lunedì 16 maggio 2016

ROSPI



  Allora, c’è questo bel bosco tutto pieno di alberi e foglie e animali. Ci sono i grilli, le farfalle e, se aguzzi bene la vista, pure un paio di cervi.
  Poi ci siamo noi: Anita ed io. Anita come al solito è bellissima, attraente, semplice e sensuale al tempo stesso. Insomma, tutte le smancerie mielose a cui vi ho abituato in questi ultimi mesi (che poi riflettendo ormai sarà un anno che vado appresso a ‘sta tipa).
  «Già già, una bella giornata», mi fa Ganesh.
Dimenticavo, come al solito nei momenti romantici c’è sempre di mezzo lui, il mio simpatico amico immaginario.
  «Sì, ottima direi… ‘fatti potresti pure andare a farti una passeggiata da solo, in solitaria… ad annusare le margherite e a cercare i topi».
  «Ma no, lascialo stare con noi, è così simpatico.»
Beh, certo, simpatico è simpatico, visto che è roba mia, però a me l’intimità la toglie lo stesso. Sono anni che mi toglie intimità. Come quella volta, in camera della ragazza da poco conosciuta, ad un simpatico party universitario, ubriaco al punto giusto, con i pantaloni mezzi slacciati; che mi compare lui no? Con la sua capoccia d’elefante, a darmi consigli su come indossare il preservativo. Ecco, ogni tanto sarebbe meglio rimanesse fuori dal giro mio, giusto ogni tanto. Solo…
  Un momento…
  non è possibile.
  «Beh, mo chi ti credi di essere? Non è che sei tu ad aver scelto me eh… sono io che ti ho selezionato tra tanti. Potevo essere l’amico di Kudjoe Affutu, noto artista ghanese, o di Sif Aradòttir, bellissima modella islandese, o di Matt Baker, l’attore americano, o di Mark Daigneault, l’allenatore di pallacanestro statunitense, o di Giorgia Farina, la sceneggiatrice dico, o di Oscar Gatto, ciclista come te ma un tantinello più conosciuto, o di Alfred Aboya, o anche di Damien Bodie, Peter Gadiot, Marcus Sahlman, Mohamed Zemmamouche, Mateuz Bartel, Lenora Crichlow, Dan Cage, Zoran Erceg, Magda Culotta, Aura Dione, Sergej Grankin. Tutti più famosi di te, li menziona pure Wikipedia tra quelli nati nello stesso anno tuo. E invece ho scelto te. Che poi lo sai bene, se non stai su Wikipedia non sei nessuno.»
  «Ora non esagerare», sorride Anita, «Elia è simpatico. E fa ridere.»
Ecco, è proprio questo che non capisco.
  «Cioè tu…?»
  «Io?»
  «Lo… lo senti?»
  «Chi?»
  «Ganesh…»
  «Aho, ah bello. A sentissela calla così poi t’ammazzi eh.»
  «Scusa testa d’elefante, non ce l’ho con te… solo che tu… voglio dire, cioè, stai nella testa mia… o no?»
  «Anita mi vede».
  «E lo sento pure».
  «Ma lui… tu… non è reale…»
  «Ogni tanto sai essere veramente crudele».
Oh oh. Qui sto andando fuori di testa. Veramente di brutto. Ganesh l’ho pensato io, è il mio confidente, l’amico immaginario. Rispetto ad altri manco ci sta da tanto tempo. Per dire, il Criceto in confronto è un veterano, ché lui mi segue da decenni ormai. Ganesh me lo sono portato dal Nepal, credo.
  Ohmmioddio. Cosa ho fatto?
Ora capisco tutto!
La furia divina si abbatterà su di me! Tutte le divinità indù mi verranno a cercare! La potente Kali mi ucciderà! Dovrò scappare per sempre, braccato, costretto ad una vita di segretezza! Sarò obbligato a cambiare nome e a chiamarmi Marco Rossi! Cristo! Ho rapito il potente Ganesh e manco me ne sono reso conto! E in Nepal mi so’ pure ammalato! Saranno state le sanguisughe. Eccome.
  «Ho invocato un dio Anita. È meglio che tu fugga. Scappa finché sei in tempo!»
  «Sempre al centro dell’universo eh? Sono io ad averti scelto. Mi mostro a chi voglio…»
  «Ganesh, non è che qualcuno ci ha seguito? Senza offesa, ma tu sei un po’ la divinità buffona…»
  «Bada a come parli misero uomo…»
  «Scusa.»
  «Ehi, guardate là». Anita indica un punto indefinito del bosco. Seguo il dito e lo vedo, un piccolo gruppo di uomini sta danzando attorno ad un fuoco.
  «Andiamo!»
  «No, aspetta…»
Cazzo stavo così bene, okay Ganesh che si fa vedere dalla ragazza ma addirittura il party della foresta no, altro che intimità.
  Già, che poi com’è che ci sono finito qui dentro?
