Mi sveglio che la sensazione è strana.
C’è qualcosa che non va.
È tipo un serpente che si aggroviglia
attorno alla colonna vertebrale, che sale su e chiede solo di uscire, di essere
libero. Non riesco a focalizzare subito la sensazione ma mi muovo, mi agito,
come se dovessi scrollarmi di dosso un pensiero brutto.
Mi alzo piano, scrupoloso quasi.
Tipo una percezione,
differente dal solito ma non nuova.
L’ho già provata.
Quando?
Fuori dal letto.
Formicolio. Qualcosa di brutto.
Sì ma cosa?
«Simone!», mi dice allarmato Ganesh. «Sarà morto sicuramente! L’avranno
ucciso i capitalisti! Simbolo incompreso della disoccupazione (ex) giovanile!»
Apro la porta della camera del mio coinquilino. Fosse veramente morto…
«Potrebbe essersi ucciso! Lo troverai riverso in un lago di sangue nel
suo letto e, cosa ancora più grave, dovrai lavare tutte le coperte!»
Stringo gli occhi, il buio è ovunque.
«Simone…», sussurro.
Poi lo vedo, è sdraiato. E russa.
Mi chiudo la porta alle spalle piano, senza far rumore.
C’è qualcosa di strano nell’aria, non
riesco a capire ma puzza. La cosa dico.
«Non è che hai lasciato quel peperone di due settimane fa in frigo?», mi
chiede il Criceto teneramente posato sulla mia spalla.
«Per una volta la bestiolina ha ragione Elia… e se nel frigorifero si
fosse creata una terribile forma di vita mutante e non aspettasse altro di
uscire per divorare l’intera razza umana? Pensaci, sarebbe tutta colpa tua»,
dice Ganesh.
«Ha ragione! Armati, proteggici tutti!»
Inforco il casco di Simone, la bandana
dei cortei, un giubbotto antiproiettile e ci sono.
«L’arma l’arma!», mi ricorda il
Criceto.
Prendo il mestolo, quello grande.
Davanti al frigo.
Mi fermo.
Respiro piano.
Apro.
La luce mi acceca.
«Moriremo tutti!»
Guardo. Non c’è niente, il frigorifero è
completamente vuoto.
«Non è vero, osserva attentamente: le merendine biscotto mou e
cioccolato, il latte condensato, il gelato alla vaniglia sciolto, le pesche
sciroppate, il succo alla pera scaduto, due bottiglie di aranciata, la boccia
di vino del Todis e…ma quello cos’è?!?»
Sgrano gli occhi. Cazzo il peperone.
BREVE CONVERSAZIONE TRA ME, IL VERME
CAPOFAMIGLIA CHE HA OCCUPATO IL PEPERONE E GANESH:
ME: C’è un verme Cristo!
VERME CAPOFAMIGLIA: La prego Signor Elia
Mangiaboschi Padrone & Signore del cielo, della terra e del frigorifero,
non ci uccida! La mia famiglia è qui, guardi…
ME: Uno due tre quattro cinque sei, ma
quanti siete?
VERME CAPOFAMIGLIA: Centoquindici
Signore, per servirLa Signore…»
ME: Dovrei buttare il peperone, la muffa
sta coprendo ogni cosa.
VERME CAPOFAMIGLIA: Non lo faccia! È la
nostra casa! Guardi, vede i miei piccoli, guardi che bel musino che hanno…
chiari chiari…
ME: Sono belli è vero, ma la mia
incolumità…
GANESH: Umano senza cuore! Uccidere così
un’intera famiglia! Che tu sia maledetto!
Chiudo il frigorifero, il peperone
ancora dentro.
«Aspetti!», sento urlare.
«Verme, cosa vuoi ancora?»
«Credo di sapere cosa La affligge».
«Lo sporco?»
«No».
«La fine degli ideali?»
«No».
«La cena a base di surgelati di ieri sera?»
«Cucinava Simone», dice il Criceto.
«Eh».
«No».
«E cosa allora?!? Dimmelo, prima che ci ripensi e vi sfratti tutti
quanti!»
