lunedì 22 dicembre 2014

PULIZIE



  Ah!
Santo Natal!
  Oggi, Amici & Amiche, quando mancano pochi giorni al Lieto Avvenimento, in questo felice clima di festa natalizia, dopo aver finalmente concluso il giro, lungo ve lo assicuro, dei regali, mi sveglio.
  Sono felice, è vero.
Il sorriso stampato sul viso, gli occhi da Mio Mini pony
Vola Mio Mini Pony
Vola Mio Mini Pony
  «Basta».
  «Scusa, mi sono lasciato prendere dal fomento».
La bocca (la mia) che si apre in un fiore, le gambe che saltellano, il Criceto sulla spalla e Ganesh sull’altra...
  «Il Natale fa questo effetto», mi dice Charles Manson appagato.
  «Oh no, amico Manson, io sono felice perché i regali li ho fatti tutti, e pure ‘st’anno l’ho scampata… ora sono tranquillo, tranquillo e…»
  «Cos’è!?!»
Mi volto di scatto.
Il mio coinquilino Simone, in ciabatte e mutande, guarda il piccolo salotto dove sto ballando.
  «Lo so, non sono tanto bravo con le danze, ma se mi applico…»
  «Dovevi fare quel corso che ti avevano consigliato i tuoi, quando eri piccolo insomma», mi rimprovera John Travolta.
  «Cos’è!?!», ripete Simone (o quel che ne rimane).
  Mi guardo intorno, poi guardo lui.
GANESH: Giovane Elia Mangiaboschi, piccolo mortale, cerchiamo di capire il problema che affligge il tuo compagno. Su, guardati intorno: il divano c’è, è bucato, è vero, e anche macchiato, deve essere stato il succo di frutta alla pera dell’altra sera, ricordi? La PlayStation c’è, i giochi pure, il puff eccolo là, un po’ sgualcito certo; i poster ci sono, la bici sta lì, la polvere anche e i tuoi nuovi amici, la famiglia di scarafaggi da poco trasferitasi dov’è? Oh, eccola là…
IL CRICETO: Che sia la rabbia che prova per questo sistema repressivo? Che la disoccupazione l’abbia fatto definitivamente impazzire? Su, osserviamolo. Accontentiamoci di una descrizione, quantomeno dettagliata, del tuo coinquilino.
LA DESCRIZIONE QUANTOMENO DETTAGLIATA DEL MIO COINQUILINO
(intervento del noto studioso Carl Gustav Jung)
  «Ordunque, analizziamo adesso il Paziente Numero 5, Simone S. nato a Roma il 05/08/1981. L’utente, dopo una breve convalescenza forzata, ha riscontrato diversi segnali che possono essere individuati senza dubbio alcuno nel sintomo depressivo. Ridotta capacità di trarre piacere dalle attività che in passato procuravano gioia e soddisfazione (ad eccezione di un uso eccessivo di sostanze stupefacenti); senso di fatica; mancanza di speranza; pianto; pensieri negativi; irritabilità; difficoltà a prestare attenzione, a concentrarsi e a prendere decisioni; inappetenza; agitazione motoria. Il paziente, nonostante i ripetuti tentativi di convincimento da parte dei familiari e degli amici, ha smesso di uscire di casa, riducendosi ad uno stadio ben al di sotto di quello del normale essere umano. Ecco quindi il prodotto, o meglio il risultato, della società moderna: un uomo-larva, mezzo nudo, zozzo e con la pancia gonfia di bibite gassate.»
  «Grazie signor Jung», faccio.
  «E di che giovanotto, è il mio lavoro…»
  «’Nsomma Simone, che è successo?»
  «Ma come?!? Non vedi? È il caos Elia! Ed è Natale!»
Astro del Ciel
  «Cosa devo vedere?»
  «C’è polvere! Polvere ovunque!»
  «Moriremo tutti!», urla il Criceto.
