Quello di questa settimana, Lettori & Lettrici, non è proprio un
racconto, è più un flusso di pensieri che il vostro affezionato dedica al
quartiere dove è cresciuto. Avevo voglia di questo, ‘sto martedì. Scusate.
Sono, ahimè, un po’ smielato (ogni tanto), quindi non me ne vogliate...
Bene.
Bando alle ciance.
Trovate un angolo un minimo comodo,
fatevi largo tra la folla in metropolitana, rubate il posto a sedere alla
vecchietta laggiù; correte in bagno prima che lo faccia il vostro compagno;
sdraiatevi nel prato di margherite, nascondetevi al tavolino del bar, il caffè
ben caldo alla vostra sinistra, sedetevi e leggete.
Il
flusso comincia più o meno così:
Se segui la pista ciclabile -una delle
poche a Roma- e corri accanto al Tevere non potrai non fermarti a Magliana. Se pedali,
il vento tra i capelli e il sole in faccia, supererai una bella chiesetta
romanica, Santa Passera, che nessuno sa che c’è; se oltrepassi la fermata
dell’autobus, più veloce della luce, ti piacerà sicuramente scorgere le vite e
le esistenze, i mille e più mondi spesso dimenticati. Se poi le tue gambe non
si stancheranno vedrai allora i palazzi alti e le cento finestre stampate sulle
facciate, come graffiti malriusciti. Scorgerai anche il grigio, il nero e i
topi; vedrai le panchine rotte e il cemento che ha avvolto ogni cosa, come una
Bestia solitaria che tutto distrugge. Avvertirai la puzza, la puzza di smog e
tubi di scappamento e pipì. Ad un occhio poco attento tutto questo parrà
orribile, brutto, caotico e sporco. Vedrà le cartacce volare nell’aria, le
cacche di cane sparse sul marciapiede, i tossici in precario equilibrio e gli
occhi loschi dei ladri di merendine. Ma se per caso la tua bicicletta
rallenterà la sua corsa e il tuo sguardo si poserà più delicato allora scorgerai
Roma, quella vera, la città che sta scomparendo. Vedrai gli sputi di verde
curati dai Giardinieri Sovversivi (ortensie, girasoli, belladonna e papaveri),
la vita nella piazza, i bambini che giocano, i signori con i passeggini al
seguito. Potrai scendere sì, invece di guardare il quartiere dall’alto,
scendere proprio a sinistra, poco sotto il fiume e dargli le spalle, al fiume,
e poi ammirare. Afferrerai la bicicletta e la trascinerai giù, lungo le scale
malandate. Parrà un film certo, ma non dovrai scoraggiarti. Piuttosto, ti
converrà spiare un poco, per scorgere alcuni immigrati che fanno la brace o
altri che riparano attrezzi. Ti sarai lasciato da poco il Tevere alle spalle,
il suono dei pappagalli ancora presente, gli zingari con i loro carrelli sul ciglio
della strada e le roulotte nascoste dalla vegetazione. Sarai giù, a terra, e ti
abbandonerai alla corrente e al flusso di umanità varia. Riconoscerai senza
dubbio alcuno la vecchietta che tutte le sere, ogni sera, balla per le vie di
Trastevere, la vecchietta che ti sei sempre domandato dov’è che vive, quella un
tempo accompagnata dal bengalese con i capelli neri, morto poverino in
circostanze misteriose. E finalmente la tua domanda riceverà risposta, perché
la casa della vecchina si trova qui, a Magliana. Procederai, senza fermarti,
perduto in una borgata che credevi nulla e che invece è tutto. Una vita quasi,
un’entità. Non ti fermerai, non potrai. A Piazza De André noterai le comitive
di anziani che giocano a carte come ai vecchi tempi, le bische clandestine in
pieno sole; vedrai i bimbetti anche che lanciano due calci al pallone e che te
lo tirano addosso, il pallone. Ti piacerà scambiare due passaggi, sarai bravo
in porta, ma loro, sicuramente, saranno più bravi di te; vedrai pure i
ragazzetti che passano il pomeriggio al muretto e che la Magliana n’è ‘n
quartiere no, è ‘npaese. Un paese sì. Un piccolo villaggio. Un pezzo di Roma d’altri
tempi, una borgata. Scruterai il marciume sui marciapiedi, i muri incrostati,
incatramati, l’aria assente e le automobili ovunque. Ma non potrai fare a meno
di notare la Vita, quella con la “V” maiuscola, quella che si attacca salda e
non ti lascia andar via. Ti innamorerai allora di Filomena che urla ad ogni
angolo della strada, del macellaio e pure del tabaccaio. Comprerai le sigarette
solo lì. E tutti ti conosceranno e ti diranno «Bentornato», perché nella
borgata tu ci sei cresciuto, c’è casa dei nonni proprio là e tu il quartiere
l’hai sempre rispettato. Capirai allora che le finte periferie non le tolleri e
che la realtà è spesso più bella della via griffata, del falso e dei vari
quartieri di giovani alternativi sparsi per la metropoli. Così diventerai anche
tu un Cacciatore di Borgate, vorrai conoscere le persone vere, quelle che si
alzano alle cinque del mattino per andare a lavorare, quelle che l’università
no, mica l’hanno fatta, quelle persone che non sanno parlare, che la grammatica
è scarsa e che «Suo figlio è sveglio ma non si applica»; vorrai loro come
amici, i rimastini del sabato sera, i nonni malandati, i coatti della domenica,
gli esperti di giardinaggio, le vecchie che hanno fatto le lotte per la casa, i
pazzi e i disabili. Ti sentirai uno di loro, sarai uno di loro, cresciuto nei casermoni di periferia, nelle
piazzette a giocare, nascosto dallo scivolo rotto, avanti e indietro
sull’altalena. Ti piaceranno allora l’odore del kebab, le spezie dei bengalesi
e le cucine orientali. Scoprirai mondi in questi quartieri, interi paesi
racchiusi in una via. Ci saranno filippini, cinesi, rumeni, marocchini, egiziani
e tu sarai con loro, sempre con loro, tutti insieme nei ghetti della periferia
romana. E poi, solo poi, quando slegherai la tua bicicletta e andrai via, lungo
il patinato dove tutto è permesso, solo allora capirai cosa ti sei lasciato
alle spalle. E non potrai fare a meno di pensare a tuo padre, che nel
giardinetto di uno dei casermoni popolari fa l’orto, assieme agli altri
pensionati o quasi pensionati. Fa l’orto e ancora ci crede che le cose, prima o
poi, si aggiusteranno.
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