lunedì 10 novembre 2014

REAZIONE A CATENA

Nota dell’autore:
Premesso che odio parlare di me in terza persona, ‘sto raccontino è uscito così (sarà forse l’argomento, come dire, scottante), quindi, non me ne vogliate…

  Ordunque,
  è giunto il momento di narrarvi la più ardita tra le avventure…
  Stupefacente!
  Incredibile!
  Sen-sa-zio-na-le!
Ascoltate Compari, divertitevi con noi in quest’assurda storia dal sapore tragicomico; ma no, che dico…
Eventi fantasmagorici vi attendono!
  Ah!
Mettetevi comodi, oh Amici & Amiche, Confidenti del Sabato Sera, Adoratori della Varechina…
  Rilassatevi dunque…
Oggi voglio parlarvi della straordinaria
REAZIONE A CATENA
  Il nostro racconto comincia dunque in una tranquilla mattina di novembre, il sole non è ancora alto e il vostro drugo preferito si è già alzato.
  Guardatelo.
  Così, mezzo vestito mezzo no, con un paio di boxer grigi bucati sul culo e la ciabatta infilata sul piede sinistro (l’altro piede è scalzo).
  Osservatelo.
Ricorda uno zombie, a vederlo in questo stato. Lo sguardo, Adoratori della Notte, non è dei più svegli: l’occhio sinistro pende un pochino a destra e l’occhio destro è ancora chiuso, a mezz’asta; la bocca è meglio non si apra, tanto l’alito puzza. Ha la barba sfatta e una mosca birichina gli ronza attorno.
  Forse puzza?
Il suo prode amico Ganesh, fido partner di mille avventure, lo segue in silenzio, biasimando l’aver scelto proprio Elia Mangiaboschi come compagno umano.
  Elia Mangiaboschi viene definito da Ganesh uno “stolto”, uno “stolto umano senza cervello”. E, a vederlo adesso, il buon Elia sembra proprio non averlo un cervello.
  Ma chi, tra di voi, non potrebbe riconoscersi in questo giovane trentenne di belle speranze? Chi, al sicuro tra le quattro mura domestiche, non si lascia almeno un poco andare all’abbrutimento? E poi il nostro amico non vive solo, ha un coinquilino che i più ormai conoscono come il Disoccupato, lo Sfigato, il Nullafacente. Il suo cognome echeggia nei cunicoli oscuri delle cooperative che lavorano con i disabili, i presidenti (così come le segretarie) scappano al solo sentire il suo nome. Il suo curriculum ha fatto il giro del mondo ed è tornato indietro. È Simone, un tempo uomo, ormai ridotto ad uno stadio larvale da dipendenza da PlayStation. Ovvio che il povero Elia sia quantomeno stanco. Va al supermercato, cucina, pulisce, intrattiene conversazioni con il vicinato, parla con Anda la portinaia, fa le lavatrici. Ma non lasciatevi scoraggiare, piuttosto, continuate ad osservarlo; è come voi in fondo, stesso viso, stessi problemi. Mangia, lavora, dorme. Anche adesso, ammiratelo mentre arranca in cucina alla ricerca della moka per preparare il caffè. È un abitudinario, un paranoico maniacale abitudinario. Spalma la cioccolata alla nocciola del discount sulla fetta di pane (in piedi), aspetta che il caffè esca, poi lo versa nella tazzina bianca (quella con il gatto disegnato), aggiunge il latte e lo zucchero, gira la sigaretta con il tabacco Pall Mall, mangia, beve il caffè, accende il computer e fuma. Adora la sigaretta di prima mattina. Dà lunghe boccate, piacevoli e appaganti. Lo sapete non è vero Fumatori Seriali? La prima sigaretta è la più bella.
  Poi arriva lo stimolo, tutte le mattine, ogni mattina.
Cachiamo. Ogni essere umano lo fa. Gli attori di Hollywood lo fanno, le star della televisione lo fanno e anche i bellissimi modelli patinati lo fanno. Perfino Angelina Jolie lo fa. Inutile nasconderlo. Noi pisciamo, cachiamo, ci puliamo il culo, scoreggiamo, ci scaccoliamo. Solo che non lo diciamo, ci piace non farlo vedere. Come le caccole, le produciamo in serie e le appiccichiamo nei posti più nascosti.
