martedì 6 maggio 2014

SUDORE





  Allora, questo fine settimana sono partito con alcuni tizi con cui lavoro. La gente di “Meccanic. A”, la famosa casa editrice di ingegneri che si trova all’Eur, a Roma, in un bel palazzo futurista a più piani (per inciso, io lavoro al Piano G). Il viaggio, amici lettori, come avrete sicuramente intuito, non è stato di puro piacere. Una vacanza di lavoro, una di quelle robe per far gruppo, creare équipe, affinità ecco. Cioè, con i miei colleghi insomma. Io però, ad essere onesto, e con voi ne sono certo posso esserlo, non è che ci vada molto d’accordo con i miei compagni di banco. Non siamo affini. Non mi stanno antipatici eh, no no, solo che non mi stanno neanche simpatici. Sono un po’ noiosi; ecco, l’ho detto. Comunque, non voglio tediarvi con le storie sui miei soci (prima o poi lo farò), vi basti sapere che partiamo tutti insieme -quasi tutti, il Principale no-. Vitto e alloggio pagato, aereo pagato -fucsia- e pure le terme pagate. Andiamo a Budapest. Due giorni. Budapest è una città bellissima se te la vivi con chi ti piace, ma tant’è. Di Budapest però non voglio parlare. Piuttosto mi interessa raccontarvi quel che mi è successo alle terme. Precisamente a Szechenyi. Quindi, cominciamo.
LE TERME DI SZECHENYI
  Solo.
  Mi sento solo.
Ho voglia di una sigaretta.
  “Stanno tutti entrando”, mi dice la vocina che mi frulla in testa, il criceto del cazzo che non si sta mai zitto.
C’è l’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante, c’è Gina che ha le unghie più lunghe del mondo, c’è Manolo e c’è il Signor Marco.
  Eppoi ci sono io.
  Io!
  Che sto dietro, un tantinello defilato, il pensiero della sigaretta appena rollata fisso nel cervello.
  “Non puoi fumare”, sussurra il criceto.
Un passo dietro l’altro.
Il Signor Marco paga i biglietti.
  Rimango in silenzio nel grande spogliatoio. Gli altri parlano; io avrei voglia di parlare, di scambiare due chiacchiere, di dialogare un minimo, ma proprio non ci riesco. Io ‘sta storia non vedo l’ora che finisca. Voglio tornare a casa.
  Mi spoglio. Il Signor Marco mi guarda. Lo so che mi ha puntato, al lavoro ci prova in tutti i modi a scambiare due parole ma io no, trovo sempre una scusa -una qualunque- per sviare. Però il Signor Marco è un mio superiore e oggi, mio Dio, non posso evitarlo.
  Si accomoda e sorride.
  «Andiamo», dice l’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante.
L’edificio è grande, immenso, e le terme sono tantissime. Decine di vaschette piene d’acqua calda. Trenta, quaranta e cinquanta gradi. Ci sono anche le saune. Io odio le saune e odio il caldo e anche le terme (cioè, con loro, con i miei colleghi insomma).
  “Stai buono. Non essere sempre negativo, vedrai che ti divertirai”, rotola il criceto.
Entro.
L’acqua è calda, bollente.
  Mi sento sciogliere.
Il Signor Marco mi sorride e si siede accanto a me. «Ahhh», sbuffa.
  Vapore.
Rimango in silenzio. Basta non dargli confidenza, si stuferà presto.
  I minuti passano.
Assoluto silenzio, zen quasi; tangibile, forte, estremo, che si taglia con l’accetta. Gli altri ridono, se io non rido il Signor Marco si annoierà. Annoiati. Annoiati annoiati annoiati. E poi alzati. Ché inizio a sentire caldo.
  Dovrei uscire, forse.
Muovo un piede.
Altro che caldo. Brucio. Mi sembra di bruciare.
  Il Signor Marco mi fissa. «Mangiaboschi», dice, «che ne pensi?»
  «Fantastico», biascico.
Macché fantastico, io qui dentro ci muoio.
  La pressione cala.
Il Signor Marco mi guarda, mi guarda e sogghigna.
  Non si annoia. No no.
È un mio superiore.
  «Fa bene alla pelle», gode.
Tutto tranne che annoiato mi sembra.
Verranno a prendermi i miei genitori e mi troveranno dentro una bara.
  «Tu ed io parliamo poco», ammicca, «in città non c’è mai tempo. Sempre di fretta, sempre di corsa, senza mai fermarci. In città c’è il caos. Non come adesso. Adesso si sta bene».
  «Budapest», tremo, «è una città».
  «Mi riferisco alle terme…»
Sguardo di sfida.
Devo pagare l’affitto, da mangiare, le bollette.
Sorridi, annuisci e resisti.