Guardo il salotto.
Beh sì giusto un po’ di caciara. Cioè, tranne la polvere che vola nell’aria così bella da sembrare neve o la muffa sul lavandino e la chiazza di vomito di un paio di mesi fa ben nascosta sotto il tappeto non mi sembra mica tanto sporca. La casa dico.
  «Che poi la polvere fa pure un po’ Natale, non trovi?», domando a Simone.
  «E quelli? Cosa sono quelli?», geme indicando la famiglia di scarafaggi.
  «Oh, loro sono Kubrick, Kalì e Frodo», sorrido.
  «Kalì è così carina», annuisce Ganesh.
  «Cazzo sono scarafaggi Cristo, non possiamo mica adottare tutte le forme di vita della terra qui dentro!», urla il coinquilino.
  «Io l’ho fatto!», dice Noè, «E hai visto che risultati sì!»
  «Ecco, ma io sono tipo Noè… se c’è la fine del mondo li salviamo tutti…»
  «Elia, c’abbiamo avuto i pappagalli senza le zampe, i vermi del peperone marcio, le formiche, due canarini, un gatto con gli stivali e pure la tartaruga marina!»
  «Abbiamo anche salvato una famiglia di serpenti, non dimenticarlo… arriverà il giorno in cui tutto questo bene ci verrà restituito e allora mi ringrazierai… eccome se lo farai».
  «Dobbiamo pulire».
  «No! Giammai!»
  «Opponiti Elia! In frigo stiamo creando nuovi microorganismi!», mi sprona Ganesh.
  «È vero!», dice il Criceto, «poi ci fa buttare pure il Brodo Primordiale!»
IL BRODO PRIMORDIALE
[Un ampolla venne riempita d’acqua e la ruggine fece il resto, per anni il mondo di Elia Mangiaboschi attese l’Evento, il Risultato: un mondo acquatico sottopressione, senza ossigeno eppure vivo. Oggi, a vent’anni di distanza, i risultati si scorgono onnipotenti e le prime forme di vita nuotano nel fluido chiamato dai più: BRODO PRIMORDIALE].
  «Io sono Dio e tu non riuscirai MAI ad distruggere quel che ho fatto!», urlo a Simone.
  «Sono mesi che non puliamo, bisognerà pur far qualcosa…»
  «Paghiamo qualcuno, anche se siamo comunisti possiamo farlo! Pagheremo anche la tredicesima, lo giuro!»
  «Sai che sono contrario a far pulire la mia merda ad altra gente».
  «Un robottino allora! Prendiamo uno di quei fregnetti intelligenti e facciamo fare tutto a lui!»
  «No».
  «Bruciamo ogni cosa! Io la scopa non-la-prendo!»
Simone mi guarda, il secchio in una mano, il sapone nell’altra.
  «Cos’è quello?», mi chiede Ganesh allarmato.
  «Sapone per i pavimenti».
  «E a cosa serve?»
  «Lo ignoro amico testa d’elefante».
Simone inforca gli occhiali da sole e comincia a spolverare ogni cosa.
  «È pazzo», sussurro.
  «Metti un po’ di musica su», urla sculettando.
Peggio di Mary Poppins.
  Sconfitto mi avvicino allo stereo.
Simone, letteralmente, balla.
  «Elaborazione del lutto», mi dice Jung. «Sta provando a ricominciare.»
  «Se sei un amico», gli fa eco Noè, «dovresti aiutarlo…»
Potrei fuggire, dire che mi hanno chiamato al lavoro…
  «Oppure potresti umiliarlo e prenderlo in giro», mi suggerisce Ganesh.
  La polvere si alza ovunque. Starnutisco. Simone zampetta a destra e a sinistra, salendo sopra le sedie, sugli armadi e nella libreria.
  «Quelli no!», urlo fiondandomi sui libri che sta irrimediabilmente mettendo in disordine.