«Basta uscire di casa Signor Elia Mangiaboschi. Un passo fuori e capirà ogni cosa…»
«Ha ragione Elia, più veloce della luce!»
Corro, faccio colazione con la merendina
al cioccolato e il caffè e la sigaretta, caco senza che la mia cacca intasi
niente, mi lavo e finalmente esco.
E quando esco
capisco.
C’è Anda la portinaia.
C’è Anda la portinaia china a terra.
C’è Anda la portinaia china a terra, lo
sguardo concentrato.
C’è Anda la portinaia china a terra, lo
sguardo concentrato e le lucine ovunque.
Oh no.
Il mio Io scava nella memoria, come una
Ferrari rosso fiammante percorre le strade dei ricordi, salta semafori e si
avventa sui pedoni. Poi si ferma davanti ad una porta rossa.
«Metti l’allarme, non si sa mai con ‘sti neuroni», suggerisce il
Criceto.
Sono davanti alla porta.
«Non aprirla!», urla Ganesh.
Ma ormai è troppo tardi.
Rimango pietrificato, un brivido freddo mi attraversa la schiena,
stringo la sciarpa. Sono perduto.
Anda sorride. «Che ne dici?», mi chiede,
il rossetto ben spalmato sulle labbra. «Lola lo trova fantastico!»
«Non darle un dispiacere! Non essere cattivo!»
Io lo odio. Le fiamme dell’inferno mi
avvolgono. Il diavolo sorride maligno. Marx accanto a lui mi guarda, aspettando
la mia mossa.
«Anda è una donna semplice Elia, non scoraggiarla! Guarda con che amore
ha posizionato il tutto!», spiega Ganesh.
«Il problema non è Anda, mio giovane rivoluzionario, ma quel che sta
facendo», mi imbocca Marx. «Bisogna educare le masse».
Sono combattuto.
Opzione A: Bardarmi dalla testa ai piedi
e commettere atti di terrorismo. Black Bloc power.
Opzione B: Fuggire via e chiudermi in
casa, fino a che tutta questa storia non sarà finita.
Opzione C: Affrontare la realtà e vivere
da uomo.
«Sii uomo!», mi incoraggia Gandalf comparso dalla Terra di Mezzo.
«È bellissimo Anda, un vero capolavoro…», sorrido.
Anda si scioglie.
Sono dentro. Devo giocare.
«Chi siamo noi?»
«Uomini!»
«E cosa vogliamo?»
«Decorare decorare decorare!»
L’albero di Natale è immenso, pieno di
palline colorate, Gesù bambini prematuramente crocifissi, stelle cadenti,
lucine e tocchi di neve artificiale.
È Natale cazzo.
Mi reggo alle scale, gli addobbi sono
ovunque.
E ora, Signori & Signore, mentre tutto
attorno a voi (e a me) acquista colore e il rosso macchia le strade, in questo
felice momento di giubilo prefestivo, quando tutti, e dico tutti, si ammassano
nelle strade comincia…
LO
SPAVENTOSO INCUBO DEL NATALE
Uhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
«Che è?»
«Il coso là, l’urlo del fantasma insomma, c’hai presente no?»
LO SPAVENOTOSO INCUBO DEL NATALE, detto
anche LO SPAVENTOSISSIMO INCUBO SENZA FINE DEL NATALE colpisce i più intorno al
quindici dicembre. D’improvviso le strade si riempiono di addobbi natalizi,
Babbo Natale infesta ogni cosa e il traffico inghiotte la città.
I
più avventurosi si immergono lungo viale Marconi alla ricerca del regalo
sgargiante.
Le finestre dei palazzi colano mocciolo di stelline fosforescenti.
Babbo Natale, novello ladro della società del controllo e della
sicurezza, si arrampica lungo i balconi, lo sguardo di chi la sa lunga.
Urla,
disperazione e caos.
Io cerco di non pensarci, mi comporto
come sempre, faccio finta di niente, rimuovo quasi l’allegra festività.
