Allora, questo fine settimana sono partito
con alcuni tizi con cui lavoro. La gente di “Meccanic. A”, la famosa casa
editrice di ingegneri che si trova all’Eur, a Roma, in un bel palazzo futurista
a più piani (per inciso, io lavoro al Piano G). Il viaggio, amici lettori, come
avrete sicuramente intuito, non è stato di puro piacere. Una vacanza di lavoro,
una di quelle robe per far gruppo, creare équipe, affinità ecco. Cioè, con i
miei colleghi insomma. Io però, ad essere onesto, e con voi ne sono certo posso
esserlo, non è che ci vada molto d’accordo con i miei compagni di banco. Non
siamo affini. Non mi stanno
antipatici eh, no no, solo che non mi stanno neanche simpatici. Sono un po’
noiosi; ecco, l’ho detto. Comunque, non voglio tediarvi con le storie sui miei soci
(prima o poi lo farò), vi basti sapere che partiamo tutti insieme -quasi tutti,
il Principale no-. Vitto e alloggio pagato, aereo pagato -fucsia- e pure le
terme pagate. Andiamo a Budapest. Due giorni. Budapest è una città bellissima se
te la vivi con chi ti piace, ma tant’è. Di Budapest però non voglio parlare.
Piuttosto mi interessa raccontarvi quel che mi è successo alle terme.
Precisamente a Szechenyi. Quindi, cominciamo.
LE TERME
DI SZECHENYI
Solo.
Mi sento solo.
Ho voglia
di una sigaretta.
“Stanno tutti entrando”, mi dice la vocina
che mi frulla in testa, il criceto del cazzo che non si sta mai zitto.
C’è
l’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante, c’è Gina che ha le unghie più lunghe del
mondo, c’è Manolo e c’è il Signor Marco.
Eppoi ci sono io.
Io!
Che sto dietro, un tantinello defilato, il
pensiero della sigaretta appena rollata fisso nel cervello.
“Non puoi fumare”, sussurra il criceto.
Un passo
dietro l’altro.
Il Signor
Marco paga i biglietti.
Rimango in silenzio nel grande spogliatoio.
Gli altri parlano; io avrei voglia di parlare, di scambiare due chiacchiere, di
dialogare un minimo, ma proprio non ci riesco. Io ‘sta storia non vedo l’ora
che finisca. Voglio tornare a casa.
Mi spoglio. Il Signor Marco mi guarda. Lo so che
mi ha puntato, al lavoro ci prova in tutti i modi a scambiare due parole ma io
no, trovo sempre una scusa -una qualunque- per sviare. Però il Signor Marco è
un mio superiore e oggi, mio Dio, non posso evitarlo.
Si accomoda e sorride.
«Andiamo», dice
l’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante.
L’edificio
è grande, immenso, e le terme sono tantissime. Decine di vaschette piene
d’acqua calda. Trenta, quaranta e cinquanta gradi. Ci sono anche le saune. Io
odio le saune e odio il caldo e anche le terme (cioè, con loro, con i miei
colleghi insomma).
“Stai buono. Non essere sempre negativo,
vedrai che ti divertirai”, rotola il criceto.
Entro.
L’acqua è
calda, bollente.
Mi sento sciogliere.
Il Signor
Marco mi sorride e si siede accanto a me. «Ahhh», sbuffa.
Vapore.
Rimango
in silenzio. Basta non dargli confidenza, si stuferà presto.
I minuti passano.
Assoluto
silenzio, zen quasi; tangibile, forte, estremo, che si taglia con l’accetta.
Gli altri ridono, se io non rido il Signor Marco si annoierà. Annoiati. Annoiati
annoiati annoiati. E poi alzati. Ché inizio a sentire caldo.
Dovrei uscire, forse.
Muovo un
piede.
Altro che
caldo. Brucio. Mi sembra di bruciare.
Il Signor Marco mi fissa. «Mangiaboschi»,
dice, «che ne pensi?»
«Fantastico», biascico.
Macché fantastico,
io qui dentro ci muoio.
La pressione cala.
Il Signor
Marco mi guarda, mi guarda e sogghigna.
Non si annoia. No no.
È un mio
superiore.
«Fa bene alla pelle», gode.
Tutto
tranne che annoiato mi sembra.
Verranno a
prendermi i miei genitori e mi troveranno dentro una bara.
«Tu ed io parliamo poco», ammicca, «in città
non c’è mai tempo. Sempre di fretta, sempre di corsa, senza mai fermarci. In
città c’è il caos. Non come adesso. Adesso si sta bene».
«Budapest», tremo, «è una città».
«Mi riferisco alle terme…»
Sguardo
di sfida.
Devo
pagare l’affitto, da mangiare, le bollette.
Sorridi,
annuisci e resisti.
«Abbiamo avuto un buon fatturato quest’anno».
