Io
non vi parlerò delle montagne del Nepal, dell’Annapurna e delle lunghe
scarpinate -vesciche- nelle foreste, delle grandi sanguisughe attaccate alle
caviglie, della via del sale che collega l’India al Tibet con i suoi ripidi
scalini di pietra; non vi racconterò delle vette innevate e delle scimmie,
macachi per lo più, che si avventano sul turista sprovveduto, del mio
impermeabile sempre, perennemente, bagnato e del raffreddore preso a tremila
metri; non vi dirò delle persone, dei nepalesi, di un popolo che non ha niente
ma il sorriso non gli manca mai; non vi narrerò delle cene a casa di
sconosciuti, dei momo e dei noodles e del riso e dell’incenso sempre e ovunque;
non vi parlerò dei tetti di Patan, dei monasteri, di Katmandu e del Boudhnath (i
suoi occhi ti guardano, ti fissano ogni istante, scrutano dentro di te, nei
meandri più nascosti dell’anima), di Bhaktapur e di Durbar Square, dei capricci
erotici degli artisti, delle pose quasi pornografiche, del principio del
piacere come atto religioso, di Thimi, la piccola Thimi, e dei suoi vasi
seccati al sole e dei vecchi e delle mani callose e della fornace immensa
fornace, del tempio di Changu Narayan e delle sue statue, dei naga, dei mostri
terrificanti, degli squartamenti; non vi riferirò della marijuana che cresce
libera sul ciglio della strada né delle comunità di tibetani e delle bandierine
colorate, mantra ripetuti ossessivamente, dei mandala disegnati con cura da
artigiani del pennello, delle cittadine newari e dei palazzi con le finestre in
legno e delle persone che ci vivono, dentro i palazzi, e del buio nei palazzi e
dell’elettricità che va via ogni due ore; non vi dirò della cucina e del mal di
pancia e neanche dei sacrifici di animali in onore della terribile dea Kali (ho
visto uomini, donne e bambini camminare su pavimenti di sangue galline sgozzate
teste di capra); non vi parlerò della sanità che non esiste, dell’assenza di
scuole pubbliche, degli ottanta euro al mese guadagnati da un nepalese medio.
No.
Io
vi parlerò della
MALEFICA
TIRANNIA DELLA LONLEY PLANET
La Malefica Tirannia della Lonley Planet (MTLP) colpisce i viaggiatori
zaino in spalla, quelli «No Alpitour, ahi ahi ahi», coloro che prendono, fanno
il biglietto e partono. Colpisce un po’ tutti quindi, almeno tutti quelli che
hanno sotto i quaranta anni e che non vogliono il viaggio preconfezionato in un
albergo di lusso o in un villaggio turistico. Colpisce giapponesi, italiani,
americani, francesi, spagnoli, tedeschi, polacchi, australiani, thailandesi e
così via. È una dittatura e quando viaggi (e chi viaggia, Amici & Amiche,
lo sa) la guida preferita è proprio l’in/fallibile Lonley Planet. È uguale in
tutto il mondo, la copertina è sempre la stessa e a suo favore c’è da dire che
è molto resistente, sembra quasi la carta sia dotata di un ottimo sistema di
impermeabilità che neanche la North Face made in Vietnam riesce ad eguagliare.
Molti la chiamano La Bibbia, altri, più semplicemente, Il Libro.
Schiere di turisti vagano infaticabili sulle vie delle metropoli più
oscure, nei recessi di Katmandu alla ricerca del tocco di fumo, sempre e
comunque con Il Libro in mano. Il Libro ti consiglia, ti aiuta, ti guida. Il
Libro ti organizza i trekking, ti salva, ti ordina dove non andare e dove
andare. Il Libro sa. Sa tutto, ogni cosa. È Il Libro, è La Bibbia fratello. Ti
dice, «Stai attento, non andare nei dance bar, lì ci sono le prostitute e la
clientela è soprattutto indiana», ti dice, «Assaggia questo piatto, prova
quest’altra cosa», ti sussurra all’orecchio dove bere, dove mangiare, dove
dormire. Ha un potere illimitato, è
illimitata. Può tutto Lonley Planet, ogni cosa. Può far fallire ristoranti e
gettare oro su alberghi, può scegliere quale città visitare e quale no e tu,
piccolo viaggiatore solitario, seguirai ogni suo ordine e vedrai solo i paesi
che Il Libro ti ordina e ammirerai solo i monumenti scritti nelle sue pagine.
Ha potere Lonley Planet, è l’autoritarismo da viaggio. Alberghi orribili
guadagnano decine di quattrini e piccole guest house finemente decorate e dai
prezzi imbattibili sono costrette a chiudere. È una droga Lonley Planet e tutti
noi ne siamo assuefatti.