Ma poi
nel buio della notte
Gesù bambino viene a ricordarmi i miei
doveri.
GESU’ BAMBINO: Figliolo, per anni hai
creduto al buon Babbo Natale, senza sapere che il vecchio altri non era che la
fortunata pubblicità di quella nota bibita che tanto disprezzi.
IO: La Coca-Cola?
GESU’ BAMBINO: Bravo ragazzo, sai quanto
la odiamo, il tuo amico Bakunin ed io dico…
IO: Lo so Gesù bambino. Ma al tempo, ero
un marmocchio insomma…
GESU’ BAMBINO: Non credevi in Dio già
allora. Però a Babbo Natale eccome ci credevi.
IO: Era tutta convenienza, glielo giuro!
Tutta ‘na roba di regali! Fregavo i miei no? Voi mica li portate i regali,
ecchecazzo… ops, mi scusi Gesù, però
pure tutta ‘sta storiaccia dell’Ici… eh…
GESU’ BAMBINO: Povero piccolo Elia, così
attaccato a questa vita materiale. Sono qui per altro però. Sono qui per
ricordarti la carità cristiana.
IO: Ma Gesù mi scusi, io non sono
cristiano.
GESU’ BAMBINO: Ma il Natale è LA festa.
A Natale siamo tutti più buoni.
IO: E quindi?
GESU’ BAMBINO: I tuoi genitori si
aspettano qualcosa da te. Un dono. Un pensiero. Un omaggio floreale.
IO: Cederò così alle lusinghe del
consumismo! Sarò costretto a vagare alla ricerca del regalo perfetto! Perché
Dio!?! PERCHE’!
Non puoi sfuggire al Natale. Il Natale è ovunque. Per quanto tu possa
odiarlo lui è lì con te, sempre. Il Natale è nelle pubblicità, nei film
natalizi, in televisione e nelle serie televisive, al cinema con i cinepanettoni
e i cartoni della Disney, in strada, nel cibo, al lavoro, a cena, ma
soprattutto è nelle orecchie.
Da quando ho scoperto che è Natale canticchio sempre la stessa canzone:
E’ Natale e a
Natale si può fare di più,
è Natale e a
Natale si può amare di più,
è Natale e a
Natale si può fare di più
per noi:
a Natale puoi.
Che insomma, è come dire che a Natale posso fare quello che cazzo mi
pare, una cosa di un egoismo assurdo, cioè, onesto, onesto ma egoista. Bacchettone,
sì lo so.
Comunque, la canzoncina mi entra in testa come un mantra e la canto più
di Jingle bells, non posso farne a meno e a ogni strofa divento più cattivo. È
peggio che vivere insieme all’omino autistico della Conad, «Amore, c’è un
problema».
Pedalo sempre più frenetico, sgattaiolando tra le automobili piene di
bambini urlanti.
«Vai più piano Elia!», mi implora Ganesh.
Ma io non posso fermarmi; li vedo,
dentro i cubicoli, ‘sti famiglioni tipicamente italiani con il sorriso da
psicofarmaco stampato sul volto, già pieni di pacchetti e pacchettini, i figli
a rimorchio sbattuti su passeggini di plastica e stoffa, urlanti al punto
giusto, il ciuccio sgranocchiato sempre in bocca. Li vedo e penso, “‘Cazzo gli
regalo ai miei”.
Al lavoro è ancora peggio. Tutti parlano di regali, l’Uomo-Che-Parla-Con-La-Stampante
medita di regalare un fiocco rosso alla stampante, Gina vuole assolutamente un
nuovo smalto per le unghie «Per capodanno, sai quanto rimorchio?», Manolo un
paio di scarpe da settecentonovantanove euro e novantacinque centesimi e il
signor Marco un massaggio in uno di questi centri massaggi di dubbia fama. C’è
pure l’omino della Conad, quello autistico, che c’ha tutte offerte da proporre
ma nessuno se lo incula, da quando la moglie ha chiesto il divorzio.
«Adotterò un bambino africano!», dice la figlia del Principale
ticchettando le dita sulla scrivania lucida.
