svegli: l’occhio
sinistro pende un pochino a destra e l’occhio destro è ancora chiuso, a
mezz’asta; la bocca è meglio non si apra, tanto l’alito puzza. Ha la barba
sfatta e una mosca birichina gli ronza attorno.
Forse puzza?
Il suo prode amico Ganesh, fido partner
di mille avventure, lo segue in silenzio, biasimando l’aver scelto proprio Elia
Mangiaboschi come compagno umano.
Elia Mangiaboschi viene definito da Ganesh uno “stolto”, uno “stolto
umano senza cervello”. E, a vederlo adesso, il buon Elia sembra proprio non
averlo un cervello.
Ma chi, tra di voi, non potrebbe riconoscersi in questo giovane
trentenne di belle speranze? Chi, al sicuro tra le quattro mura domestiche, non
si lascia almeno un poco andare all’abbrutimento? E poi il nostro amico non
vive solo, ha un coinquilino che i più ormai conoscono come il Disoccupato, lo
Sfigato, il Nullafacente. Il suo cognome echeggia nei cunicoli oscuri delle
cooperative che lavorano con i disabili, i presidenti (così come le segretarie)
scappano al solo sentire il suo nome. Il suo curriculum ha fatto il giro del
mondo ed è tornato indietro. È Simone, un tempo uomo, ormai ridotto ad uno
stadio larvale da dipendenza da PlayStation. Ovvio che il povero Elia sia
quantomeno stanco. Va al supermercato,
cucina, pulisce, intrattiene conversazioni con il vicinato, parla con Anda la
portinaia, fa le lavatrici. Ma non lasciatevi scoraggiare, piuttosto, continuate
ad osservarlo; è come voi in fondo, stesso viso, stessi problemi. Mangia,
lavora, dorme. Anche adesso, ammiratelo mentre arranca in cucina alla ricerca
della moka per preparare il caffè. È un abitudinario, un paranoico maniacale
abitudinario. Spalma la cioccolata alla nocciola del discount sulla fetta di
pane (in piedi), aspetta che il caffè esca, poi lo versa nella tazzina bianca
(quella con il gatto disegnato), aggiunge il latte e lo zucchero, gira la
sigaretta con il tabacco Pall Mall, mangia, beve il caffè, accende il computer
e fuma. Adora la sigaretta di prima mattina. Dà lunghe boccate, piacevoli e
appaganti. Lo sapete non è vero Fumatori Seriali? La prima sigaretta è la più
bella.
Poi arriva lo stimolo, tutte le mattine, ogni mattina.
Cachiamo. Ogni essere umano lo fa. Gli
attori di Hollywood lo fanno, le star della televisione lo fanno e anche i
bellissimi modelli patinati lo fanno. Perfino Angelina Jolie lo fa. Inutile
nasconderlo. Noi pisciamo, cachiamo, ci puliamo il culo, scoreggiamo, ci
scaccoliamo. Solo che non lo diciamo, ci piace non farlo vedere. Come le
caccole, le produciamo in serie e le appiccichiamo nei posti più nascosti.
Elia lo fa.
Elia, tutte le mattine, ha lo stimolo.
Adora il momento del bagno, lo riempie di malinconica filosofia, lo
contestualizza certo, però eccome se lo ammira. Non ne parla volentieri, come
voi del resto. Ma Elia, Signore & Signori, caca.
Così si trascina in bagno, il sorriso stampato sul viso, il sapore del
tabacco ancora in bocca, si abbassa i boxer e si siede sulla tazza, la rivista
già in mano.
«Ahhh», geme soddisfatto.
Plof
«Uh!»
Prot
«Hmmm».
Sprat
Aspetta altri cinque minuti, poi posa la
rivista. Si alza e si pulisce.
Tira lo sciacquone.
«Cazzo», dice.
Tira di nuovo lo sciacquone.
«Cazzo», ripete.
Una sgommata di merda rimane salda sulla
tazza.
“Simone le odia le macchie”, pensa.