  Elia lo fa.
Elia, tutte le mattine, ha lo stimolo. Adora il momento del bagno, lo riempie di malinconica filosofia, lo contestualizza certo, però eccome se lo ammira. Non ne parla volentieri, come voi del resto. Ma Elia, Signore & Signori, caca.
  Così si trascina in bagno, il sorriso stampato sul viso, il sapore del tabacco ancora in bocca, si abbassa i boxer e si siede sulla tazza, la rivista già in mano.
  «Ahhh», geme soddisfatto.
  Plof
  «Uh!»
  Prot
  «Hmmm».
  Sprat
Aspetta altri cinque minuti, poi posa la rivista. Si alza e si pulisce.
  Tira lo sciacquone.
  «Cazzo», dice.
  Tira di nuovo lo sciacquone.
  «Cazzo», ripete.
Una sgommata di merda rimane salda sulla tazza.
  “Simone le odia le macchie”, pensa.
Afferra lo spazzolone del cesso e gratta.
  Niente.
Ancora, con più forza.
  Inutile.
  «Cristo!»
Adesso suda.
Guardatelo, così concentrato, mentre prova a pulire la sua cacca. Ammiratelo in questo sforzo titanico, il muscolo teso, le mutande mezze tirate giù, il viso contratto in una smorfia di dolore.
  «Hug!»
Sì, emette strani versi, sa che dovrà pulire tutto prima che Simone si svegli.
  Ma la striscia non vuole andare via, rimane incastrata a bordo tazza, solida e marrone al punto giusto.
  «Cibo dimmerda! A comprare le robe al discount poi vedi cosa ti succede»
  «Te lo dico sempre Elia, te lo dico sempre. La vostra società, il vostro mondo, è destinato a fallire a causa del cibo che consumate. Cibo in scatola, prodotti surgelati, frutta transgenica. Oggi è la cacca ad essere dura, domani sarà la tua testa».
  «Aiutami stupido elefante! Dobbiamo togliere la chiazza!»
  «Premi di più! Premi di più! Mettici un po’ di forza in quelle braccine!»
Elia non molla, ringalluzzito dalle parole del suo amico Ganesh strofina con ancora più forza.
  «Sono stanco».
  «Resisti, la stanchezza è dei pigri!»
  «Ma io sono pigro!»
La sgommata non va via, anzi, sembra essersi espansa su tutta la tazza. Elia guarda l’ora, tra poco il suo coinquilino si sveglierà.
  «Okay Mangiaboschi. Non aver paura, prendi la carta, infila la mano e ogni cosa si aggiusterà».
  «Ma fa schifo».
  «La salvezza del cesso è nella tue mani!»
Elia raccoglie la carta igienica, la gira più volte.
  «I guanti?»
  «E tu, stupida bioforma, credi veramente di avere guanti a casa? Non ricordi, rimandasti l’acquisto al dopo, cito testualmente: ‘Quando saremo ricchi potremmo permetterci i guanti rosa’. Le azioni di ieri si ripercuotono sul presente, sempre».
  Ma Elia non si dà per vinto, eccolo infatti cercare ovunque. Nei cassetti, sotto al tappeto, nel cesto dei panni sporchi; guardatelo come tira fuori ogni singolo vestito puzzolente lanciandolo a terra, ricordandosi della lavatrice imminente.
  «Rimettili nel cesto Mangiaboschi.», gli dice Ganesh.
  «Dopo! Non vedi che sono impegnato?»
Quante volte vi è capitato di cercare una cosa che, ahinoi, non riuscite a trovare? Quante volte avete rimpianto l’acquisto non acquistato? Il prodotto non preso? Ora pensate ad Elia, il sole è da poco sorto, gli uccellini cinguettano felici, il ritardo al lavoro è cosa sempre più ovvia. Eccolo, il baricentro spostato a sinistra, i boxer che calano ad ogni movimento, i panni sporchi sparsi sul pavimento del bagno, la tazza incrostata di feci.
  Trottola quasi, rassegnato ormai all’evidenza: dovrà infilare la mano nel wc e strofinare con la carta i suoi escrementi fino a farli scomparire.
  «Ce la posso fare», dice.
  «Chi siamo noi?», urla Ganesh.