  «Abbiamo avuto un buon fatturato quest’anno».
Oh no.
  «Nonostante la crisi le vendite non sono calate, l’ha notato anche il Principale».
Mi sciolgo dentro.
  «Sarà merito degli investitori.»
Gli investitori no. Ti prego no.
  Il caldo. Lo avverto.
Sudo.
Sudo dentro l’acqua.
  «L’investitore paga un certo prezzo di acquisto, diciamo pari a cento, alla fine dell’anno valuta la propria posizione utilizzando il prezzo di mercato dell’attività, la nostra attività e… è soddisfatto! Capisci Mangiaboschi? So-ddi-sfa-tto!»
  Uh?
  Non ci capisco niente.
  Devo alzarmi.
Il Signor Marco mi blocca una gamba. «Dove vai?», chiede. «Devi resistere, altrimenti non fa bene. Alla pelle dico».
  Mi vuole morto, vuole piazzare qualcun altro al mio posto, un suo amico certo, uno di quelli in giacca & cravatta. Uno qualunque.
  Il vapore sale. Entrano ed escono gli uomini e le donne. Entrano ed escono, entrano ed escono. Noi due restiamo qui, non ci muoviamo, rimaniamo fermi, a scioglierci.
  Forse potrei… riuscire a… sbloccare un dito. Uno solo ti prego!
Niente. Non riesco più a muovermi.
  Zolfo, iodio, cloro, ferro, calcio.
Cristo aiuto.
  Non respiro. Veramente.
Alzo lo sguardo, leggo l’insegna intagliata sul marmo. “Quarantotto gradi”. Quarantotto gradi. Un forno cazzo.
  «Asma, bronchite, sinusite, patologie della pelle, malattie del sistema osteoarticolare, artrosi, disfunzione delle vie urinarie, calcoli, dispepsia», dice il Signor Marco notando il mio sguardo, «le terme curano tutto. Non è vero?»
  «Certo», rispondo.
Occhi a mezz’asta.
  Poi lo leggo. “Si consiglia di rimanere in acqua per un massimo di venti minuti”.
Noi siamo qui da molto di più.
  “Il tempo”, mi domanda il criceto, “cos’è il tempo? Il tempo serve ad incanalare le azioni, i momenti. È l’uomo, l’uomo! Ad aver inventato il tempo. Secondi, ore, minuti, giornate, anni”.
  Siamo stati noi, siamo noi i responsabili del tempo.
Okay, fermati. Stai farneticando.
   E intanto il Signor Marco parla. «Alla fine dell’anno l’investitore dovrà valutare la propria posizione utilizzando il prezzo del mercato…»
Timbro pacchi, faccio ricevute… il mercato non so neanche cos’è!
  «…Tenendo conto, ovviamente, dei dividendi o delle cedole percepiti…»
Eccerto, come no. Io sto svenendo e questo mi parla dei dividendi.
  Devo uscire. Mi si chiudono gli occhi.
Un’ora.
  «Il valore finale dell’investimento dovrà quindi essere confrontato con l’investimento iniziale. In questo modo l’investitore, come d’altra parte è successo a noi, rimarrà sicuramente soddisfatto. È la borsa. Il mercato. La grana
Vago lungo le vie profonde delle acque termali.
I Romani vagavano lungo le vie profonde delle acque termali.
  «Il Principale d’altra parte non vede di buon occhio i giapponesi. Per non parlare dei cinesi…»
Tirarmi su.
  Guardo il Signor Marco. Lo supplico con gli occhi. Perderò il lavoro ma non posso marcire così in un paese straniero.
  «Conoscevo un tale, buon uomo certo, Mr. Rocciadura, lavorava in banca, credo ci lavori ancora... tutto il giorno a pensare al profitto. Un gran maestro. Una moglie bellissima, belle automobili…»
  Devo. Alzarmi.
  «…Tutto mi ha insegnato. Ad esempio la soddisfazione, senza dubbio alcuno incredibile, di un buon profitto. Come saprai dipende dalle alternative. Un’alternativa è senz’altro rappresentata dall’investimento in un titolo senza rischio, come quello di ‘Meccanic. A’, o sbaglio?»
  Un no lento con la testa.
  «Un titolo senza rischio offre una certezza, e sai di cosa? Del tasso di interesse. Supponiamo, per esempio, che il tasso di interesse sia del cinque percento, ci sei? Il rendimento del quindici è senz’altro più alto del cinque, anche un bambino lo capirebbe. E tu non sei un bambino, vero?»
  Io vorrei solo sgattaiolare via, altro che bambino.
  «Occorre tenere presente che l’investimento del titolo finanziario comporta una certa dose di rischio. A noi piace il rischio.»
  Via. A me non piace il rischio.
Piede sinistro.
ALZATI!