«Ed io un cammello!», le fa eco un troll.
«Io donerò un euro e sette centesimi per gli orfani del Darfur!»
«Ohhh, come siete buoni!»
«A Natale siamo tutti più buoni!»
«Se non si è buoni a Natale…»
«George
Clooney ce l’ha insegnato…»
«La sua campagna nel…»
«Nel…»
«Nel Darfur appunto! George mi ha aperto gli occhi!»
«Dobbiamo aiutarli sì…»
«Ma a casa loro…»
«E tu Elia?»
«Io?»
«Ci sono così tanti bambini che muoiono di fame… donerai, non è vero?»
Sì, un qualche movimento rivoluzionario che vi sterminerà tutti!
Ah! Ah! Ah!
«Uh, certo. Gattini. Come
quelli che postano su Facebook. Gattini bianchi. E neri anche. Cioè, non li
dono eh… la faccio, la donazione dico».
«Che amore…»
A
Natale puoi…
Esco di corsa. Non troverò mai il regalo per i miei genitori. Afferro la
bici ed ecco, ci sono anche io, inglobato nel Malefico Mondo Del Regalo Di
Natale.
A viale Marconi l’intera strada è in festa. Supero una Befana gigante,
un uomo travestito da cellulare, un altro con un costume da renna arrugginita.
Entro in libreria e il caldo mi assale.
«Signore, ehi signore», un bambino mi afferra una gamba.
Lo scanso con un calcio. Odio i bambini,
per anni ho fatto l’animatore, sono arrivato ad un punto in cui non li sopporto
più. E poi a Natale IO odio tutti.
DIO: Elia, un tempo non era così,
ricordi come aspettavi il Santo Natale ogni anno, tutti gli anni, assieme alla
tua famiglia?
ELIA: Dov’è tuo figlio, parlo solo con
lui io.
DIO: Al bagno, ci sta le ore. Ieri sera
s’è un po’ abbuffato, sai com’è fatto.
ELIA: Dio scusa tanto eh, però cioè, lo
vedi dai…
DIO: Cosa?
ELIA: Come stanno tutti no? Sembra si
siano pippati dodici botte di anfetamina… maddai…
DIO: Chiedi scusa al bambino Elia.
ELIA: Ma no Dio, giammai.
DIO: Senti piccolo stronzetto, chiedi
scusa al bambino o giuro che ti caccio all’inferno a calci in culo!
Mi volto verso il marmocchio, «Scusa bel bimbo», sorrido.
«Che vuole da mio figlio?»
«Niente, solo scusarmi».
«Cosa le ha fatto?»
«Assolutamente nulla».
«Voleva rapirmi papà», dice il bimbo con sguardo angelico. «E portarmi
nel campo degli zingari».
«Ma non è vero!»
«Sporco comunista zingaro! Anche a Natale vi ci mettete! Andate a
lavorare drogati!»
Corro via. Non farò mai il regalo ai miei.
A
Natale si può fare di più…
A casa accendo il computer, casomai trovo qualcosa su internet.
La pagina di Google si riempie di
colori.
Apro
Facebook:
ERNESTO SON LESTO: “Quest’anno
mi voglio fare un albero di Natale di tipo speciale, ma bello veramente. Non lo
farò in tinello, lo farò nella mente, con centomila rami e un miliardo di
lampadine, e tutti i doni che non stanno nelle vetrine”.
MASSIMO DELLAPENA (noto avvocato per i
diritti dei minori e delle specie in via d’estinzione): “Un Natale pieno d’amore, c’è chi soffre su questa terra, c’è poca pace,
ma c’è guerra. Una preghiera mio piccino, lo dico a te Gesù bambino”.
GIOVANNA CARAMELLA: “Il mio piccolo cane nero festeggia il Natale
con me. Non abbandonate gli animali, chi abbandona gli animali è un MOSTRO”.
E poi giù, valanghe di foto di gattini,
topini, cricetini, leoncini e Befanine.
Provo con Twitter, che si sa è più serio. Scrivo: “Vi prego, ho bisogno di un regalo per il padre e la madre!”.