Afferra lo spazzolone del cesso e
gratta.
Niente.
Ancora, con più forza.
Inutile.
«Cristo!»
Adesso suda.
Guardatelo, così concentrato, mentre
prova a pulire la sua cacca. Ammiratelo in questo sforzo titanico, il muscolo
teso, le mutande mezze tirate giù, il viso contratto in una smorfia di dolore.
«Hug!»
Sì, emette strani versi, sa che dovrà
pulire tutto prima che Simone si svegli.
Ma la striscia non vuole andare via, rimane incastrata a bordo tazza,
solida e marrone al punto giusto.
«Cibo dimmerda! A comprare le robe al discount poi vedi cosa ti succede»
«Te lo dico sempre Elia, te lo dico sempre. La vostra società, il vostro
mondo, è destinato a fallire a causa del cibo che consumate. Cibo in scatola,
prodotti surgelati, frutta transgenica. Oggi è la cacca ad essere dura, domani
sarà la tua testa».
«Aiutami stupido elefante! Dobbiamo togliere la chiazza!»
«Premi di più! Premi di più! Mettici un po’ di forza in quelle braccine!»
Elia non molla, ringalluzzito dalle
parole del suo amico Ganesh strofina con ancora più forza.
«Sono stanco».
«Resisti, la stanchezza è dei pigri!»
«Ma io sono pigro!»
La sgommata non va via, anzi, sembra
essersi espansa su tutta la tazza. Elia guarda l’ora, tra poco il suo
coinquilino si sveglierà.
«Okay Mangiaboschi. Non aver paura, prendi la carta, infila la mano e
ogni cosa si aggiusterà».
«Ma fa schifo».
«La salvezza del cesso è nella tue mani!»
Elia raccoglie la carta igienica, la
gira più volte.
«I guanti?»
«E tu, stupida bioforma, credi veramente di avere guanti a casa? Non
ricordi, rimandasti l’acquisto al dopo, cito testualmente: ‘Quando saremo
ricchi potremmo permetterci i guanti rosa’. Le azioni di ieri si ripercuotono
sul presente, sempre».
Ma Elia non si dà per vinto, eccolo infatti cercare ovunque. Nei
cassetti, sotto al tappeto, nel cesto dei panni sporchi; guardatelo come tira
fuori ogni singolo vestito puzzolente lanciandolo a terra, ricordandosi della
lavatrice imminente.
«Rimettili nel cesto Mangiaboschi.», gli dice Ganesh.
«Dopo! Non vedi che sono impegnato?»
Quante volte vi è capitato di cercare
una cosa che, ahinoi, non riuscite a trovare? Quante volte avete rimpianto
l’acquisto non acquistato? Il prodotto non preso? Ora pensate ad Elia, il sole
è da poco sorto, gli uccellini cinguettano felici, il ritardo al lavoro è cosa
sempre più ovvia. Eccolo, il baricentro spostato a sinistra, i boxer che calano
ad ogni movimento, i panni sporchi sparsi sul pavimento del bagno, la tazza
incrostata di feci.
Trottola
quasi, rassegnato ormai all’evidenza: dovrà infilare la mano nel wc e
strofinare con la carta i suoi escrementi fino a farli scomparire.
«Ce la posso fare», dice.
«Chi siamo noi?», urla Ganesh.
«I Pulisci Cesso!», risponde Elia.
«E cosa vogliamo?»
«PULIRE PULIRE PULIRE!»
La mano è dentro, un conato di vomito
improvviso, la bocca si gonfia, la cena del giorno prima viene prontamente
rimandata giù.
Scartavetra.
«Non va via Cristo!»
«Hai impiegato troppo tempo! Ormai è secca! Rimarrà per sempre lì, i tuoi
figli avranno un piacevole ricordo di te. Il mondo intero verrà a sapere della
tua cacata!»
«Non è detta l’ultima parola!»
Elia affonda lo spazzolone, un colpo
secco, deciso.