Oh no.
«Nonostante la crisi le vendite non sono
calate, l’ha notato anche il Principale».
Mi
sciolgo dentro.
«Sarà merito degli investitori.»
Gli
investitori no. Ti prego no.
Il caldo. Lo avverto.
Sudo.
Sudo
dentro l’acqua.
«L’investitore paga un certo prezzo di acquisto,
diciamo pari a cento, alla fine dell’anno valuta la propria posizione
utilizzando il prezzo di mercato dell’attività, la nostra attività e… è soddisfatto! Capisci Mangiaboschi?
So-ddi-sfa-tto!»
Uh?
Non ci capisco niente.
Devo alzarmi.
Il Signor
Marco mi blocca una gamba. «Dove vai?», chiede. «Devi resistere, altrimenti non
fa bene. Alla pelle dico».
Mi vuole morto, vuole piazzare qualcun altro
al mio posto, un suo amico certo, uno di quelli in giacca & cravatta. Uno qualunque.
Il vapore sale. Entrano ed escono gli uomini
e le donne. Entrano ed escono, entrano ed escono. Noi due restiamo qui, non ci
muoviamo, rimaniamo fermi, a scioglierci.
Forse potrei… riuscire a… sbloccare un dito.
Uno solo ti prego!
Niente. Non
riesco più a muovermi.
Zolfo, iodio, cloro, ferro, calcio.
Cristo aiuto.
Non respiro. Veramente.
Alzo lo
sguardo, leggo l’insegna intagliata sul marmo. “Quarantotto gradi”. Quarantotto gradi. Un forno cazzo.
«Asma, bronchite, sinusite, patologie della
pelle, malattie del sistema osteoarticolare, artrosi, disfunzione delle vie urinarie,
calcoli, dispepsia», dice il Signor Marco notando il mio sguardo, «le terme
curano tutto. Non è vero?»
«Certo», rispondo.
Occhi a
mezz’asta.
Poi lo leggo. “Si consiglia di rimanere in acqua per un massimo di venti minuti”.
Noi siamo
qui da molto di più.
“Il tempo”, mi domanda il criceto, “cos’è il
tempo? Il tempo serve ad incanalare le azioni, i momenti. È l’uomo, l’uomo! Ad
aver inventato il tempo. Secondi, ore, minuti, giornate, anni”.
Siamo stati noi, siamo noi i responsabili del
tempo.
Okay,
fermati. Stai farneticando.
E intanto il Signor Marco parla. «Alla fine
dell’anno l’investitore dovrà valutare la propria posizione utilizzando il
prezzo del mercato…»
Timbro
pacchi, faccio ricevute… il mercato non so neanche cos’è!
«…Tenendo conto, ovviamente, dei dividendi o
delle cedole percepiti…»
Eccerto,
come no. Io sto svenendo e questo mi parla dei dividendi.
Devo uscire. Mi si chiudono gli occhi.
Un’ora.
«Il valore finale dell’investimento dovrà
quindi essere confrontato con l’investimento iniziale. In questo modo
l’investitore, come d’altra parte è successo a noi, rimarrà sicuramente
soddisfatto. È la borsa. Il mercato. La grana.»
Vago lungo
le vie profonde delle acque termali.
I Romani
vagavano lungo le vie profonde delle acque termali.
«Il Principale d’altra parte non vede di buon
occhio i giapponesi. Per non parlare dei cinesi…»
Tirarmi su.
Guardo il Signor Marco. Lo supplico con gli
occhi. Perderò il lavoro ma non posso marcire così in un paese straniero.
«Conoscevo un tale, buon uomo certo, Mr.
Rocciadura, lavorava in banca, credo ci lavori ancora... tutto il giorno a
pensare al profitto. Un gran maestro. Una moglie bellissima, belle automobili…»
Devo. Alzarmi.
«…Tutto mi ha insegnato. Ad esempio la
soddisfazione, senza dubbio alcuno incredibile, di un buon profitto. Come
saprai dipende dalle alternative. Un’alternativa è senz’altro rappresentata
dall’investimento in un titolo senza rischio, come quello di ‘Meccanic. A’, o
sbaglio?»
Un no lento con la testa.
«Un titolo senza rischio offre una certezza,
e sai di cosa? Del tasso di interesse. Supponiamo, per esempio, che il tasso di
interesse sia del cinque percento, ci sei? Il rendimento del quindici è
senz’altro più alto del cinque, anche un bambino lo capirebbe. E tu non sei un
bambino, vero?»
Io vorrei solo sgattaiolare via, altro che
bambino.
«Occorre tenere presente che l’investimento
del titolo finanziario comporta una certa dose di rischio. A noi piace il
rischio.»
Via. A me non piace il rischio.
Piede sinistro.
ALZATI!
Okay. Ci
sono. Bravissimo.