In un attimo mi arrivano valanghe di
risposte:
“Un libro, regalare un libro è
sempre cosa originale!”
“Un film, regalare un film è
sempre cosa originale!”
“Un fumetto, regalare un fumetto è
sempre cosa originale!”
Spengo il computer, apro il frigo ormai
invaso dai vermi. Mi guardano, stanno diventando belli grandi. «Come crescono»,
dico a Verme Capofamiglia.
«Sono il mio orgoglio! Jacob, Jake, Jalen, James, Jared, Jarod, Jason,
Jasper, Jay, Jaylen, Jeb, Jed, Jeff, Jeffery, Jem, Jemmy, Jep, Jericho, Jerold,
Jerrod, Jesse, Jim, Jimi, Joby, Joe, Joel, John, Johnie, Joseph, Josh, Joshua,
Judah, Jude, Julian, Julius, Junior, Justin, Jert e Batuffolo, vi presento Elia
Mangiaboschi, Padrone & Signore del cielo, della terra e del frigorifero».
«Salve ragazzi».
«Salve Elia Mangiaboschi».
«Il mio coinquilino vi ha visto?»
«Oh no, ci ucciderebbe senza pietà. Ci nascondiamo bene noi…», mi spiega
Verme Capofamiglia.
Chiudo il frigo e vado da Simone. «Oh»,
dico.
«Oh», risponde.
«Beh…»
«Eh».
«Uh».
«Ah»
«Senti, non so che fare ai miei per Natale».
«Cosa?»
«Non so che fare…»
«Quello l’ho capito… ma tu hai detto… NATALE?!?»
Ora, dovete sapere che il concetto
spazio-tempo per Simone è irrimediabilmente mutato. Senza lavoro ha perso
completamente la cognizione del tempo, non sa che giorno è o che ore siano,
segue solo lo scorrere della notte e del giorno. È perso, tipo un animale in
gabbia.
«Natale?», ripete toccandosi la pancia sporca di sugo.
«Già.»
«Oh mio Dio! Come farò!?! Papà, mamma e fratello, tutti senza regalo! E
due su tre sono nati a dicembre! Maledetta povertà! Maledetto sistema
corrotto!»
«Consolalo!», mi dice Ganesh.
«Oh, dai. Vedrai… passerà. Ecco sì, passerà. Mi sembra buona come cosa
no?», lo rassicuro facendogli pac pac
sulla spalla.
«Passerà!?! Sono un uomo finito cazzo!»
«Maledizione! È entrato in piena depressione natalizia! Devi salvarlo
Elia!»
«Non so come fare amico Ganesh!»
«Uccidilo».
«Cosa?»
«Uccidilo e nascondi il corpo!»
«Simone, ehi… dai, faccio uno spino. Per i regali chiama tuo fratello
no, ci pensa lui, poi i soldi glieli ridai.»
«Dici?»
«Certo…»
«Cioè, la canna… la fai?»
«Sì sì.»
«Accendi pure la Play dai e cucina qualcosa. Qualcosa di buono, sono
depresso, tipo che non c’è niente in frigo, giusto un peperone marcio, tocca
fare un po’ di spesa. Se vuoi andiamo insieme al supermercato, anche se lo sai
che sto male, il supermercato mi ucciderebbe, a te mica ti dispiace invece, ché
vuoi comprare sempre tutte quelle schifezze vegetariane. Però fai un po’ te,
cioè… sì, decidi tu ‘nsomma. Io ci vengo pure, tanto vado a fare yoga poi.
Quaranta giorni gli stessi esercizi cazzo. Antidepressivi, dicono. Mah».
Dormo sognando di arrampicarmi su immensi alberi di Natale innevati, le
punte a conficcare la carne fresca, morbida. Mi sveglio urlando che è già
mattina. Dai piani più in alto la vecchia sbatte i tacchi.
Toc toc
Toc toc
Canta anche, «Tu sceeeeendi dalle stelle
o Re del cieeelo, e vieni in una grotttaaaa al freddo e al geeelo».