AH!
Milioni di persone tengono stretto Il Libro da almeno quarant’anni!
Io, Viaggiatori & Viaggiatrici, sono
uno di loro.
Ho la guida del Nepal, della Cambogia,
del Vietnam, della Turchia, della Croazia, del Marocco, del Laos, della Thailandia,
della Francia, della Spagna, della Germania, dell’Olanda e medito, ebbene sì,
di comprare quella di Roma.
Ho visto ristoratori strapparsi le vesti pur di finire nel Libro, uomini
e vecchie costretti al lastrico, guide sprovvedute indicare lo stesso giro
proposto dalla Bibbia. Ho ascoltato le suppliche di una donna senza denti in un
inglese stentato, «Ti prego!», mi implorava in ginocchio, «Scrivi alla Lonley Planet,
dì loro quanto sei stato bene da noi!».
In un paese povero Lonley Planet fa la differenza, se la tua guest house
è scritta nella guida vivrai di rendita, altrimenti il tuo albergo sarà
costretto a chiudere.
Il mondo, Signore & Signori, gira dove Lonley Planet vuole che giri.
Ho
conosciuto Zoé a Katmandu, in un ristorante che cucina ottimi momo (consigliato
dalla Bibbia); eravamo soli entrambi e, senza neanche accorgercene, siamo
finiti allo stesso tavolo. Ci siamo innamorati in poco tempo e gran parte del
viaggio l’abbiamo fatto insieme.
Zoé è spagnola e ha due occhi da favola.
Zoé starà via un anno in giro per l’Asia.
Insieme abbiamo girato Katmandu, insieme
ci siamo persi e insieme abbiamo dormito.
Abbiamo fatto l’amore su letti sgualciti, siamo stati morsi dalle
sanguisughe, attaccati da un branco di mucche impazzite e abbiamo riso così
tanto da lacrimare.
Ma soprattutto abbiamo ubbidito al
Libro.
Il Libro ci ha stregato obbligandoci a
seguire i suoi percorsi.
È
scritto. È tutto scritto.
“Partendo dal (1) Kasthamandap, nell’angolo sud.ovest di Durbar Sq,
prendete la strada di destra presso il (2) Signh Sattal -oltrepassate un tempio
dedicato a Shiva con un riparo per i pellegrini finemente scolpito. Dopo poco
si giunge a una grande (3) hiti, o cisterna, situata accanto al tempio di
Bhimsen (p83), riccamente decorato. Proseguite verso sud oltre il tempio di
Bhimsen, all’incrocio andate dritto e poi girate a sinistra passando accanto
alla profonda e decoratissima (5) cisterna di Kohiti”.
«Una caccia al tesoro», dico a Zoé. «Perdiamoci per la città, vediamo
dove arriviamo».
«No!», mi risponde, «Seguiamo la guida, ci sono i cortili!»
«Sì ma tu lo sai qual è il nord?»
«Dovresti saperlo tu».
Sono un uomo. Dovrei sapere dove si
trova il nord. Un uomo!
«Di qua!», indico sicuro di me bagnando l’indice con la saliva.
“Giunti in cima alla collina vi troverete di fronte all’alto (6) tempio
di Jaisi Deval (p85), del XVII secolo, che si erge con i suoi tre tetti sopra
una base a sette gradoni”.
«Lo vedi?», mi chiede Zoé.
«Il tempio?»
«Eh.»
«Eccolo».
«Elia, ti sembrano tre tetti quelli?»
Cazzo cazzo cazzo, il mio senso dell’orientamento
fa sempre cilecca. Mia mamma mi diceva, «Potresti perderti nel tragitto dal
salotto alla cucina!»
“Poco lontano sorge il (7) tempio di Ram Chandra (p85). Procedendo verso
sud-ovest si attraversa il vivace cortile di (8) Tukan Bahal, al cui centro
campeggia un bellissimo stupa del XIV secolo in stile Swayambhunath”.
Ho comprato di tutto per il viaggio: il coltellino svizzero, le
medicine, il disinfettante, il poncho, le torce (adoro le torce), le batterie,
le schedine per la macchinetta fotografica, tre quaderni rossi, due penne, le
scarpe ma la cosa più importante no. La bussola maledizione.
«Stai tranquillo», mi sussurra il Karma. «Non agitarti, ogni cosa ha un
fine».
Mi sono perso. Ma Zoé non deve accorgersene.
Camminiamo. Ecco un cortile. Okay. Ci
sei.
«Il Nirvana», mi dice Karma. «È dentro di te».