  «I Pulisci Cesso!», risponde Elia.
  «E cosa vogliamo?»
  «PULIRE PULIRE PULIRE!»
La mano è dentro, un conato di vomito improvviso, la bocca si gonfia, la cena del giorno prima viene prontamente rimandata giù.
  Scartavetra.
  «Non va via Cristo!»
  «Hai impiegato troppo tempo! Ormai è secca! Rimarrà per sempre lì, i tuoi figli avranno un piacevole ricordo di te. Il mondo intero verrà a sapere della tua cacata!»
  «Non è detta l’ultima parola!»
Elia affonda lo spazzolone, un colpo secco, deciso.
  Grattugia.
  La fronte si riempie di sudore.
  «Forza!»
  Lo alza. «No», piange.
Le punte di plastica sono avvolte di carta, ogni punta, ogni filamento. Carta & merda.
  «Come farò?», frigna. «Diventerò lo zimbello del quartiere, no, della città, no, del mondo intero!»
  «È la fine mio buon amico, la fine. Oscure leggende si narrano al riguardo. Interi regni distrutti, mondi sommersi. Atlantide addirittura. Per non parlare di Gianni Morandi».
  «Brigata Gianni Morandi!»
  «Presente!»
  «No! Io sono Elia Mangiaboschi, figlio di…»
  «Zitto sciocco! Ho un’idea!»
  «…»
  «Piero Manzoni fu il primo ad avere il tuo stesso problema, ne ricavò una vera e propria opera d’arte».
  «Era cacca».
  «Sì, ma decontestualizzata…»
  «Pensa allora ad Adolf Hitler…»
  «…»
  «A George Bush!»
  «…»
  «A Jodorowsky!»
  «…»
  «A Spiderman!»
  «Non avevi un’idea?»
  «Ah già, me lo ha insegnato mia madre Parvati, fu lei ad inventare la candeggina…»
  «Ohhh…»
  «Era una notte di luna piena, mio piccolo amico, il lupo ululava e l’uomo, così come lo conosciamo, muoveva i suoi primi passi…»
  «Non c’è tempo ora!»
Elia corre in cucina, capitombola sul tappetino, si rialza, osservando il ginocchio appena sbucciato, bestemmia due volte, apre il cassetto (quello sotto il lavandino, quello rotto, con la tendina verde al posto dello sportello), ed estrae la candeggina.
  «Sacra candeggina, amica di ogni malanno, solo tu puoi salvarmi!»
La candeggina lo guarda ammaliata (e ammaliante).
  «Da sola», spiega Ganesh, «distruggerà ogni cosa e impuzzolentirà tutto! Aggiungi il sapone!»
  «Il sapone sì!»
Ah! Buon vecchio Elia… rimarreste di certo ipnotizzati davanti al suo coraggio, all’amore che nutre nei confronti del focolare domestico, alla paura irrazionale verso il suo coinquilino. Scrutatelo dunque con occhi buoni, velati di un pizzico di compassione; eccolo davanti alla tazza, la candeggina in una mano, il sapone nell’altra.
  «FALLO!», ordina Ganesh.
Come non dar retta ad un dio? Come rifiutare il suo volere?
  Elia, mago novello, versa la candeggina e il sapone.
  «Un tappo di candeggina e uno di sapone, ce la farò!»
Un rumore sordo.
Forte.
Quasi un blop.
I liquidi si amalgamano in un vortice demoniaco e malefico. Corrono giù e risalgono, sempre più forti.
  «Cos’è?»
  «Che sapone hai usato?»
  «Quello del Todis».
  «No! È la fine! Moriremo tutti!»
Dal wc un fumo si alza lento, improvviso, tenace.
  La gola si fa secca, ogni cosa diventa grigia, gli occhi lacrimano, come se mille poliziotti avessero lanciato mille lacrimogeni.
  È l’inferno.
  «Presto! Tira lo sciacquone!»
Elia tossisce cedendo sulle gambe, il ginocchio pulsa, chiude la porta prima che il fumo invada la casa intera; poi è davanti al water, le forze vanno via allontanandosi veloci, la nebbia chimica conquista ogni cosa.
  “Non posso morire così”, pensa.
Un ultimo sforzo. La mano trema, il pulsante ad un centimetro da lui. Preme.
