martedì 3 giugno 2014

UN ARZILLO VECCHIETTO




  Oggi voglio raccontarvi una storia che mi ha raccontato mio padre, riguarda un suo amico, o un amico di un amico, o un amico di un amico di un amico, non ho capito bene. Ora, mio padre romanza e dice balle e anche io romanzo e dico balle (d’altra parte lui è mio  padre e io sono suo figlio) quindi, la storia, prendetela con le pinze. Ma tant’è.

  Il signor Umberto Pezzetti è un arzillo vecchietto dall’aspetto amichevole con la barba bianca e i capelli alla Einstein; un bel signore, un  fumatore incallito di tabacco e sigari cubani; un gran bevitore, Amici miei, un buon whisky, un sorso e un goccio d’acqua.
  Il signor Umberto ha avuto tutto dalla vita. Una donna che ama alla follia, un ottimo lavoro -conta conta conta- e una passione smodata per la vecchia Fiat Cinquecento. La vecchia Fiat Cinquecento giallo canarino è il suo orgoglio. In un mondo popolato da automobili rosse 4x4 veloci e scattanti lui se ne va tranquillo con la sua macchinetta giocattolo -amore & cura-, rispetta i semafori e non ha problemi.
  Un buon uomo.
  Un anziano signore in pensione che passa le sue giornate a giocare a carte e a scrivere brevi articoli nostalgici per la piccola rivista di stampa alternativa “Galline Sovversive”. Un vecchietto ancora innamorato di Rachele, la sua compagna. Ohhh… Rachele, tesoro di felicità, le rughe non ti hanno rovinato, i tuoi occhi sono ancora così giovani, sei bella come quando ti ho conosciuto mi hai trasmesso così tanto ti amerò per sempre mio grande amore.
  L’unica cosa che Umberto rimpiange.
Il sogno di Umberto e Rachele è quello di andare a vivere in un’isoletta piccola piccola dove fa sempre caldo, lì vorrebbero aprire un bar e che so, cucinare pasta, lì vorrebbero passare gli ultimi anni prima del Grande Viaggio. Lì. Gli piacerebbe certo ma il mondo non va avanti con i sogni, va avanti con i soldi. Soldi i due, ahimè, non ne hanno ché lui ha una pensione troppo bassa e Rachele, Rachele la pensione proprio non ce l’ha.
  Insomma, Umberto se ne sta tranquillo seduto gustandosi il suo tè alla pesca delle sei del pomeriggio nella piccola ma familiare sala da tè che si chiama “Il Profumo”. Gli piace passare qualche ora seduto a studiare i  giovani e a gustare il tè. Gli piace il brusio. «È la miglior musica», dice sempre, «la miglior musica per scrivere buoni articoli». Adora la gentilezza delle cameriere che ormai lo conoscono da una vita e lo chiamano ancora Signore. Umberto pensa ala sua isola, l’unica cosa che rimpiange.
  La sera Umberto e Rachele vanno al cinema o a cena fuori, non restano quasi mai a casa. La notte è sempre stata il loro mondo e certo da giovani potevano permettersi orari ben più lunghi e guardare albe rosate ma adesso l’età un pochino si fa sentire e loro due sono giovani nello spirito ma il corpo, il corpo cede ad un certo punto, ha bisogno di riposo. Umberto e Rachele con la vecchiaia hanno scoperto il teatro e Rachele ha pure recitato in uno spettacolo surrealista e non è che ci abbia capito molto.
  Umberto beve il suo tè sfogliando il giornale e legge un articolo su una rapina andata male  e finalmente ha un idea, sa dove procurarsi la grana e come partire.
Così, quasi di corsa, esce da “Il Profumo” e corre, sfrecciando addirittura, verso casa.
  Spalanca la porta, il fiatone prepotente della terza età e raggiunge saltellando Rachele. Lei fa un urlo quando lo vede, «Mi hai spaventata!», dice ansimando, «Che c’è? Cosa ti è successo?»
  «Ho trovato!»
  «Trovato cosa
  «Trovato il modo di far soldi!»
Rachele adesso lo guarda interessata.