Grattugia.
La fronte si riempie di sudore.
«Forza!»
Lo alza. «No», piange.
Le punte di plastica sono avvolte di
carta, ogni punta, ogni filamento. Carta & merda.
«Come farò?», frigna. «Diventerò lo zimbello del quartiere, no, della
città, no, del mondo intero!»
«È la fine mio buon amico, la fine. Oscure leggende si narrano al
riguardo. Interi regni distrutti, mondi sommersi. Atlantide addirittura. Per
non parlare di Gianni Morandi».
«Brigata Gianni Morandi!»
«Presente!»
«No! Io sono Elia Mangiaboschi, figlio di…»
«Zitto sciocco! Ho un’idea!»
«…»
«Piero Manzoni fu il primo ad avere il tuo stesso problema, ne ricavò
una vera e propria opera d’arte».
«Era cacca».
«Sì, ma decontestualizzata…»
«Pensa allora ad Adolf Hitler…»
«…»
«A George Bush!»
«…»
«A Jodorowsky!»
«…»
«A Spiderman!»
«Non avevi un’idea?»
«Ah già, me lo ha insegnato mia madre Parvati, fu lei ad inventare la candeggina…»
«Ohhh…»
«Era una notte di luna piena, mio piccolo amico, il lupo ululava e
l’uomo, così come lo conosciamo, muoveva i suoi primi passi…»
«Non c’è tempo ora!»
Elia corre in cucina, capitombola sul
tappetino, si rialza, osservando il ginocchio appena sbucciato, bestemmia due
volte, apre il cassetto (quello sotto il lavandino, quello rotto, con la
tendina verde al posto dello sportello), ed estrae la candeggina.
«Sacra candeggina, amica di
ogni malanno, solo tu puoi salvarmi!»
La candeggina
lo guarda ammaliata (e ammaliante).
«Da sola», spiega Ganesh, «distruggerà ogni cosa e impuzzolentirà tutto!
Aggiungi il sapone!»
«Il sapone sì!»
Ah! Buon vecchio Elia… rimarreste di
certo ipnotizzati davanti al suo coraggio, all’amore che nutre nei confronti
del focolare domestico, alla paura irrazionale verso il suo coinquilino.
Scrutatelo dunque con occhi buoni, velati di un pizzico di compassione; eccolo
davanti alla tazza, la candeggina in una mano, il sapone nell’altra.
«FALLO!», ordina Ganesh.
Come non dar retta ad un dio? Come
rifiutare il suo volere?
Elia, mago novello, versa la candeggina
e il sapone.
«Un tappo di candeggina e uno
di sapone, ce la farò!»
Un rumore sordo.
Forte.
Quasi un blop.
I liquidi si amalgamano in un vortice demoniaco
e malefico. Corrono giù e risalgono, sempre più forti.
«Cos’è?»
«Che sapone hai usato?»
«Quello del Todis».
«No! È la fine! Moriremo tutti!»
Dal wc un fumo si alza lento,
improvviso, tenace.
La gola si fa secca, ogni cosa diventa grigia, gli occhi lacrimano, come
se mille poliziotti avessero lanciato mille lacrimogeni.
È l’inferno.
«Presto! Tira lo sciacquone!»
Elia tossisce cedendo sulle gambe, il
ginocchio pulsa, chiude la porta prima che il fumo invada la casa intera; poi è
davanti al water, le forze vanno via allontanandosi veloci, la nebbia chimica conquista
ogni cosa.
“Non posso morire così”, pensa.
Un ultimo sforzo. La mano trema, il
pulsante ad un centimetro da lui. Preme.
Il cesso rutta.
L’acqua sale.
Ogni cosa sale.
«Oh oh», dice Elia.
Dal gabinetto sgorga la carta la merda
la candeggina il piscio, invade i bordi e cola a gocce.
Plink, geme la goccia.
Plink
Elia prende la ventosa e infila tutto il
braccio nella merda. Preme una due tre volte.