Corro anche io, seguendo l’(ex) amico immaginario e Anita. Poi mi blocco di colpo e sbarro gli occhi. Per un secondo il cuore cessa di battere. Trattengo il respiro. La gente che balla fa impressione. Danzano attorno al fuoco solo uomini gobbi, vecchi e con i vestiti a brandelli. Ridono senza denti e allungano le dita ossute verso il cielo. La fiamma piroetta nell’aria creando strane forme innaturali.
  Ogni cosa muta.
Il buio cala improvviso, come fossimo in un cartone animato per bambini. Anita si blocca, Ganesh fa lo stesso. I vecchi non fanno caso a noi, continuano a urlare al cielo come pazzi. Qualcuno trema, qualcun altro cade a terra sfinito. Un vento sottile si leva nell’aria, creando uno strano suono, un ululato lugubre. Gli uomini alzano e abbassano le braccia, strappandosi di dosso i pochi stracci che ancora li coprono. Mostrano corpi scheletrici, tisici, scavati.
  Cazzo sicuro sono venuti a prendere Ganesh. «Fatti indietro testa d’elefante, ci penso io», dico già leggendario (più per far colpo su Anita che per vero coraggio). Lei mi osserva. Sicuro penserà di avere accanto un eroe dotato di molta immaginazione. Un buon padre per una futura prole, un brav’uomo.
  No, un brav’uomo no.
I vecchi però non ci degnano di uno sguardo, continuano solo la loro danza macabra, come se non esistessimo, come se fossimo invisibili.
  «Guarda i loro occhi», mi fa Anita.
Buchi. Fosse lugubri. Nere. Senza niente dentro, solo carne scavata.
  Sorridono e ad ogni sorriso cadono denti. Solo ora noto che a terra una massa di denti marci fa da pavimento. Denti di tutte le forme e le dimensioni. Canini, incisivi, molari.
  Alzano le braccia, allungano le dita. Cosa tengono in mano?
Sono… rospi.
  Ogni vecchio stringe un rospo con forza, fin quasi a stritolarlo.
  «Forse sarebbe meglio andare…», dice Ganesh.
Ma è troppo tardi. All’unisono si voltano verso di noi. «Siete arrivati», gracchiano. «Mangiate». Ci porgono gli animali ancora vivi. «Mangiate, è per voi». Alle loro spalle scorgo adesso strane figure, manichini impiccati, pupazzi di legno e… gli abitanti della Stanza dei Bottoni: Grande Puffo, Karl Marx, Sigmund Freud, Superstellino, Yogi Bhajan, il Criceto, Mastro Lindo. Sono tutti lì, immobili, bloccati da una lunga ragnatela aggrovigliata. Bakunin allunga la mano verso di me. «Mangia», geme. Dall’albero più alto scende l’immenso ragno.
  La Stanza dei Bottoni non c’è più.
  Mi sento…
  perdere.
  Il vecchio mi porge il rospo.
  «Sono vegetariano…»
  «Saziati», sibila la Kundalini dal ramo scheletrico. «Succhia…»
Anita mi osserva.
  «È il frutto proibito», dice un tizio dai capelli bianchi cavalcando un delfino con zampe di cavallo. «Assaggialo».
Non posso, io la carne non la mangio.
  Una vecchia compare dal nulla, ha capelli grigi che le cadono lunghi sulle schiena toccando terra. È nuda e il seno le scende giù, fin quasi l’ombelico; è così magra che pare quasi di poter vedere le ossa. La pelle è scomparsa, sembra trasparente. Le unghie dei piedi raschiano a terra spezzate, sbattendo contro il pavimento di denti. Mi dà un coltello con una strana incisione sul manico. «Sbuccia».
  Lo afferro e spello il rospo, togliendo la pelle soffice come la buccia di una mala. La vecchia afferra quella che, in questo momento, mi sembra proprio una mala. «Ora succhia», dice spremendola.
  Avvicino le labbra al rospo.
  Avvicino le labbra alla mela.
  E succhio.
Il liquido nero cola dalla bocca e scende giù, lungo il torace.
  Mi volto. Anita e Ganesh sono scomparsi. I vecchi urlano a squarciagola mangiando gli animali e sbavando sangue nero.
  Chiudo gli occhi.
Sono sdraiato in un letto.
Non posso muovermi.
Non posso parlare.
Non posso respirare.
Le mani sono posate al centro del petto.
  Ho un vestito nero.
Cristo.
Cristo sono morto.
  Decine di persone indossano abiti lunghi e bianchi, le teste avvolte da spessi turbanti.
Né suoni.
Né odori.
  Anita mi guarda.
Sono vivo! Sono vivo!
  Ma non può sentirmi.
No.
Non lasciatemi.
Sono vivo!
  Ci sono i miei genitori, mia nonna, i colleghi, i compagni di sbronze, gli amici di sempre, i vicini di casa.
  Simone, il mio coinquilino, si avvicina e mi accarezza. «Non sei reale», mi sussurra all’orecchio. «Non sei reale».