  Il piano di Umberto è semplice, rapinare una banca. Rapinare una banca non è impresa facile ma se ci riesci, allora diventi una persona ricca; certo, mica prendere i soldi della camera blindata, quello è impossibile. Ma le casse. Le casse sì, soprattutto se conosci un certo tipo scienziato ebreo scampato ai nazisti ormai vecchio che ha costruito una particolare pistola di plastica che non viene rilevata dai sensori e che sembra un portachiavi anzi un accendino. E, guarda caso, questo scienziato mezzo matto è il miglior amico di Umberto. Si sono conosciuti un giorno prima di lanciarsi col paracadute e scendere in picchiata. Si sono conosciuti e Umberto gli è stato molto vicino quando è morta sua moglie. La vecchiaia, la vecchiaia ti porta via le persone care.
  Rachele è preoccupata e divertita, il suo uomo è sempre stato un po’ matto.
  «Ma in fondo, che importanza ha».
Anche lei se ne vuole andare, vuole fuggire. Sente la Signora Morte che si avvicina ogni giorno di più. La sente, vuole consumare i suoi ultimi giorni felice, in un bel posto con il sole tondo e il mare che le accarezza i piedi. Vuole morire sotto un albero con gli uccellini che cinguettano,  nel suo bar sperduto in mezzo all’oceano e non in una città. Non nella sua città, ricca capitalista consumista. Vuole la natura, la natura e le foglie e il verde vero che non ha mai visto. Vuole ricordarsi del mondo, vuole la sua oasi, il paradiso di felicità e non la puzza lo smog le macchine i ricchi i barboni le guerre. Vuole morire felice insomma. Non vuole invecchiare e sente sente che sta invecchiando. È scorbutica e guarda i giovani con occhi diversi e guarda il mondo con occhi stanchi. Desidera chiudere gli occhi, addormentarsi felice con la spiaggia dorata e il suo compagno vicino. Quindi, perché no. Facciamola questa rapina.

  È il venticinque maggio, il signor Giorgio sforna il pane, lo spazzino pulisce le strade, i bambini salgono sull’autobus e il conducente guarda la strada che conosce a memoria, due ragazzi -Eliana e Pino- si baciano un’ultima volta, il commesso apre il negozio di scarpe, l’uomo in giacca e cravatta sale sulla sua Mercedes e il figlio lo guarda dalla finestra, un barbone si accende una sigaretta facendo colazione con un sorso di gin, il lavavetri pulisce il vetro di una macchina blu e un topo sgattaiola tra i rifiuti. È il venticinque maggio e Rachele guarda il pendolo appeso al muro con impazienza.
  Sono le dieci e ventinove quando Umberto e Rachele escono di casa. Un ultimo bacio.
  Umberto mette in moto, la vecchia Cinquecento giallo canarino tossisce, scoppietta e parte improvvisa, emettendo un suono familiare alla coppia.
  Rachele ha paura.
Sono le undici e quaranta quando l’auto viene parcheggiata davanti alla banca, intorno poca gente.
  «Tieni acceso il motore», dice l’uomo.
La donna lo guarda un attimo e sorride.
  Umberto esce dalla Fiat Cinquecento e il cuore pulsa forte, accarezza un’ultima volta Rachele che si è messa al posto di guida. Cammina piano. Davanti a lui la banca si erge alta e minacciosa. Supera l’entrata, la doppia porta senza problemi, la guardia gli sorride, lui ricambia. Il vecchio tiene ben stretta la pistola in tasca. Un’ultima immagine del mare e il cuore in gola. L’adrenalina scorre veloce e gli occhi  si  stringono. È il momento. I pensieri si annullano, il tempo rallenta. Umberto  estrae  l’arma   di   scatto, «FERMI TUTTI, QUESTA E’ UNA RAPINA!», urla, come in un vecchio film anni cinquanta.
  La gente lo guarda perplessa, quasi divertita, come se non lo prendessero sul serio. Ed effettivamente la scena potrebbe ai più sembrare comica. Umberto punta la pistola contro una cassiera dai capelli rossi. In un secondo la donna vede scorrere tutta la sua vita davanti: la banca, il lavoro, il suo cane, l’uomo che non ha mai avuto, la monotonia della giornate, il caffè preso tutte le mattine, la solitudine, la casa troppo vuota. In un attimo la cassiera dai capelli rossi decide di licenziarsi e di iniziare una nuova vita, ha sempre adorato disegnare.
  «Tu!», urla il vecchio indicando un'altra cassiera, «I soldi! Prendi i soldi!»
  «Ma…»
  «Fallo!»
La donna, con mani tremanti, raccoglie il denaro depositato.
  «Mettilo in una busta, presto».
La cassiera segue alla lettera i consigli del rapinatore, una lacrima veloce le graffia il viso. «T… tenga…», singhiozza.
Umberto afferra veloce la busta, guarda la guardia grassoccia. Gli punta la pistola contro sorridendo, poi spara un colpo in aria e un po’ d’intonaco cade a terra. Una vecchia sviene, la gente urla.
  Il rapinatore esce di corsa dalla banca, voltandosi solo un secondo.
Corre stanco.
  Raggiunge la vecchia Cinquecento gialla. «Parti, presto!», grida a Rachele.
Lei mette la prima e la macchina si accende tossendo.

  Da un articolo apparso il ventisei maggio su “Metro”: “Un arzillo vecchietto, ieri, poco prima di mezzogiorno, è entrato in una filiale della banca, e, armato di una pistola di plastica, si è fatto consegnare da una cassiera tutto il denaro depositato, circa ottantamila euro. Dopo la rapina è riuscito a scappare, a bordo di una vecchia Fiat Cinquecento

  Umberto e Rachele (mi ha raccontato il babbo) vivono felici in un isoletta sperduta nell’Oceano Pacifico, stanno cercando di aprire un bar dove cucinare ottimi piatti di pasta all’italiana. Di notte restano svegli aspettando l’alba. Si baciano come quando avevano vent’anni.     

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