Non la sopporto. Raccolgo la scopa e
comincio a battere sul soffitto. Niente. Continua.
«O Bambino mio divino…»
Ora salgo.
«Non farlo Elia, mantieni la calma, è anziana, ha sicuramente più potere
di te… alla prossima riunione di condominio potresti essere cacciato».
«Ganesh, magari mi cacciassero dalle riunioni…»
«Stupido, dal condominio!»
«Ah quanto ti costòòò l’avermi amaato».
E poi via, un paio di passi di Tip Tap.
Io l’ammazzo.
Esco in pantaloncini e eskimo e corro su, due scale alla volta.
«Signora!»,
busso. «Signora!»
Nessuno risponde.
«Signora!»
«Chi è?»
La stronza non apre.
«Sono Mangiaboschi signora, quello del piano di sotto. La prego, è
mattina, è presto. Cantare e ballare…»
«Ballare?»
«I tacchi signora…»
«Ma io non ho i tacchi…»
«E allora le zeppe, i cosi di legno, non lo so! Ma la prego, la smetta!»
La vecchia sussurra, sempre da dietro la
porta: «Giovanotto, prima di accusare ascolti bene. Non sono io a far tanta
caciara, è quello del piano di sopra. Le pareti qui sono sottili sottili, si
sarà confuso…»
«La voce era la sua».
«Io non canto dal cinquantaquattro. Glielo ripeto, non sono io, vada al
piano di sopra a lamentarsi. Non se ne può più. Veramente. E anche lei, un po’
di cuore. È Natale. Ora via, la porta intanto non la apro. E non voglio niente!
Lo so come fate voialtri! Ho già dodici enciclopedie qui con me! E anche il
piumone. Ha capito bene sì. Non si può star tranquilli un attimo al giorno
d’oggi, altro che Natale. Vada via su, o chiamo l’amministratore!»
Scendo,
amareggiato e sconfitto.
Non troverò mai niente.
Rimango immobile a guardare il frigo
vuoto, pieno zeppo di vermi giganti.
«Cosa La affligge Signore & Padrone del cielo, della terra e del
frigorifero?», mi chiede Jake, o Junior, non ho capito bene.
«Cosa ne vuoi sapere tu giovane verme solitario? Non so cosa regalare ai
miei genitori per Natale».
«Natale? E cos’è il Natale?»
«Una festa orribile, te lo assicuro. Una cosa di stress, caos e
consumismo, dove tutti sono obbligati a fare i regali».
«E perché festeggiate lo stress?»
«Una roba religiosa».
«Come il peperone?»
«Di più, almeno il peperone voi lo vedete».
«Come Lei? Che è il nostro Signore & Padrone del cielo, della terra
e del frigorifero?»
«Una mezza specie forse.»
Mi sento quasi lusingato.
«Però peggio, è tipo ‘na droga ‘sta storia del Natale; ti parte
l’embolo. Tutti frenetici, canzoncine ovunque e addobbi che fanno cacare.»
«E perché Lei festeggia?»
«Obblighi».
«Il mio obbligo è mangiare».
«Il nostro invece è festeggiare il Natale. Ma vedi, mio piccolo amico,
non so come fare. In fondo i miei ci tengono, anche se sono comunisti».
«I comunisti non festeggiano il Natale?»
«No. O almeno non dovrebbero… però stiamo in Italia, il Natale è
importante. Mica si possono distruggere le tradizioni così, eh…»
«Potresti regalargli i gamberetti».
«Cosa?»
«L’ecosistema progettato dalla NASA…»
«E dove lo trovo?»