In piedi.
Non tremare.
Barcollo.
«Dove vai?»
«Una rinfrescata. Lì», indico.
Esco
dall’acqua, il corpo c’è ancora. La pelle è squamosa, ruvida, grezza.
Ma sono
vivo.
Mi volto e vedo con orrore che anche il Signor
Marco si è alzato. Affretto il passo. Il Signor Marco mi sorride. Mi segue. Non
me lo scrollerò mai di dosso.
Guardo l’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante che
gira in cerchio dentro una vasca. Non gira solo lui, girano tutti come formiche
in fila indiana. Stupidi.
Il mio superiore è sempre più vicino, a pochi
metri da me, la pancia prominente sbatte nell’aria pesante, il pelo arruffato
si fa riccio sotto i capezzoli duri, la ciccia trasborda dal costume attillato,
la cuffia copre i pochi capelli incatramati, squarciati. Stringe gli occhi,
occhi fini e da iena, occhi da mercato, inarca il sopracciglio e allunga la
bocca. Mi vuole.
Devo buttarmi.
Lì giù.
Nella vasca
dell’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante.
Scendo.
L’acqua è
più fredda.
Ahhh.
Ora va meglio…
Un vortice improvviso mi colpisce
costringendomi a lanciarmi contro la donna che ho davanti, lei si volta
ammiccante. La corrente mi trascina.
Tutti ridono.
Tutti sgomitano.
Tutti girano.
Faccio parte
dell’ingranaggio. Non posso fermarmi, l’onda mi trascina in circolo. Sempre più
veloce. La signora davanti a me continua a gioire. Il culo premuto forte sulla
mia faccia.
Annaspo e mi tiro su. Con la coda dell’occhio
lo vedo. Il mio inseguitore.
«Mangiaboschi!», urla, «aspettami!»
Volteggio
avanti, scaraventando la signora a destra. Mi destreggio urtando corpi, costumi
e ascelle.
Più veloce.
L’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante
ride a squarciagola, fomentato dal vortice, dal circolo. Un bambino mi finisce addosso,
colpendomi senza pietà sulla bocca.
Perdo i sensi.
Voglio una sigaretta.
Sangue.
Ancora…
L’occhio si chiude, accelero.
«Mangiaboschi!»
Eccola, la
scala. Prendila al volo.
La mano afferra il metallo. Mi reggo, più
forte della corrente. Stringo, non ti lascerò mai.
Le mani si
gonfiano ma riesco a salire, lasciando mezzo costume in acqua.
Sputo.
Il Signor
Marco non si dà per vinto.
Corro, ormai
incurante della figuraccia, del licenziamento, della vita sotto ai ponti.
È fuori anche lui.
Supero
piscine e vasche idromassaggio. Oltrepasso uomini in andropausa, donne rugose,
bambini panciuti, comitive di giovani alternativi, freak settantenni,
punkabbestia rifatti, casalinghe frustrate, oppiomani allo sbaraglio e coppie
sulla via del tramonto.
Poi sono fuori, all’aperto, e una pioggia
cattiva mi inzuppa all’istante. Mi tuffo nella grande piscina, sperando nel
caldo. Ed invece l’acqua è gelata e i turisti ridono di me. Il bagnino fischia
urlando qualcosa in inglese. Credo si tratti della cuffia.
Di nuovo fuori. Le statue mi studiano
impazienti, il cielo è nero, plumbeo, violaceo, i tuoni urlano forte il loro
dissenso e la pioggia sgorga in grandi chicchi d’acqua che sembrano confluire
tutti sul mio corpo acciaccato.
Tossisco. Mi prenderò una bronchite.
C’è anche il
mio inseguitore. È fermo e mi cerca.
Mi abbasso, nascosto tra i ghirigori liberty.
Una piccola
struttura di metallo si erge maestosa in lontananza. Scatto verso la salvezza.
La porta si
spalanca.
Vapore.
Varco la soglia.
Settantadue
gradi di sauna.
Mi siedo. Aspetterò qui assieme all’uomo
biondo dalla carnagione rossa, alla donna trafitta dalle rughe e al bel giovane
senza speranza.
I pori della pelle si estendono all’istante.
LUNGA VITA
AI PORI!
Passi.
Il Signor Marco è fuori e mi cerca.
Prima una
goccia, poi mille, dal gomito sgorga un intero ruscello di sudore.
È la sauna
amico.
Chiudo gli occhi.
Sat, raccogli l’aria.
Nam, espira.
Concentrazione
sul terzo occhio, al centro della fronte. Il resto non ha importanza.
La porta si apre, i piedi bruciano.
Fiamme.
«Mangiaboschi», dice il diavolo con un ghigno
di trionfo stampato sul viso, «finalmente ti ho trovato. Sei mio».
chepeso.
RispondiElimina...uccidilo!