 «Generalmente, il caos è il disordine esistente tra l’ultimo ordine di cui si è a conoscenza e l’ordine futuro ancora da realizzarsi», dice Sun Tzu mentre volo sui romanzi.
  Ma ormai il danno è fatto.
Simone danza letteralmente in una nuvola di polvere uccidendo senza pietà tutti i simpatici parassiti che, con tanto amore, ho allevato in questi mesi. Spolvera mensole e sposta statuine, ride guardando il televisore incatramato e con la pezzetta strofina via anche lo sporco più ostinato.  Mastro Lindo nel frattempo scruta ogni cosa mentre gli adepti del fai-da-te lo venerano in ginocchio. «Uno di noi!», urlano a squarciagola, «Uno di noi!»
Io rimango immobile, pietrificato, bloccato dalla furia omicida del mio coinquilino; lo guardo agitarsi tra sedie alzate e tavoli lucidi, tirare fuori dal cilindro attrezzi di cui ignoravo l’esistenza e saponi al gusto di menta. È un tripudio di profumi e scintillii e sapori mai odorati. Ma nel frattempo, mentre il mio amico spazza via i suoi incubi, un olocausto si svolge sotto ai nostri piedi. Osservo disperato i ragni morire nelle loro stesse ragnatele, gli scarafaggi scappare terrorizzati, le larve di zanzare annaspare alla ricerca della madre.
  «Presto», grida Mastro Lindo, «il mondo sarà mio e voi tutti sarete miei schiavi!»
Poi bussano alla porta.
  «Vado io», piango.
  «Salve!», mi dice un uomo in giacca e cravatta.
No.
  «Lei è il signor…?»
  «Mangiaboschi».
  «Ah! Perfetto! Salve signor Mangiaboschi… ma possiamo darci del tu non è vero? Quanti anni ha?»
  «Vado per i trenta, più o meno».
  «Siamo quasi coetanei allora! Io vivo lontano da qui, poco fuori Roma, ho scelto la comodità della villetta a schiera, assieme a mia moglie e ai nostri tre gatti, due cani, quattro maialini e un bambino. Vuoi vedere le foto?»
  «Io… ma lei chi è?»
  «Oh oh oh».
Babbo Natale cazzo.
  «Non mi sono ancora presentato, che sbadato. Io sono il signor Rossi, Marco Rossi. Ma tu puoi chiamarmi Marco. O Mark se preferisci…»
  «Okay… Marco. Cosa, cioè…»
  «Posso entrare?», dice già dentro.
Lo osservo. È grande e grosso, robusto però, non grasso. Fa esercizi tutte le mattine, si vede: sollevamento pesi, flessioni, cose così. Ha pochi capelli e due occhi vispi, da piccolo imprenditore pazzo. Crede in se stesso, si vede. So riconoscere i nodi della cravatta, il suo denota sicurezza. È uno che vuole sfondare, come no. Ammicca e sorride, manco fosse il mio migliore amico. È pronto a vendermi l’anima della madre per far carriera.
  «Ma che bella casa Mangiaboschi, complimenti…»
Poi vede Simone.
  «Oh, vi disturbo per caso…?»
  «Ecco noi…»
  «I gusti son gusti, a ognuno il suo!», ride.
  «Ma veramente…»
  «Salve!»
  «Salve!», risponde il mio coinquilino.
  «Sta pulendo? Non si preoccupi, parlerò con il suo… amico…»
  «Okay, Elia pensa tu al signore, io sto spolverando il lampadario».
  «Elia, ma che bel nome… anche il mio maialino si chiama così… ho qui con me una foto, le posto su Facebook, adoro gli animali. Ecco, vede? È così bello, ti assomiglia quasi».
Pacca sulla spalla.
  «Vedi ragazzo mio, io sono qui per proporti, come dire, il top ecco. Ne avrete bisogno in questa casa. Lo vedo… come il tuo amico si ammazza di lavoro per pulire tutto questo. Beh, grazie a me non ne avrete più bisogno… ma che bei libri che hai!»
