Oggi
voglio raccontarvi una storia che mi ha raccontato mio padre, riguarda un suo
amico, o un amico di un amico, o un amico di un amico di un amico, non ho
capito bene. Ora, mio padre romanza e dice balle e anche io romanzo e dico
balle (d’altra parte lui è mio padre e
io sono suo figlio) quindi, la storia, prendetela con le pinze. Ma tant’è.
Il
signor Umberto Pezzetti è un arzillo vecchietto dall’aspetto amichevole con la
barba bianca e i capelli alla Einstein; un bel signore, un fumatore incallito di tabacco e sigari cubani;
un gran bevitore, Amici miei, un buon whisky, un sorso e un goccio d’acqua.
Il signor Umberto ha avuto tutto dalla vita. Una donna che ama alla
follia, un ottimo lavoro -conta conta conta- e una passione smodata per la
vecchia Fiat Cinquecento. La vecchia Fiat Cinquecento giallo canarino è il suo
orgoglio. In un mondo popolato da automobili rosse 4x4 veloci e scattanti lui
se ne va tranquillo con la sua macchinetta giocattolo -amore & cura-,
rispetta i semafori e non ha problemi.
Un
buon uomo.
Un
anziano signore in pensione che passa le sue giornate a giocare a carte e a
scrivere brevi articoli nostalgici per la piccola rivista di stampa alternativa
“Galline Sovversive”. Un vecchietto ancora innamorato di Rachele, la sua compagna.
Ohhh… Rachele, tesoro di felicità, le
rughe non ti hanno rovinato, i tuoi occhi sono ancora così giovani, sei bella
come quando ti ho conosciuto mi hai trasmesso così tanto ti amerò per sempre
mio grande amore.
L’unica cosa che Umberto rimpiange.
Il sogno di Umberto e Rachele è quello
di andare a vivere in un’isoletta piccola piccola dove fa sempre caldo, lì
vorrebbero aprire un bar e che so, cucinare pasta, lì vorrebbero passare gli
ultimi anni prima del Grande Viaggio. Lì. Gli piacerebbe certo ma il mondo non
va avanti con i sogni, va avanti con i soldi. Soldi i due, ahimè, non ne hanno
ché lui ha una pensione troppo bassa e Rachele, Rachele la pensione proprio non
ce l’ha.
Insomma,
Umberto se ne sta tranquillo seduto gustandosi il suo tè alla pesca delle sei
del pomeriggio nella piccola ma familiare sala da tè che si chiama “Il Profumo”.
Gli piace passare qualche ora seduto a studiare i giovani e a gustare il tè. Gli piace il
brusio. «È la miglior musica», dice sempre, «la miglior musica per scrivere
buoni articoli». Adora la gentilezza delle cameriere che ormai lo conoscono da
una vita e lo chiamano ancora Signore. Umberto pensa ala sua isola, l’unica
cosa che rimpiange.
La sera Umberto e Rachele vanno al cinema o a cena fuori, non restano
quasi mai a casa. La notte è sempre stata il loro mondo e certo da giovani
potevano permettersi orari ben più lunghi e guardare albe rosate ma adesso
l’età un pochino si fa sentire e loro due sono giovani nello spirito ma il
corpo, il corpo cede ad un certo punto, ha bisogno di riposo. Umberto e Rachele
con la vecchiaia hanno scoperto il teatro e Rachele ha pure recitato in uno
spettacolo surrealista e non è che ci abbia capito molto.
Umberto beve il suo tè sfogliando il giornale e legge un articolo su una
rapina andata male e finalmente ha un
idea, sa dove procurarsi la grana e come partire.
Così, quasi di corsa, esce da “Il
Profumo” e corre, sfrecciando addirittura, verso casa.
Spalanca la porta, il fiatone prepotente della terza età e raggiunge
saltellando Rachele. Lei fa un urlo quando lo vede, «Mi hai spaventata!», dice
ansimando, «Che c’è? Cosa ti è successo?»
«Ho trovato!»
«Trovato cosa?»
«Trovato il modo di far soldi!»
Rachele adesso lo guarda interessata.
Il piano di Umberto è semplice, rapinare una banca. Rapinare una banca
non è impresa facile ma se ci riesci, allora diventi una persona ricca; certo,
mica prendere i soldi della camera blindata, quello è impossibile. Ma le casse.
Le casse sì, soprattutto se conosci un certo tipo scienziato ebreo scampato ai
nazisti ormai vecchio che ha costruito una particolare pistola di plastica che
non viene rilevata dai sensori e che sembra un portachiavi anzi un accendino.
E, guarda caso, questo scienziato mezzo matto è il miglior amico di Umberto. Si
sono conosciuti un giorno prima di lanciarsi col paracadute e scendere in
picchiata. Si sono conosciuti e Umberto gli è stato molto vicino quando è morta
sua moglie. La vecchiaia, la vecchiaia ti porta via le persone care.
Rachele è preoccupata e divertita, il suo uomo è sempre stato un po’
matto.
«Ma
in fondo, che importanza ha».