«Ohhh, in molti negozi… ma
dove ti consiglierò io è meglio, è speciale…»
La strada è una di quelle strade oscure, dove i palazzi crescono alti,
ammassati l’uno sull’altro e la luce del sole non filtra mai. Le serrande delle
finestre sono tutte abbassate, i vicini possono vedere, da un edificio
all’altro, la vita che scorre negli appartamenti, quindi calano tutto,
condannando le case ad un buio totale. Un gatto miagola appollaiato sulla massa
di rifiuti gettati a terra, mi guarda un attimo, la lingua penzoloni, così
pieno di pulci da fare impressione. A terra sembra ci sia stata una guerra di
cartacce e assorbenti e siringhe, come se una farmacia intera avesse messo
all’asta tutti i suoi prodotti. I muri sono coperti di scritte e dichiarazioni
d’amore cancellate, mutate, manomesse. C’è puzza di uovo marcio. Mi stringo nel
cappotto. Al centro della via c’è un negozio con un’insegna malandata, tatuata
con un pennello tremolante, un carattere vecchio, d’altri tempi. Busso. La porta
si apre da sola. Entro piano, come fossi risucchiato da una forza antica,
atavica quasi. Ad accogliermi mille statue di mummie, vampiri e licantropi.
Sulle mensole, posate con finta noncuranza, tredici maschere di cartapesta,
fungo e legno aspettano solo di essere indossate. A terra un grande tappeto
bucato sembra nascondere botole segrete.
«C’è nessuno?»
Odore di incenso.
Al bancone le statuine di elfi e fate mi guardano, coperte da un sottile
strato di muschio verde.
C’è un’altra sala, un po’ più piccola, piena di antichi disegni
dall’alfabeto sconosciuto stampati su un materiale che sembra pelle, forse
cuoio. Un grande ouroboros sovrasta il tutto, poco sotto il lampadario di
cristallo e sette pupazzi (di quelli per i ventriloqui) mi osservano come
fossero vivi.
«Buongiorno».
Mi volto di scatto.
Un uomo alto e molto vecchio mi guarda. Ha una lunga barba bianca che
gli termina sul torace e due occhietti fini contornati da spesse rughe
sbiadite. Le mani sottili si allungano a mostrare unghie che non vengono
tagliate da molto molto tempo. È elegante, molto elegante, come fosse appena
uscito da una serata di gala.
«Salve, io... mi ha consigliato il suo negozio…»
Un verme, ma questo non posso dirglielo.
«Lei è qui per un regalo, non è vero?»
«Come fa a saperlo?», mi chiede Ganesh.
«È Natale testa d’elefante, ovvio che sono qui per un regalo».
Il vecchio mi studia. «Potrei leggerle
la mano o i tarocchi… cosa vuole?»
«Sto cercando qualcosa per i miei genitori… i… i gamberetti ecco».
«Forse avrebbe dovuto provare in pescheria», ride l’uomo.
Rido anche io, per educazione. «Quelli
della NASA», dico.
Il vecchio si fa serio. «I gamberetti
dello spazio».
«Già».
«Dello spazio…», ripete Ganesh tutto fomentato.
«Aspetti qui».
L’uomo si allontana, per tornare un
attimo dopo con una sfera in mano. Nella sfera c’è un piccolo ecosistema e lo
stemma NASA ben visibile.
«Una cosa tipo Area 51», gioisce Ganesh.
«Da qui», dice il vecchio alzando la sfera, «niente entra tranne che la
luce del sole. Questo è un ecosistema in miniatura che racchiude le attività
fondamentali della nostra Terra. All’interno sono presenti dei gamberetti rossi
e alghe grandi e microscopiche che producono ossigeno e cibo per gli animali. È
un ciclo, è la natura. Il futuro… alcuni di loro sono stati mandati nello
spazio profondo, alla ricerca di nuove forme di vita, per arrivare là dove
nessuno è mai giunto prima».
«Ohhh», faccio io ammirato.
Guardo la sfera, da dentro un gamberetto
mi osserva, sembra sorridere.
Sono fantastici. Li voglio. Papà e mamma saranno felicissimi. Pago senza
pensarci due volte, nonostante il prezzo sia esorbitante, quasi da straordinario
al lavoro. Ma non posso farne a meno, la biosfera è il simbolo del viaggio
interstellare e Christopher Nolan, al gamberetto, gli fa ‘na pippa.