  Il cesso rutta.
  L’acqua sale.
  Ogni cosa sale.
  «Oh oh», dice Elia.
Dal gabinetto sgorga la carta la merda la candeggina il piscio, invade i bordi e cola a gocce.
  Plink, geme la goccia.
  Plink
Elia prende la ventosa e infila tutto il braccio nella merda. Preme una due tre volte.
Il mix di escrementi scende giù, salvandolo.
  «Evvai!», urla, la mano sporca di cacca e pipì.
Ospitiamo adesso un breve intervento del professor Wiles:
Bene. Notate il movimento del Mangiaboschi tra il momento che chiameremo A e il momento che chiameremo B:
  Mangiaboschi, nel momento A, preso da sano ottimismo, si alza di scatto, per urlare la sua vittoria; nel farlo la gamba sinistra, in una rotazione di centottanta gradi, colpisce la bottiglia di candeggina. Siamo ora al momento B. La gamba sinistra del suddetto, in seguito alla rotazione, inavvertitamente picchia la bottiglia; la bottiglia, creando un arco perfetto di novanta gradi, rotola a terra, spargendo il suo contenuto sui vestiti sporchi che, precedentemente, il Soggetto aveva lanciato a terra.
  Elia si blocca, guardando la scena a rallentatore, come fosse un film. Ogni vestito (suo e di Simone) viene colpito dalla candeggina che ogni cosa può. Se il nostro amico avesse avuto sedici anni forse, e dico forse, questo accostamento hippie gli sarebbe anche piaciuto ma ormai Elia è grande, ha trent’anni o giù di lì, ha un lavoro rispettabile e paga le tasse, quindi capirete la sua faccia.
  Sbava.
Alle sue spalle, intanto, il cesso ha ripreso a fumare.
  Di nuovo, Elia crolla a terra, il ginocchio sbucciato sulla candeggina. Urla, la candeggina gli corrode la ferita. Si alza di scatto, troppo di scatto e sbatte la testa sulla mensola, dalla mensola cascano: lo sciampo, la schiuma da barba, il deodorante ai Sapori d’Oriente, le lenti a contatto (di chi saranno poi?), una borraccia d’acqua, tre gattini in porcellana (di Simone) che si rompono in mille pezzi, un vaso contenente due fiori: una rosa secca (regalata cinque anni prima da una ragazza conosciuta in biblioteca e mai più vista) e un garofano (regalato da un ragazzo a cui era stata sottratta la ragazza della biblioteca per due ore al parchetto sotto, appunto, la biblioteca), una scatola contenente forbici, pinzette e tagliaunghie, due libri di cucina, un presepe in miniatura senza Gesù (opera di un amico -morto- di Simone), un quaderno a righe con mille appunti, una giraffa di vetro di Murano, un posacenere di coccio nepalese, lo stereo. Ogni cosa finisce a terra. Elia sguazza nella merda, nella candeggina, tra i vetri rotti e il sapone del discount. È rosso di rabbia, il ginocchio gli duole e il fumo gli smorza il respiro.
  Lo stereo fluttua nell’aria, come fosse una magia. Il filo dell’elettricità non si stacca dalla presa; Elia osserva il volo e ascolta le note della musica invisibile, un walzer quasi sussurrato. Otto volteggi, due capriole, una giravolta. Poi è a terra. Si apre in due ma rimane attaccato alla spina. La melma lo avvolge. Una scintilla. L’elettricità va via con un suono secco e deciso.
  Elia tossisce un poco.
  Ganesh rimane in religioso silenzio.
Guardatelo un ultima volta, questo giovane ragazzo di belle speranze, veneratelo sì, così a terra, il ginocchio martoriato, completamente sporco di merda e candeggina, i vestiti in una mano, mezzo stereo nell’altra, al buio, coperto solo da un paio di boxer ormai da buttare, avvolto nel fumo, completamente solo, il suo amico che ancora dorme, ignaro di tutto… e poi, solo poi, capirete.
  Elia si alza aggrappandosi al cesso e urla, finalmente urla e il suo urlo, Signori & Signore, sveglia tutto il vicinato che, in men che non si dica, bussa alla porta dell’appartamento per ammirare quanto è successo.
  E adesso…
  la giornata può cominciare.

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