Anche lei se ne vuole andare, vuole
fuggire. Sente la Signora Morte che si avvicina ogni giorno di più. La sente,
vuole consumare i suoi ultimi giorni felice, in un bel posto con il sole tondo
e il mare che le accarezza i piedi. Vuole morire sotto un albero con gli
uccellini che cinguettano, nel suo bar
sperduto in mezzo all’oceano e non in una città. Non nella sua città, ricca capitalista consumista. Vuole la natura, la
natura e le foglie e il verde vero che non ha mai visto. Vuole ricordarsi del mondo,
vuole la sua oasi, il paradiso di felicità e non la puzza lo smog le macchine i
ricchi i barboni le guerre. Vuole morire felice insomma. Non vuole invecchiare
e sente sente che sta invecchiando. È
scorbutica e guarda i giovani con occhi diversi e guarda il mondo con occhi
stanchi. Desidera chiudere gli occhi, addormentarsi felice con la spiaggia
dorata e il suo compagno vicino. Quindi, perché no. Facciamola questa rapina.
È il venticinque maggio, il signor Giorgio sforna il pane, lo spazzino
pulisce le strade, i bambini salgono sull’autobus e il conducente guarda la
strada che conosce a memoria, due ragazzi -Eliana e Pino- si baciano un’ultima
volta, il commesso apre il negozio di scarpe, l’uomo in giacca e cravatta sale
sulla sua Mercedes e il figlio lo guarda dalla finestra, un barbone si accende
una sigaretta facendo colazione con un sorso di gin, il lavavetri pulisce il
vetro di una macchina blu e un topo sgattaiola tra i rifiuti. È il venticinque
maggio e Rachele guarda il pendolo appeso al muro con impazienza.
Sono le dieci e ventinove quando Umberto e Rachele escono di casa. Un
ultimo bacio.
Umberto mette in moto, la vecchia Cinquecento giallo canarino tossisce,
scoppietta e parte improvvisa, emettendo un suono familiare alla coppia.
Rachele
ha paura.
Sono le undici e quaranta quando l’auto
viene parcheggiata davanti alla banca, intorno poca gente.
«Tieni acceso il motore», dice l’uomo.
La donna lo guarda un attimo e sorride.
Umberto esce dalla Fiat Cinquecento e il cuore pulsa forte, accarezza
un’ultima volta Rachele che si è messa al posto di guida. Cammina piano. Davanti
a lui la banca si erge alta e minacciosa. Supera l’entrata, la doppia porta
senza problemi, la guardia gli sorride, lui ricambia. Il vecchio tiene ben stretta
la pistola in tasca. Un’ultima immagine del mare e il cuore in gola.
L’adrenalina scorre veloce e gli occhi
si stringono. È il momento. I
pensieri si annullano, il tempo rallenta. Umberto estrae
l’arma di
scatto, «FERMI TUTTI, QUESTA E’ UNA RAPINA!», urla, come in un vecchio
film anni cinquanta.
La
gente lo guarda perplessa, quasi divertita, come se non lo prendessero sul
serio. Ed effettivamente la scena potrebbe ai più sembrare comica. Umberto punta
la pistola contro una cassiera dai capelli rossi. In un secondo la donna vede
scorrere tutta la sua vita davanti: la banca, il lavoro, il suo cane, l’uomo
che non ha mai avuto, la monotonia della giornate, il caffè preso tutte le
mattine, la solitudine, la casa troppo vuota. In un attimo la cassiera dai
capelli rossi decide di licenziarsi e di iniziare una nuova vita, ha sempre
adorato disegnare.
«Tu!», urla il vecchio indicando un'altra cassiera, «I soldi! Prendi i
soldi!»
«Ma…»
«Fallo!»
La donna, con mani tremanti, raccoglie
il denaro depositato.
«Mettilo in una busta, presto».
La cassiera segue alla lettera i
consigli del rapinatore, una lacrima veloce le graffia il viso. «T… tenga…»,
singhiozza.
Umberto afferra veloce la busta, guarda
la guardia grassoccia. Gli punta la pistola contro sorridendo, poi spara un
colpo in aria e un po’ d’intonaco cade a terra. Una vecchia sviene, la gente
urla.
Il
rapinatore esce di corsa dalla banca, voltandosi solo un secondo.
Corre stanco.
Raggiunge
la vecchia Cinquecento gialla. «Parti, presto!», grida a Rachele.
Lei mette la prima e la macchina si
accende tossendo.
Da un articolo apparso il ventisei maggio su “Metro”: “Un arzillo vecchietto, ieri, poco prima di
mezzogiorno, è entrato in una filiale della banca, e, armato di una pistola di
plastica, si è fatto consegnare da una cassiera tutto il denaro depositato,
circa ottantamila euro. Dopo la rapina è riuscito a scappare, a bordo di una
vecchia Fiat Cinquecento”
Umberto e Rachele (mi ha raccontato il babbo) vivono felici in un
isoletta sperduta nell’Oceano Pacifico, stanno cercando di aprire un bar dove
cucinare ottimi piatti di pasta all’italiana. Di notte restano svegli
aspettando l’alba. Si baciano come quando avevano vent’anni.
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