Il mix di escrementi scende giù,
salvandolo.
«Evvai!», urla, la mano sporca di cacca e pipì.
Ospitiamo adesso un breve intervento del
professor Wiles:
Bene.
Notate il movimento del Mangiaboschi tra il momento che chiameremo A e
il momento che chiameremo B:
Mangiaboschi, nel momento A, preso da
sano ottimismo, si alza di scatto, per urlare la sua vittoria; nel farlo la
gamba sinistra, in una rotazione di centottanta gradi, colpisce la bottiglia di
candeggina. Siamo ora al momento B. La gamba
sinistra del suddetto, in seguito alla rotazione, inavvertitamente picchia la
bottiglia; la bottiglia, creando un arco perfetto di novanta gradi, rotola a
terra, spargendo il suo contenuto sui vestiti sporchi che, precedentemente, il
Soggetto aveva lanciato a terra.
Elia si blocca, guardando la scena a rallentatore, come fosse un film.
Ogni vestito (suo e di Simone) viene colpito dalla candeggina che ogni cosa può. Se il nostro amico avesse avuto
sedici anni forse, e dico forse, questo accostamento hippie gli sarebbe anche
piaciuto ma ormai Elia è grande, ha trent’anni o giù di lì, ha un lavoro
rispettabile e paga le tasse, quindi capirete la sua faccia.
Sbava.
Alle sue spalle, intanto, il cesso ha
ripreso a fumare.
Di nuovo, Elia crolla a terra, il ginocchio sbucciato sulla candeggina. Urla, la candeggina gli corrode la ferita. Si
alza di scatto, troppo di scatto e
sbatte la testa sulla mensola, dalla mensola cascano: lo sciampo, la schiuma da
barba, il deodorante ai Sapori d’Oriente, le lenti a contatto (di chi saranno
poi?), una borraccia d’acqua, tre gattini in porcellana (di Simone) che si
rompono in mille pezzi, un vaso contenente due fiori: una rosa secca (regalata
cinque anni prima da una ragazza conosciuta in biblioteca e mai più vista) e un
garofano (regalato da un ragazzo a cui era stata sottratta la ragazza della
biblioteca per due ore al parchetto sotto, appunto, la biblioteca), una scatola
contenente forbici, pinzette e tagliaunghie, due libri di cucina, un presepe in
miniatura senza Gesù (opera di un amico -morto- di Simone), un quaderno a righe
con mille appunti, una giraffa di vetro di Murano, un posacenere di coccio
nepalese, lo stereo. Ogni cosa finisce a terra. Elia sguazza nella merda, nella
candeggina, tra i vetri rotti e il
sapone del discount. È rosso di rabbia, il ginocchio gli duole e il fumo gli
smorza il respiro.
Lo stereo fluttua nell’aria, come fosse una magia. Il filo
dell’elettricità non si stacca dalla presa; Elia osserva il volo e ascolta le
note della musica invisibile, un walzer quasi sussurrato. Otto volteggi, due
capriole, una giravolta. Poi è a terra. Si apre in due ma rimane attaccato alla
spina. La melma lo avvolge. Una scintilla. L’elettricità va via con un suono secco
e deciso.
Elia tossisce un poco.
Ganesh rimane in religioso silenzio.
Guardatelo un ultima volta, questo
giovane ragazzo di belle speranze, veneratelo sì, così a terra, il ginocchio
martoriato, completamente sporco di merda e candeggina,
i vestiti in una mano, mezzo stereo nell’altra, al buio, coperto solo da un
paio di boxer ormai da buttare, avvolto nel fumo, completamente solo, il suo
amico che ancora dorme, ignaro di tutto… e poi, solo poi, capirete.
Elia si alza aggrappandosi al cesso e urla, finalmente urla e il suo
urlo, Signori & Signore, sveglia tutto il vicinato che, in men che non si
dica, bussa alla porta dell’appartamento per ammirare quanto è successo.
E adesso…
la
giornata può cominciare.
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