«Karma, ascolta. Vedi questa ragazza che mi cammina affianco? Credo di
amarla, ma non ho senso dell’orientamento! Aiutami tu, ti prego! Fammi trovare
la retta via!»
«Oh, giovane Mangiaboschi. Segui Il Libro. Lui sa tutto, ogni cosa.
Segui Il Libro. Che la forza sia con te».
“La strada disegna qualche curva, poi svolta bruscamente a sinistra
(est) all’incrocio con Wonde, dove si trovano diversi templi tra cui un alto e
bianco (9) tempio shikhara”.
«Lo vedi?», mi domanda Zoé. «Il tempio bianco dico, lo vedi?»
No no no! «Certo, ora lo raggiungiamo».
Che cazzo significa qualche curva!?!
Cos’è il Wonde? Dove si trova l’est? E la storia del muschio a nord? Ne
vogliamo parlare?
Sono perso, non ce la farò mai. La mia mascolinità ne risente.
«Eri un grande condottiero Elia Mangiaboschi», mi rimprovera Karma,
«guidavi le truppe senza mai perderti. Questa era la tua vita precedente, che
fine ha fatto il tuo senso dell’orientamento? L’uomo evolve, non arretra.
Ricorda, ‘Il verme tagliato perdona l’aratro’».
“L’itinerario oltrepassa Brahma Tole e raggiunge il (10) Museum Bahal,
con i suoi chaitya di forma fallica
in stile Licchavi, un pozzo recintato e bahal
collegati tra loro. Tornati in Brahma Tole, girate a destra e, in prossimità
dell’incrocio principale successivo, a sinistra (nord). Dopo 25 m, in fondo a
un vicolo sulla destra, si trova l’ampio e soleggiato (11) Ta Bahal, con
graziosi chaitya”.
«Accetta la sconfitta profano!», mi sgrida Ganesh.
«Zitto tu! Io so perché hai la testa d’elefante! Tuo padre ti ha trovato
al letto con tua madre! Me l’ha detto Lonely Planet!», gli sputo in faccia.
«Non è come pensi! Stolto! La sua fu confusione! Leggi meglio Il Libro!
Venni scambiato per un amante, fu un
errore che pagai con la decapitazione!»
«Testa di elefante!», canticchio.
«Non farlo arrabbiare», mi suggerisce Karma.
«L’ira degli dei si abbatterà su di te!», minaccia Ganesh puntandomi la
proboscide addosso.
Kali ride.
Ed io mi sono perso.
Zoé mi studia spazientita. «Elia», dice,
«posso fare io? Guardo la strada, troviamo i templi, cerchiamo i cortili, sono
bellissimi… credo.»
«Giammai!» urla Ganesh. «È un lavoro da uomini! Così facendo
distruggerai il maschio che è in te! Non accettare l’umiliazione!»
«‘La vita ti sorprende sempre. Lenta, tranquilla e monotona scorre’», mi
insegna Karma
«Nietzsche?», domando.
«No, Vasco Rossi».
“La strada si immette in una piazza aperta, Lagan, dove si trova il
bianco (12) tempio di Machhendranath, alto 5 m; di tanto in tanto la gente del
posto gioca a cricket nella piazza”.
Hmmm. Un tempio di
cinque metri. Dovrei vederlo…
Mi
muovo lento, goffo, accendo una sigaretta Surya e il fumo piroetta soffice
nell’aria.
Odore di incenso.
Cammino piano, Zoé al seguito.
Tremo.
La rabbia mi assale.
Tiro una lunga boccata dalla cicca.
Mille clacson di automobili e motorini
mi colpiscono nervosi, frantumandomi il timpano.
«Zoé», sussurro mortificato.
«No!», mi dice Karma.
«Ecco vedi…»
«Non farlo!», urla Ganesh.
«…Mi sono perso».
Ganesh capitombola a terra. Il Karma si
allontana da me. Ogni cosa si annebbia, solo il rumore del traffico a farmi
compagnia.
Zoé sorride. «Lo so», mi dice. «Ma è stato divertente, non trovi?
Abbiamo visto la città, ci siamo persi tra i vicoli, ecco… credo proprio che…»,
guarda la cartina, «sì, noi siamo qui», annuisce indicando un punto di
Katmandu, estrema periferia.
Oh oh.
«Ora dammi la guida», mi dice dolce. «Ti porto io in centro, ti faccio
vedere i cortili, vuoi?»
La guardo e mi perdo, nei suoi occhi
questa volta.
E dal basso, nel profondo, negli angoli più remoti del pianeta, il
signor Tony Wheeler e la signora Maureen Wheeler, inventori della Lonely
Planet, se la ridono.
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