Arrivo a casa felicissimo, voglio far vedere i gamberetti al mio
coinquilino e ai vermi del frigo, ma quando entro ad accogliermi trovo un
cimitero di larve. I vermi sono ovunque, sul soffitto, a terra, sui mobili
della cucina. Molti sono spiaccicati, altri si muovono con difficoltà, divisi
in due da una mano cattiva. Al centro di tutto Simone, con un grembiule da
cucina imbrattato, che ansima disgustato.
«Cosa hai fatto?», urlo.
«Elia… erano ovunque… uscivano dal frigorifero… stavano colonizzando
casa… io… è stata una guerra, ma credo di aver vinto…»
«Nooo! Erano miei amici! Che tu sia maledetto! Dov’è il peperone?»
Simone indica il secchio
dell’immondizia. «Volevo uscire a buttarlo, ma ero troppo stanco… fallo tu, ti
prego. Ora vado in camera, ho bisogno di riposo».
Mi fiondo a cercare l’ortaggio. Eccolo. Alcuni vermi escono disperati.
«Elia Mangiaboschi è tornato!», geme Jacob.
«Dov’è vostro padre?»
«È morto combattendo… narreremo le sue gesta ai nostri figli…»
«Ma cos’è successo?»
«Avevamo colonizzato il frigorifero, eravamo troppi ormai. Nostro padre
aveva scelto di uscire, per osservare il mondo esterno. Volevamo andare via,
scoprire la natura, trovare nostri simili. In mille abbiamo spinto verso la
libertà. Il frigo si è aperto, siamo usciti. Lo giuro Elia Mangiaboschi,
Signore & Padrone, saremmo andati via, già avevamo adocchiato la finestra…
ma proprio in quel momento il perfido diavolo è spuntato dal nulla. È stato un
olocausto… i nostri fratelli…»
Rimango senza parole. «Ho preso la
biosfera», dico tirandola fuori dallo zaino. I vermi la osservano, i gamberetti
fanno lo stesso. C’è tipo un momento di connessione animale ed io, l’uomo, sono
al centro di tutto, come fossi una divinità.
«Adesso non ti montare la testa», mi rimprovera Ganesh.
«Salvaci ti prego, non vogliamo morire spiaccicati dall’Ama, triturati
dalle sue lame metalliche».
«Mai». Raccolgo il peperone, i vermi si attorcigliano attorno alla mia
mano. Esco di corsa senza farmi vedere da nessuno, la luce flebile del tramonto
ad illuminare i miei passi. Poco tempo per raggiungere la campagna di Trigoria.
«Ecco», sorrido ai vermi. «Qui, tempo fa, abbiamo salvato un gruppo di
serpenti. Andate miei piccoli amici, siete liberi».
Poso il peperone ormai putrido a terra.
I vermi si guardano attorno, poi guardano me. «Grazie», dicono tutti insieme.
«Elia Mangiaboschi, Signore & Padrone del cielo, della terra e del
frigorifero. Cercheremo nostri simili, scopriremo questo regno sconosciuto e ci
moltiplicheremo all’infinito. E un domani, in un futuro lontano, verremo a
trovarti. Perché noi, Elia Mangiaboschi, siamo già dentro di te. Siamo dentro
tutti voi, che pensate di poterci uccidere. Noi nasciamo dal vostro marciume,
quando il corpo cede, chiuso in una bara ormai decrepita. Ci nutriremo del tuo
corpo, ma lo faremo con educazione, con garbo quasi, come l’ostia sacra donata nelle
chiese di tutto il mondo. Buon Natale quindi».
Cazzo non fa una piega.
Li guardo allontanarsi, questi vermi
solitari, dal peperone, verso un futuro radioso. Poi torno sui miei passi,
verso casa, curioso di ammirare le nuove forme di vita (i gamberetti) nella
biosfera che tutto può.
Oggi Trigoria, domani il mondo.
“È
Natale da fine ottobre. Le lucette si accendono sempre prima, mentre le persone
sono sempre più intermittenti. Io vorrei un dicembre a luci spente e con le
persone accese”.
Charles Bukowski
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