Okay. Ci sono. Bravissimo.
In piedi. Non tremare.
  Barcollo.
  «Dove vai?»
  «Una rinfrescata. Lì», indico.
Esco dall’acqua, il corpo c’è ancora. La pelle è squamosa, ruvida, grezza.
Ma sono vivo.
  Mi volto e vedo con orrore che anche il Signor Marco si è alzato. Affretto il passo. Il Signor Marco mi sorride. Mi segue. Non me lo scrollerò mai di dosso.
  Guardo l’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante che gira in cerchio dentro una vasca. Non gira solo lui, girano tutti come formiche in fila indiana. Stupidi.
  Il mio superiore è sempre più vicino, a pochi metri da me, la pancia prominente sbatte nell’aria pesante, il pelo arruffato si fa riccio sotto i capezzoli duri, la ciccia trasborda dal costume attillato, la cuffia copre i pochi capelli incatramati, squarciati. Stringe gli occhi, occhi fini e da iena, occhi da mercato, inarca il sopracciglio e allunga la bocca. Mi vuole.
  Devo buttarmi.
  Lì giù.
  Nella vasca dell’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante.
Scendo.
L’acqua è più fredda.
Ahhh.
Ora va meglio…
  Un vortice improvviso mi colpisce costringendomi a lanciarmi contro la donna che ho davanti, lei si volta ammiccante. La corrente mi trascina.
  Tutti ridono.
  Tutti sgomitano.
  Tutti girano.
Faccio parte dell’ingranaggio. Non posso fermarmi, l’onda mi trascina in circolo. Sempre più veloce. La signora davanti a me continua a gioire. Il culo premuto forte sulla mia faccia.
  Annaspo e mi tiro su. Con la coda dell’occhio lo vedo. Il mio inseguitore.
  «Mangiaboschi!», urla, «aspettami!»
Volteggio avanti, scaraventando la signora a destra. Mi destreggio urtando corpi, costumi e ascelle.
  Più veloce.
L’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante ride a squarciagola, fomentato dal vortice, dal circolo. Un bambino mi finisce addosso, colpendomi senza pietà sulla bocca.
  Perdo i sensi.
  Voglio una sigaretta.
Sangue.
  Ancora…
  L’occhio si chiude, accelero.
  «Mangiaboschi!»
Eccola, la scala. Prendila al volo.
  La mano afferra il metallo. Mi reggo, più forte della corrente. Stringo, non ti lascerò mai.
Le mani si gonfiano ma riesco a salire, lasciando mezzo costume in acqua.
  Sputo.
Il Signor Marco non si dà per vinto.
Corro, ormai incurante della figuraccia, del licenziamento, della vita sotto ai ponti.
  È fuori anche lui.
Supero piscine e vasche idromassaggio. Oltrepasso uomini in andropausa, donne rugose, bambini panciuti, comitive di giovani alternativi, freak settantenni, punkabbestia rifatti, casalinghe frustrate, oppiomani allo sbaraglio e coppie sulla via del tramonto.
  Poi sono fuori, all’aperto, e una pioggia cattiva mi inzuppa all’istante. Mi tuffo nella grande piscina, sperando nel caldo. Ed invece l’acqua è gelata e i turisti ridono di me. Il bagnino fischia urlando qualcosa in inglese. Credo si tratti della cuffia.
  Di nuovo fuori. Le statue mi studiano impazienti, il cielo è nero, plumbeo, violaceo, i tuoni urlano forte il loro dissenso e la pioggia sgorga in grandi chicchi d’acqua che sembrano confluire tutti sul mio corpo acciaccato.
  Tossisco. Mi prenderò una bronchite.
C’è anche il mio inseguitore. È fermo e mi cerca.
  Mi abbasso, nascosto tra i ghirigori liberty.
Una piccola struttura di metallo si erge maestosa in lontananza. Scatto verso la salvezza.
La porta si spalanca.
Vapore.
Varco la soglia.
Settantadue gradi di sauna.
  Mi siedo. Aspetterò qui assieme all’uomo biondo dalla carnagione rossa, alla donna trafitta dalle rughe e al bel giovane senza speranza.
  I pori della pelle si estendono all’istante.
LUNGA VITA AI PORI!
  Passi.
  Il Signor Marco è fuori e mi cerca.
Prima una goccia, poi mille, dal gomito sgorga un intero ruscello di sudore.
È la sauna amico.
  Chiudo gli occhi.
Sat, raccogli l’aria.
Nam, espira.
Concentrazione sul terzo occhio, al centro della fronte. Il resto non ha importanza.
  La porta si apre, i piedi bruciano.
Fiamme.
  «Mangiaboschi», dice il diavolo con un ghigno di trionfo stampato sul viso, «finalmente ti ho trovato. Sei mio».

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