  «Ora inspirate», dice Anita, «ed espirate…»
La Kundalini, il sacro serpente, esce dalle bocche degli invitati e mi mangia.
  Sono dentro, nel ventre.
Annaspo nel viscido.
Succhi gastrici.
  Cammino a quattro zampe, il vestito buono, quello del mio funerale, macchiato di strani liquidi verdi. In lontananza c’è una casa, è una piccola casetta in mezzo al bosco e del fumo esce dal camino. Attorno è tutto nero.
  Busso tre volte, poi due, poi tre.
Di nuovo.
  Screeek, cigola.
La casa è immensa, molto più grande di quel che pensassi. Una lunga scala a chiocciola sale all’infinito, piani e piani e piani.
  Salgo.
  «C’è nessuno?» urlo.
Sono solo.
  Una porta scricchiola.
Sbircio.
  C’è un uomo. È seduto davanti ad un computer, la schiena curva e il mento tirato in avanti. Batte i tasti, li pigia con forza. Ha una cravatta logora. Lavora incessantemente, da buon impiegato. Timbra scartoffie e compila ricevute. Sul tavolo una fila immensa di fogli da riempire si fa beffe di lui. Non si gira mai ma ad ogni foglio la sua schiena si piega un po’ di più. Piange. Si volta. Sono… sono io.
  Esco di corsa.
Ancora, un’altra porta.
  Alle medie. I bambini urlano e ridono, additando un bambino più piccolo, quello che fa i fumetti. Qualcuno mi sputa sopra.
  Ne apro un’altra.
C’è una macchina da scrivere immensa e un ragazzo che prova in tutti i modi ad usarla. Ma è troppo grande e lui non ce la fa. Non ci riesce, non può.
  «Lo sai», mi fa Ganesh, «che devi stare tranquillo sì?»
Le scale a chioccola non finiscono mai. Solo ora mi rendo conto che sui muri sono spillati con graffette arrugginite decine e decine di rospi.
  «Forse dovresti svegliarti, che ne pensi?»
  «Non… non ci riesco amico mio. Non posso. Ho bisogno di bere.»
Dalla bocca sgorga il liquido nero, denso.
  Ecco Anda la portinaia venirmi incontro. «Li senti Elia?»
Sì, i tacchi della vecchia del piano di sopra. Battono a qualunque ora del giorno e della notte.
  Ticchettano.
  «Anda, ho bisogno d’acqua», gemo.
  «Chiedi al Vecchio, colui che riscuote l’affitto.»
La porta oscura.
La apro.
  «Salve…»
  «Dovresti pagare», dice una voce nel buio.
  «Prometto che pagherò. Non ho soldi adesso, solo i buoni pasto.»
  «Mi ricordi Lui. Ma Lui non c’è più».
Note di pianoforte.
  «Acqua, la prego…»
  «C’è un tubo.»
Le pareti si allargano e si stringono. Mi comprimono.
Questa casa… è immensa.
  «Voi giovani. Senza futuro, senza speranze, buoni solo a succhiar rospi».
  Decine di serpenti nascono dalle pareti. Mi parlano. «Mangiabosssssssschi… Mangiabosssssssssssssssssssssssschi… Mangiabosssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssschi».
  «Io… vi ho salvato…»
  «Bevi», mi fa Il Vecchio.
Artemio, l’amico bastardo di Anita, mi passa il tubo verde, di plastica.
  Lo metto tra le labbra. Le mie mani si muovono da sole e continuano ad infilare il tubo. Artemio gira la manopola. Tracanno.
  Spalanco la bocca, il serpente schizza via. Sputo. Dalle labbra spuntano rospi e zampe di scarafaggi.
  «Svegliati… è troppo per te. Apri gli occhi», bisbiglia Anita all’orecchio.
  Spalanco gli occhi.
  Sono sveglio.
Mi guardo attorno. È tutto in ordine. Il letto, la stanza, la scrivania.
  Allungo la mano alla ricerca dell’acqua. Stringo lo sguardo osservando il braccio.
  Poi lo sento, il prurito.
  La schiena contratta.
  Mi tocco le zampe, il corpo viscido, squamoso.
Allungo gli arti e faccio un grande salto in avanti.
  I pensieri volano via.
Guardo in alto. Un giovane con la bocca viola mi osserva disgustato, ha in mano una forchetta e un coltello con una strana incisione.
Lo osservo meglio. I capelli scuri, il corpo magro… quello… sono io!
  «Sono vegetariano», balbetta.
  «Mangiaboschi», dice Il Vecchio al ragazzo, «mangia la rana».
Elia allunga la forchetta verso di me. 
E mi mangia.  

La prossima storiella esce  martedì 31 maggio...

1 commento:

  1. Ciao, anch'io alle volte ho degli incubi reali...per fortuna c è qualcuno che mi sveglia...ma il domani non è più lo stesso...

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