  «Grazie».
  «E li leggi?»
  «Quando capita sì».
Ora lo uccido. Avrà fatto i corsi di psicologia spiccia ‘sto cretino qua davanti. A farsi i cazzi della vita mia per vendermi, vendermi… già, cosa deve vendermi?
  «Anche io leggevo. E molto. Soprattutto i fantasy, hai presente no? Elfi, troll. Adesso no, adesso vivo… per altro...»
Pausa ad effetto.
Me lo immagino, assieme ai colleghi, ad ascoltare il guru motivazionale, tutto il giorno a fare esercizi di sorriso davanti allo specchio, a blaterare cazzate di cui non gliene frega un accidente.
  «Uccidilo Elia! Il suo corpo verrà mangiato dai vermi!»
  «Ma cosa vorrà vendermi Ganesh?»
  «Veniamo a noi, vedo che ti stai distraendo. Posso sedermi, grazie…»
  «Vuole un caffè?», urla Simone.
  «Come no!»
L’uomo si accascia sul divano ed estrae una serie di fogli. «Ecco Elia, sono venuto per proporti la Salvezza.»
  «Ohhh», bela il Criceto.
  «Vedi, la nostra missione è semplice. Banale quasi. Noi risolviamo problemi che gli altri sembrano ignorare. Fino a dove ci spingiamo? Oltre l’infinito amico mio, oltre l’infinito».
  «Caffè».
  «Grazie».
  «Simone resta qua», dico, «il signore ci vuole offrire un viaggio nello spazio».
  «No Elia», mi riprende Marco, «non sto scherzando. Vedi, la nostra generazione ha vissuto nella perdizione. Siamo inutili, senza speranze, privi di senso. Le nostre vite scorrono uguali e monotone. Non siamo cattivi, semplicemente non ce la facciamo».
Simone si siede sul divano, visibilmente colpito.
  «Quando ho comprato casa con mia moglie ho preso una decisione. Mai più avrei fatto la fame. Così ho studiato e mi sono dato da fare. L’università è roba passata, ora ci sono i corsi aziendali. E sapete cosa ho capito?»
  «Cosa?», domanda il mio coinquilino.
  «Che la pulizia è importante. Bisogna essere puliti, sempre e comunque. Pulizia prima di tutto.»
Simone annuisce, poi mi scruta, poi annuisce ancora.
  «È stata la mia azienda ad aprirmi gli occhi. Ero nessuno e, come voi, vivevo nello sporco.»
Lo guardo male.
  «Elia, siamo amici ormai, lasciami parlare. Lo sto dicendo per te», mi fa puntandomi l’indice addosso.
  «Sì Elia lascia parlare il signore».
  «Mia moglie stava per lasciarmi, i nostri animali, ho qui le foto, erano deboli e nostro figlio… nostro figlio non aveva un amico. Poi è arrivato lui e ogni cosa è cambiata. Mi ha aperto gli occhi, mi ha aiutato. Sono uscito dal tunnel. Ho le foto, del tunnel dico».
  «Anche io voglio uscire dal tunnel», lo implora Simone.
  «Lo so, lo so. Sono qui anche per questo. Una voce mi ha guidato fino a casa vostra, non credo fosse semplicemente il navigatore… c’era come, qualcosa in più ecco. Sapevo di poter aiutare due miei coetanei… dovevo. Grazie a me la redenzione è vicina. Ecco, vengo a proporvi il futuro. Il mio è il Verbo. La Parola fatta macchina». L’uomo estrae un lunghissimo aspirapolvere colorato.
  «Un aspirapolvere?», dico.
  «Non un semplice aspirapolvere Elia. Se non ti conoscessi ti taccerei di blasfemia, ma per fortuna siamo amici. Uniti nelle differenze. Noi non abbiamo sacchetti o filtri; vedete, le altre aziende cosa fanno? Consumano, o meglio, fanno consumare i propri aspirapolvere e di conseguenza il cliente. Causa effetto. Noi no. Noi nella Dul non utilizziamo sacchetti per i nostri aspirapolvere. Pensate, sono dotati di filtri lavabili permanenti, quindi niente materiali di consumo e quindi…»
  «…E quindi?»
  «…Nessun costo aggiuntivo».
  «Cazzo Elia è un venditore porta a porta», mi dice Simone. «Caccialo».
Eh. Io non lo so cacciare. È un lavoratore in fondo, l’ultima ruota del carro, mica posso mandarlo via così.
  «Farò finta di non averla sentita.», dice Marco al mio amico, «Ma torniamo a noi. Policarbonato ABS! Sai cos’è Elia? Lo stesso materiale utilizzato per gli scudi anti-sommossa e i caschi di sicurezza! Re-sis-ten-te! Dotato di un microprocessore interno intelligente in grado di risolvere impossibili equazioni matematiche! Emette aria pulita! ARIA PULITA! Se credi nella natura devi assolutamente provarlo. Comprando questo apparecchio stupendo contribuirai a salvare la nostra amata Terra… potenza e aspirazione doppia rispetto a qualsiasi altro aspirapolvere senza uso di filo! Gli altri perdono aspirazione, la nostra scienza non lo farà mai… perché qui signori stiamo parlando di scienza, di progresso…»
Bussano alla porta. Corro ad aprire, Simone sgattaiola via a pulire il tavolo, Marco rimane solo a parlare, Ganesh mi segue abbattuto, il Criceto fa il criceto e la famiglia di scarafaggi ascolta Marco interessata.
È Anda la portinaia. «Cosa succede qui?»
Mi guardo intorno, Simone sta combinando un casino: i libri sono tutti a terra, le ragnatele avvolgono le pareti, i tappeti sono rigirati, il frigorifero è aperto.
  «Pulzie di Natale», dico per smorzare la tensione.
Anda guarda prima me, poi Simone che danza in costume, occhiali da sole e parannanza e infine Marco, il nostro nuovo amico.
  «E lui chi è?»
  «Marco, il nostro nuovo amico.»
La portinaia si sistema i capelli e si avventa sull’uomo.
  «Che fa, ci prova?», mi chiede Ganesh.
  «Così pare…»
La donna e il venditore porta a porta parlano fitto adesso, comodamente adagiati sul divano.
  Bussano alla porta.
È Lola. «Elia, fortuna che ci siete… ho assolutamente bisogno di un pacco di… ma che è ‘sto casino?»
  «Ti prego Lola, posso venire da te?»
  «Meglio di no, c’è uno…»
Dall’appartamento accanto la coppia novella comincia ad urlare.
  Bussano alla porta. È la vecchia del piano di sopra. «Comunque giovanotto ho ripensato a lungo alla storia dei tacchi. Lei non deve permettersi…»
Guardo Simone.
Guardo Lola.
  La porta è ancora aperta, uno sguardo veloce e sono fuori, ancora mezzo svestito, nella città dal sapore natalizio, tra le cartacce e le automobili, libero. Alzo lo sguardo, la stella cadente della mattina sfreccia nel cielo, le luci si accendono e si spengono. Corro più veloce della luce e mi fermo solo quando scorgo la natura.
  E lì, nella campagna romana, alzo gli occhi e li vedo, i vermi e i serpenti che sorridono sereni, zen quasi.
  «Elia Mangiaboschi», dicono beati, «Padrone & Signore del cielo, della terra e del frigorifero, unisciti a noi… abbandona tutto, ogni cosa e diventa il nostro nuovo Re.»
Per un attimo ci penso,  poi crollo a terra distrutto. Cazzo, io la odio la quotidianità.

Bisogna avere un caos dentro di sé, per generare una stella danzante”.
Friedrich Nietzsche

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